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<<Cos'è?>> chiesi io, spaventata da un rumore alla mia destra.

<<Niente, sarà il vento>> rispose mio padre. Fino a quel momento avevo camminato semplicemente seguendolo, lui che sapeva la strada persino al buio, come un cavallo che si dirige a casa. Da quel rumore capii immediatamente dove fossi: vicino al sentiero per il bosco.
I pochi che percorrevano quella strada di notte, dicevano che passando lì accanto si potesse sentire il Vento che ululava arrabbiato, che gridava guerra. Dicevano che quando si sentiva quel suono era la sofferenza che si avvicinava, poteva passare un anno, qualche mese o qualche giorno, ma qualcosa di terribile sarebbe successo.

<<Accelerate il passo>> disse mio padre, preoccupato dai miei stessi pensieri.

<<Ero così in ansia>> disse mia madre, il volto sconvolto dalla paura, <<Cosa è successo? È così tardi!>>

<<La piccola è morta>> rispose Teresa, in lacrime. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, che qualcuno dei suoi pazienti sarebbe morto.

<<Non ti affezionare a loro. Guarda la malattia, guarda il malato, fa del tuo meglio, e poi lascialo andare.>> le aveva detto un giorno il vecchio rugoso dottore.

<<Come si fa a lasciarli andare?>> chiese Teresa.

<<Si soffre, ma ci si abitua.>>

In quel momento Teresa avrebbe voluto prendere la bambina e tenerla stretta a sé, costringendola a non lasciarla mai.

I giorni seguenti fummo tutti sconvolti. Serin non si presentò a scuola, né a lavoro. Ero rimasta da sola a pensare ai miei cavalli, e non facevo che chiedermi se Glenne avesse smesso di singhiozzare, se Serin si fosse mai alzato da quel letto, se Teresa sarebbe mai più riuscita ad essere un dottore, a superare il dolore immenso che l'aveva sconvolta. Infine mi chiedevo come sarebbe stato quando li avrei rivisti, cosa avrei detto. Poi il giorno arrivò.

Indossammo tutti le nostre tuniche migliori, rigorosamente blu notte, con un esile foulard bianco, gli uomini come cintola, le donne come collana. Andammo alla roccia. Tutto il paese si trovava riunito là intorno. Era un masso leggermente squadrato, dove giaceva il piccolo cadavere, perfettamente conservato grazie agli intrugli dei Signori della morte.

<<Grazie, miei fratelli, per essere qui,>> disse il Primo Signore. Alcuni colpi di tosse gli risposero, altri si mossero irrequieti. Era sempre brutto celebrare una morte, specie di una bambina.

<<La morte della piccola Irin ci riunisce tutti, così dolorosamente. Ci fa riflettere sulla brevità della vita, e sulla sua ingiustizia. Avvicinatevi, porgete l'ultimo saluto, ed aiutatela a cavalcare il Soffio delle anime.>> disse terminando la celebrazione.
Ognuno di noi, si avvicinò alla bambina. C'era un ordine nel salutare: prima tutti colore che non l'avevano conosciuta da vicino, che non le avevano mai parlato. Poi tutti quelli che, anche solo per una volta, le avevano rivolto la parola; seguivano gli amici. Infine i parenti, chi l'aveva amata, e chi era stato presente nel momento della morte. Ci avvicinammo e le toccammo la manina, sussurrandole un addio. Infine il corpo venne sotterrato, la tomba scavata dai più intimi.

Dopo la celebrazione ci avvicinammo alla famiglia.

<<Siamo addolorati dalla vostra perdita.>> disse mio padre parlando per tutti.

<<Vi ringrazio per ciò che avete fatto per noi, e per essere presenti in questo momento di dolore.>> rispose il padre di Serin. Era un uomo molto alto, con i capelli brizzolati e due baffi prominenti. Anche lui indossava la tunica di rito. Ai piedi, come tutti noi, portava dei sandali.

<<Sappiate che per qualsiasi cosa noi siamo disponibili, e se Serin vuole continuare a lavorare da noi, è il benvenuto.>> continuò mio padre. Il ragazzo era ancora pallido, ancora non parlava, ai miei occhi era ancora lì, per terra accanto a quel letto, chissà se sarebbe mai più riuscito a dormire in quella stanza. Io avevo gli occhi bassi, li alzavo solo ogni tanto per sbirciare i loro volti. Mia madre aveva offerto il braccio alla madre, addolorata, e poi l'aveva abbracciata, dandole piccole pacche sulla schiena mentre lei era, ancora una volta, presa dai singhiozzi, il volto pallido. I miei due fratelli, sempre pronti alla risata, alla battuta, a qualsiasi diavoleria, quel giorno furono molto silenziosi, comportandosi egregiamente. Teresa tenne il viso basso per tutto il tempo della celebrazione e persino in quel momento si teneva in disparte. Poi la sentii prendere fiato, dandosi coraggio.

<<Vi chiedo..>> fece una piccola pausa cercando la forza,<< Vi chiedo scusa.>>

<<Scusa?>> ripeté l'uomo incredulo, persino sua moglie smise per un attimo di piangere.

<<Si. Vi chiedo scusa per non essere stata all'altezza.>>

<<Hai fatto tutto il possibile. Sono sicuro che nemmeno il dottore ufficiale avrebbe potuto fare di più.>> rispose la donna. Era disperata, non aveva fatto altro che piangere; eppure in quel momento era lei a consolare Teresa.

<<Andiamo adesso, ricordate che per qualsiasi cosa siamo a vostra disposizione, sempre. Siamo fratelli nel cuore adesso.>> le persone presenti alla morte di qualcuno erano legati alla famiglia del defunto da un legame di sofferenza, che li avrebbe uniti fino allo loro, di morte.

I Figli del Vento ~~ Concorsiamo 2k17 ~~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora