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Passarono molti giorni. Serin riprese a seguire le lezioni, sempre con lo sguardo assente, sempre senza parlare. Non credo che avesse detto una sola parola da quella notte. La mia famiglia, ognuno di noi a turno, portava un cesto con del cibo alla famiglia della piccola Irin. Secondo le nostre credenze, noi avremmo dovuto continuare a portare loro dei doni per un mese, che passò velocemente.

Serin non tornò a lavorare da noi, passava le sue giornata tra la scuola e la casa, senza mai concedersi una deviazione.

<<Serin, potresti accompagnarmi a casa?>> gli chiesi un giorno dopo la lezione di storia.<< Mi sono slogata il polso e non riesco a portare i libri.>> lui si avvicinò, prese i miei libri e quaderni, e mi accompagnò, sempre senza dire una parola.

Camminammo nel più completo silenzio, rimanendo, comunque, a nostro agio. Ciò che ci aveva legato era molto forte, un legame che sarebbe durato per sempre. Nella strada verso casa passammo accanto al sentiero diretto al bosco, ed io fui colta dall'idea.

<<Andiamo>> dissi accennando con la testa al sentiero. Lui mi seguì.

Il sentiero era costellato di alberi, sulla destra e sulla sinistra. Erano alberi alti ed antichi, che emanavano odori bellissimi. C'erano anche dei fiori, rossi, gialli, verdi. Alcuni cani ci tagliarono la strada. Erano piccoli, con le orecchie lunghe, e non ci degnarono nemmeno di uno sguardo. Continuando per la strada iniziai a sentire la paura, e, dalla rigidezza con cui Serin si muoveva, capii che anche lui non era tranquillo.

Gli odori, man mano che avanzavamo, iniziavano a cambiare. Divennero più pungenti, più intensi. I rumori della vegetazione più forti. Si sentiva il cinguettare degli uccelli, qualche cane che abbaiava, ma, per lo più, il fruscio delle foglie, e persino qualche ramo che si spezzava. Iniziavo ad agitarmi, il sudore mi imperlava la fronte. Più avanti il sentiero curvava, e non si riusciva a vedere cosa ci fosse oltre la curva. Mille pensieri iniziarono ad attraversami, "Forse al di là c'è la casa, oppure siamo già arrivati al loro paese... no, non è possibile, prima ci deve essere la casa.. oppure abbiamo sbagliato strada, ma la strada è solo questa.." e così via. Accanto a me Serin rimaneva nel suo silenzio assoluto, le mani, però, gli tremavano lievemente; volevo quasi dirgli di tornare indietro, ma ormai eravamo lì, ed era stata una mia idea! Poi girammo per la curva, la strada continuava ancora e ancora e ancora, in un rettilineo che sembrava non avesse fine. Doveva essere ora di pranzo, ed i nostri genitori ci dovevano stare aspettando per mangiare, fui tentata di usare questa, come scusa per tornare a casa, ma no, dovevamo continuare. Avanzammo ancora per dieci minuti, mezz'ora, un'ora; il sentiero sembrava non avere fine.

Poi da lontano avvistammo una casa. Era in legno, con un bel tetto spiovente, un portico, un recinto tutto intorno. Era una casa normalissima, però, al suo interno, avremmo visto la donna. Avevamo sentito parlare di lei in ogni modo, soprattutto di quanto fosse temibile, cosa ci avrebbe fatto se ci avesse visto? Ci avrebbe ucciso, sicuramente; i genitori di Serin avrebbero perso l'unico figlio che gli era rimasto. Se fossi stata meno orgogliosa, più buona, avrei messo da parte la mia dignità e gli avrei detto di rigirarci, e lui mi avrebbe seguito, così come aveva fatto fino a quel momento. Eppure io volevo continuare, volevo vederla, era là, a pochi passi da me. Dovevo andare avanti. Continuammo a camminare, attenti ad ogni più piccolo rumore, ci spostammo dal sentiero ed avanzammo nascondendoci da un albero all'altro, nessuno ci avrebbe dovuto vedere. In quel breve tragitto poggiai le mie mani, le mie guance, su molti alberi, sentii il contatto con la corteccia, il suo odore, il suo sapore, mentre guardavo avanti, controllando che non ci fosse nessuno. Albero dopo albero ci avvicinammo sempre di più. Eravamo a pochi metri, e non sapevo cosa fare. Volevo guardare all'interno dalla finestra, ma era un rischio tanto elevato; se si fosse affacciata? Se avesse deciso di uscire a prendere una boccata d'aria? Mi girai verso Serin, dietro un albero alla mia sinistra, chiedendogli, solo con lo sguardo, cosa dovessimo fare. E lui mi fece cenno di avanzare: anche Serin voleva vederla, e quella fu la spinta finale. Lasciammo i nostri nascondigli e strisciammo raso terra fino al recinto. Era fatto di legno, con semplici pali infissi per terra, più per evitare che animali uscissero dalla casa, che per tenere lontane le persone; eppure nessuna sorta di bestiame si trovava lì intorno. I pali erano bassi, e li scavalcammo dal lato dietro la casa, dove non c'erano finestra, così che, anche alzandoci, non ci avrebbe visto nessuno. Una volta superato il recinto continuammo a strisciare, e raggiungemmo la finestra, sul lato est della casa. Prima di alzarci, ci tenemmo per mano, rischiavamo tutto per la nostra curiosità, rischiavamo di perdere la vita, di non avere mai una famiglia, un lavoro, rischiamo di distruggere i nostri genitori, i miei fratelli. Eppure ci alzammo.
L'interno della casa era senza mobili, con solo un piccolo pagliericcio e un tavolo. Non c'era un secondo piano, non c'era niente. E soprattutto non c'era nessuno. Non si vedeva alcun cibo lì intorno, abiti, focolare, niente. La casa era disabitata. Ci alzammo ed entrammo, la porta era appena appoggiata, non c'era nessun catenaccio. Una volta dentro non notammo grandi differenze, non c'era nient' altro da aggiungere a ciò che avevamo visto da fuori. Era un'unica stanza, un unico piano, un unico pagliericcio, e nessuno che ci vivesse. La donna se ne era andata, realizzammo entrambi nello stesso momento, e ci guardammo preoccupati. Finché fosse rimasta lì, niente sarebbe cambiato, questo lo sapevamo tutti, invece, adesso che se ne era andata, questo poteva significare molte cose, soprattutto, poteva significare l'arrivo di una guerra.

Uscimmo dalla casa come in trance, percorremmo tutta la strada dell'andata, che sembrò molto più breve e silenziosa. Nel giro di poco, ci ritrovammo a casa mia, entrambi spaventati.

<<Enn! Si può sapere dove eri finita??>> mi urlò contro mia madre, vedendomi dalla finestra.

<<Vieni subito qui>> disse minacciosa la voce di mio padre da dentro la cucina.

Entrammo.

<<Serin, che ci fai qui?>> chiese mia madre, calmandosi un attimo, per poi proseguire arrabbiata, <<I tuoi genitori saranno così preoccupati, un'altra sofferenza da aggiungergli. Avete idea di che ore sono??>>dal cielo, che iniziava appena a scurirsi, dovevano essere le sei.

<<Vi devo parlare.>> dissi io, incerta.

<<Questo è poco, ma sicuro.>> rispose mio padre. Nella cucina c'erano solo loro due, seduti uno vicino all'altro, probabilmente i miei fratelli erano stati mandati a cercarmi.

<<Siamo andati alla casa.>> dissi tutto d'un fiato.

<<Quale casa?>> chiese mia madre, già sapendo la risposta.

<<Quella casa...>>

<<Sei un'incosciente! Anzi siete due incoscienti! Due disgraziati! Se vi avessero ucciso?? Che cosa ne sarebbe stato di tua madre, eh Serin?? Non sarebbe sopravvissuta anche alla tua morte!!>> Serin non batté ciglio, non disse una parola, non sembrò nemmeno troppo dispiaciuto.

<<Mamma, è disabitata.>> il terrore invase i loro volti. Molto più che la preoccupazione perché qualcosa sarebbe cambiato, ma vero terrore.

<<Tenete.>> disse mia madre dopo alcuni secondo, con le labbra tese. E ci porse due ciotole con dentro una zuppa di pesce. Serin ed io mangiammo affamati, non avendo messo in bocca niente dall'alba.

Mentre stavamo mangiando vidi i miei genitori parlare, in un angolo in disparte. Mio padre aveva la fronte piena di rughe, e mia madre tremava per l'ansia.

<<Partirò domani stesso, all'alba. Devo per lo meno vedere se la casa è veramente disabitata, se così fosse, vorrebbe dire che è pronta, e non so quanto possa essere pericolosa. >>

<<Va bene..>> disse lei titubante.

<<Dovrei essere di ritorno domani sera, se così non fosse, aspetta fino al giorno seguente, poi prendi i ragazzi e scappate. Avvisa più gente possibile, e soprattutto...>> indicò con la testa Serin, mia madre rispose solo con uno sguardo preoccupato. Lui le poggiò una mano sulla spalla, gentilmente.

<<Sii forte, per te e per le nostre figlie.>>

<<Lo sarò,>> annuì lei, <<Però tu devi tornare.>>

<<Tranquilla, non vi abbandono!>> ripose lui, accennando un sorriso rassicurante.

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