TRISTEZZA pt.2

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Erano 3 giorni che camminavano e, anche se non avevano parlato quasi per nulla, Stiles sapeva che Derek era preoccupato per lui. Il ragazzo non mangiava nulla, complice il suo stomaco che non chiedeva nutrimento; ormai la sensazione del buco allo stomaco e i crampi erano familiari, quasi piacevoli a loro modo. Non era ancora riuscito a fare a meno dell'acqua, a causa del caldo e dell'arsura che gli procurava quel luogo.

E poi non parlava.

Forse era questa la cosa che rendeva più agitato il mannaro.

Poteva dirlo con certezza perchè da quando aveva smesso di parlare e aveva cominciato ad osservare le cose, il ragazzo riusciva a cogliere più sfaccettature dei cambiamenti d'umore del mannaro. Sentì un sospiro uscire dalle sue labbra: probabilmente stava pensando a come farlo mangiare o bere, ma il ragazzo non ne aveva alcuna intenzione. Se non riusciva a farla finita in un modo diretto, l'avrebbe fatto passivamente a costo di torturarsi a lungo e crudelmente; era abbastanza testardo per riuscirci anche se era un vigliacco e un debole.

Si strofinò gli occhi nel vano tentativo di snebbiare la vista: era da quando si erano alzati quella mattina che sentiva la testa pesante e che a tratti vedeva una miriade di puntini luminosi davanti a sé, ma si era ben guardato dal dirlo a Derek; il mannaro si sarebbe sicuramente fermato e l'avrebbe costretto a mangiare e lui non voleva.

Si girò indietro per aspettare che i puntini luminosi lasciassero libero il suo sguardo, con la pretesa di star osservando il paesaggio, decisamente monotono: si trattava di una piana deserta con sporadiche ed enormi conformazioni rocciose sulla linea dell'orizzonte, non c'era nulla da vedere, nemmeno un cactus o un cespuglio secco. Quando la vista si fece di nuovo chiara, la vide di nuovo: c'era qualcosa che li seguiva.

Ogni tanto, le sporadiche volte che si era guardato attorno in quei giorni, aveva l'impressione di vedere qualcosa muoversi; a volte era solo una percezione, altre coglieva qualcosa con la vista, fatto sta che era sempre meno convinto che fosse un'allucinazione.

Mentre pensava queste cose e stava per trascinare i suoi passi dietro quelli di Derek, tutto si fece scuro e sentì un tonfo in lontananza.


Quando riuscì a mettere a fuoco qualcosa, si rese conto di trovarsi in un rifugio di fortuna fatto con un telo impermeabile e un grosso masso; era sdraiato e con la testa appoggiata allo zaino, come se fosse un cuscino. La terra intorno a lui era fresca e alleviava leggermente la calura e, con suo fastidio, si accorse di stare meglio. Il senso di colpa e la rabbia lo travolsero: lui non doveva stare meglio, ma smettere di essere un peso per tutti il prima possibile. Perché era quello: solo un peso; affossava gli altri e rovinava le loro esistenze. Capiva perfettamente perché i suoi amici avessero tentato di escluderlo, ma suo padre non poteva: non avrebbe mai abbandonato suo figlio, l'unica parte della moglie ancora viva, a sé stesso. Non per sempre almeno.

Suo padre però era in coma, per colpa sua.

Anche se non avrebbe tentato gesti drastici per un po', perché era un debole, non aveva certo rinunciato a morire: si sarebbe lasciato morire d'inedia e fatica.

Era l'unico motivo per cui non si era lamentato e aveva seguito il mannaro docilmente.


Derek.

Si rese conto in quel momento che non c'era e non ne avvertiva la presenza.

Decise di approfittarne per farsi del male; strisciò fuori dal riparo e fu accecato dalla luminosità del sole, doveva essere tarda mattinata a giudicare dalla luce.

LOVE IS, ABOVE ALL, THE GIFT OF ONESELF || Teen WolfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora