Capitolo 12 - The principle of equivalent exchange

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CAPITOLO 12 - THE PRINCIPLE OF EQUIVALENT EXCHANGE


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Mi sono sempre chiesto se il dolore che deve sopportare una persona avesse un limite.
Se ci fosse una fine a tutte le sofferenze, un momento della vita in cui semplicemente, le cose iniziano ad andare bene e i problemi rimangono un ricordo lontano.
Ma lungo il mio cammino, ho capito che non esiste un limite.
Il dolore è un pozzo senza fondo, un' oscurità che ti inghiottisce ogni giorno di più.
Sono le persone, ad avere un limite.
Eppure, di recente ho fatto una nuova scoperta.
Se il dolore non ha fine e non c'è modo di evitarlo, c'è un modo per sopportarlo.
Un modo per andare avanti, nonostante tutto.
Aggrapparsi a quell' oscurità, renderla tua.
Fare di essa la tua forza, e trovare la pace nel dolore.
Ritardare quel limite, quella fine inesorabile, assaporando di tanto in tanto un po' di felicità.
Ma più di ogni altra cosa, condividere tutto quel dolore.
Avere qualcuno che lo capisce e si fà carico insieme a te di quel tormento, lo rende più sopportabile.
Anche se quella persona è... L' oscurità, è un' oscurità che ho imparato a conoscere, ad amare perfino.
Perchè in qualche modo, rende la mia vita degna di essere chiamata vita.
Non un' inutile susseguirsi di parole e gesti senza importanza, non un ripetersi di giorni grigi senza fine, non un conto alla rovescia verso un' irremovibile sconfitta.
Ma fuoco e passione, disperazione e desiderio, lacrime e sangue.
Tuttavia, ogni cosa ha il suo prezzo.
Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore. In alchimia è chiamato "il principio dello scambio equivalente"
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"Will?"
"Mi senti Will?"
La voce di Jack Crawford rimbombava nelle mie orecchie, riportandomi alla realtà.
C' era freddo nella stanza, puzza di sangue e urina.
Una densa oscurità che ti penetrava fin dentro l' anima.
Materia organica sparsa sul pavimento di marmo.
Una goccia di sangue sulla mia guancia, calda come una lacrima.
Alzando la torcia verso il soffitto, illumino il bianco corpo privo di vita.
Sembra quasi brillare, come fosse ricoperto di diamanti.
Diamanti che scintillano come la neve.
Così bello, puro e freddo come la neve d' inverno.
Aveva detto così, quel giorno...
Ho timore ad alzare lo sguardo ed incrociare il suo, perchè so...
So che leggerei nei suoi occhi quello che i miei vedono già.
Jack mi osserva, mi studia, come una cavia da laboratorio.
"Cosa ne pensi, Will? Abbiamo a che fare con un nuovo assassino o... Con uno vecchio?"
"Non ne sono ancora sicuro... Sappiamo com' è morto?"
"Non finchè non riusciremo a tirarlo giù da li. I tecnici ci stanno lavorando, ma ci vorrà un po' di tempo... Per ora sappiamo solo che non ci sono ferite esterne, e che la cavità orale e quella nasale sono ostruite dai diamanti."
"Diamanti? Diamanti veri? Ma devono avere un valore inestimabile in quella quantità!"
"Ce l' hanno infatti. Tra quelli trovati nella bocca e quelli attaccati alla pelle, ci devono essere dei millioni qui."
"Non ha senso! - Esclamò Beverly - Perchè non tenerseli? Avrebbe potuto scappare e vivere nel lusso per il resto della vita!"
"Perchè i soldi non erano importanti..."
"E cosa lo è allora? - Chiese Jack - Cosa spinge un' uomo ad ucciderne un' altro, fare tutta quella fatica per metterlo lassù e decorarlo con dei diamanti che avrebbero potuto renderlo ricco?"
"La bellezza. - Esclamò improvvisamente Hannibal - La bellezza della luce che si riflette sull' oscurità, completandola."
Un brivido mi percorre la schiena, quando passando accanto a me sfiora impercettibilmente le mie dita.
"Allora abbiamo una specie di artista? Come quell' uomo che aveva ricreato l' occhio usando corpi umani?" Chiese Jack, che confusamente guardava la figura sopra di se.
"Non esattamente... Ma è certo che quest' uomo ha una concezione molto personale di bellezza e morte... Quasi fossero legate."
Jack annuisce pensieroso, mentre il brusio delle chiacchere intorno a noi copre i nostri pensieri...
Il corso della vita che riprende, indifferende alle nostre sofferenze.
Rimango ad osservare quel corpo pallido e scintillante, con la gola stretta in una morsa invisibile.
Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore. In alchimia è chiamato "il principio dello scambio equivalente"
Una vita per una vita...
Una felicità, pagata a caro prezzo.
"A cosa pensi, Will?"
Gli occhi indagatori di Hannibal scrutano sotto la mia pelle, dietro i miei occhi vuoti.
"Alla neve..."
Lui sorride, e per un momento, il suo sguardo si addolcisce... Quasi tornasse a quella giornata, così lontana nel tempo, eppure così vivida nella memoria.
Raccoglie uno dei piccoli diamanti sparsi sul pavimento, rigirandoselo tra le dita.
"Una neve che non si scioglierà mai, che rimarrà bellissima e pura, per sempre..."
Allunga la mano aperta verso di me, porgendomelo.
Il diamante scintilla tra la sua pelle rosea, sussurrando il mio nome con i suoi riflessi...
Lo sfioro con le dita, fino ad accarezzare lievemente la mano sotto di essa.
il suo calore, accende in me quel malato desiderio tanto famigliare, pronto a consumarmi.
"Verrai da me, questa sera?" Mi chiede con voce suadente.
"Suppongo che tu abbia preparato una cena speciale, per l' occasione."
"Mi conosci, Will." Risponde lui con un leggero sorriso.
"Si, ti conosco. E conosco me stesso... E so che se venissi, in qualche modo sarei felice ma... Il prezzo di questa felicità è troppo alto!" Gli dico, con lo sguardo basso e la voce incrinata.
Ritraggo la mano dalla sua e faccio un passo indietro, cercando la forza di voltarmi e andarmene.
"Ogni cosa ha il suo prezzo Will... La vita di tutti noi, lo ha. Ma io sono disposto a pagarlo, se posso avere anche un solo momento come questo."
"Ho paura che siano proprio i momenti come questo, il prezzo di quello che siamo."
Faccio un respiro profondo, voltandomi velocemente verso le scale, scrollandomi di dosso la puzza e il male che invadevano quel posto.
Volti estranei che mi fissano, mentre percorro le sale di quella casa, fino ad uscire finalmente, sotto la pioggia incalzante.
Supero i poliziotti e i giornalisti, i nastri gialli che circondano la scena del crimine e le macchine nere, fino a sparire per le vie della città.
Una persona tra le tante, che fissa le gocce di pioggia scendere dal cielo, senza una direzione o una meta.
Le ore passano silenziose, mentre perso nella notte vago solitario e pensieroso.
Lungo la strada, una macchina si avvicina a me, illuminandomi con i suoi fari.
All' inizio non ci faccio molto caso, e continuo a camminare, ma poi noto che la macchina continua a seguirmi, accostandosi a me.
Mi giro seccato per vedere cosa stà succedendo, ed è a quel punto che lo vedo.
Hannibal... Avrei dovuto immaginarlo.
Continuo a camminare imperterrito sotto il temporale, cercando di svanire nella notte.
Lui continua a seguirmi, guidando alla mia stessa velocità, in modo da restarmi sempre sul fianco.
Ad un certo punto mi fermo, irritato da quell' insistenza.
"Lasciami in pace Hannibal!" Gli urlo.
Lui resta li un momento, poi abbassa il finestrino.
"E' una notte fredda, ti prenderai un malanno se continui a camminare sotto la pioggia..."
"Non sono affari tuoi!" Gli rispondo nervosamente.
"Lo sono invece. Se non vuoi venire da me lo capisco, ma lascia almeno che ti accompagni a casa."
"Non ne ho bisogno!"
"Ma sei dall' altra parte della città!"
"Vorrà dire che camminerò tutta la notte! Tanto non riuscirei a dormire comunque..."
Mi allontano e riprendo a camminare, sperando che se ne vada una volta per tutte.
La macchina non si muove, e per un momento mi sento sollevato.
Finchè improvvisamente mi rendo conto che non stà più piovendo, che non mi stò più bagnando, anche se davanti a me la pioggia continua a scendere.
Solo dopo qualche momento alzo la testa, accorgendomi del grosso ombrello nero sopra di me.
"Maledezione Hannibal! Ti avevo detto di lasciarmi stare!"
"E' quello che sto facendo Will. Non ti sarò di alcuno fastidio, ma se intendi vagare per tutta la notte con questo tempo, lascia almeno che ti accompagni."
"Non ho nessuna voglia di parlare con te! Voglio stare da solo!"
Faccio per andarmene, ma sento ancora il suo ombrello sopra di me.
"Non dovrai parlare... Puoi continuare a camminare come se io non ci fossi. Ma permettimi di accompagnarti, la città non è sicura a quest' ora della notte."
"Con te in circolazione, non lo è mai!"
"Eccetto quando sono con te..."
"Non sono la tua dannata baby sitter Hannibal!"
Lo spingo via e cerco di allontanarmi a passi veloci, stanco anche solo di sentire i pensieri nella mia testa.
"Hai ragione, non lo sei. Non posso addossarti il peso delle mie azioni. Ma posso esserti vicino, proteggerti. Anche quando non vorresti."
"E chi mi proteggerà da te?"
"Temo che questo possa farlo solo tu Will. Ma non è fuggendo che ci riuscirai."
"E allora cosa dovrei fare? Perchè non me lo dici tu, doctor Lecter?"
"Non lo so... Ma per il momento, potresti lasciare che ti accompagni. E forse, con il tempo, avrai la tua risposta."
Si avvicina a me, riparandomi dalla pioggia; guardandomi come solo lui è in grado di fare, in quel modo così dolce e violento al tempo stesso...
Mi volto, e riprendendo lentamente a camminare.
Come un' ombra silenziosa lui mi segue, passo dopo passo, verso l' ignoto.

The quiet of the streamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora