Capitolo 14 - The bait

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CAPITOLO 14 - THE BAIT


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Ero come sospeso in un limbo.

Un limbo tra il bene e il male.
Sapevo che prima o poi, avrei dovuto scegliere.
Uscire da quel limbo, affrontare il mio destino.
Solo che... Non potevo.
Avrei voluto fermare il tempo, poter restare sospeso al di fuori del mondo, senza dover scegliere niente.
Ma era solo un sogno... Destinato a finire molto presto.
Eppure, che sogno meraviglioso era il nostro.
Le labbra di Alana si muovevano sulle mie, mentre il suo corpo nudo mi sfiorava ed il suo seno si appoggiava morbido al mio petto.
Hannibal mi teneva stretto tra le sue braccia, leccando il mio collo e accarezzando il mio membro.
Era una perfetta sinfonia di corpi... Una melodia di gemiti e di piacere.
In quei lunghi giorni avevo imparato a conoscere il corpo di Alana, i suoi desideri nascosti, i suoi lati deboli.
Allo stesso tempo avevo scoperto un lato di Hannibal che non conoscevo ancora:
La possessività.
All' apparenza, poteva sembrare che questo rapporto tra noi tre gli stesse bene, quasi che ne fosse felice.
Ma io sapevo...
Lo vedevo nei suoi occhi, gli occhi di un predatore.
Nelle sue carezze, che nascondevano a fatica la rabbia che celavano.
Sembrava che ogni volta che toccava Alana, fosse sul punto di ucciderla.
Le sue mani sul collo di lei, così serrate, così sicure.
Basterebbe così poco, per spezzare quel fragile collo... E questo lui lo sa bene.
Quando mi guarda, leggo chiaramente nei suoi occhi che vuole farlo.
Aspetta pazientemente il momento giusto, per affondare le mani nella sua preda.
Eppure, sa celare bene le sue intenzioni.
Sa essere galante, affascinante, seducente... Tanto da ammaliare la sua vittima, prima di ucciderla.
Facciamo l' amore, su quel letto ormai consumato dal sudore dei nostri corpi, come animali selvaggi ricerchiamo il piacere l' uno nell' altro, spingendoci sempre più verso il limite.
Alana si muove sopra di me, saltando sul mio ventre, aggrappandosi al mio petto.
Le mani di Hannibal sui suoi fianchi, mentre spinge dentro di lei.
Movimenti caotici tra corpi incastrati tra di loro, le scariche di piacere che si susseguono sempre più violente.
La lingua di Hannibal dentro la mia bocca, accompagna i miei gemiti soffocati, le mie mani stringono forte i seni di Alana, poi si spostano sulla schiena di lui, graffiandola.
Lo guardo, finchè nel suo viso appare un ombra.
Vedo quello stesso viso, mentre affonda la lama nel corpo della sua vittima.
Lo vedo godere della sua sofferenza, trarre piacere dalle sue urla di dolore.
Il suo corpo nudo ricoperto di sangue, che sovrasta il cadavere sotto di lui.
I suoi occhi di fuoco che mi fissano, finchè non raggiungo l' estasi.
E' buio adesso, solo la luce della luna che traspare dalla finestra, illumina i nostri corpi.
Il silenzio regna nella stanza, mentre giaciamo esausti in quel grande letto.
Alana dorme sdraiata su un fianco, ed il suo corpo sembra brillare nella notte, risaltando su tutta quell' oscurità opprimente.
Innocente e bellissima, dorme ignara del pericolo alle sue spalle.
Come una cerbiatta addormentata nella foresta, che non si accorge dell' arrivo della tigre.
Hannibal accarezza delicatamente le sue braccia, sfiorando il suo collo con le labbra.
Vedo la tigre, leccare la cerbiatta con finta dolcezza, mentre estrae le zanne.
Affonda i denti aguzzi nel collo della sua preda, squarciando la sua pelle, strappando via i muscoli, mentre il sangue gronda dalla sua bocca.
Gli occhi rossi della tigre, diventano quelli di Hannibal, il corpo della bestia, il suo.
Non ha più una cerbiatta tra le fauci, ma il corpo senza vita di Alana Bloom.
Mi sveglio di sovrassalto, senza respiro.
Mi volto a fatica, con il corpo scosso dai tremiti.
Alana dorme serena, con Hannibal placidamente disteso al suo fianco.
E' tutto tranquillo... Come se non fosse mai successo nulla.
"E' solo nella tua testa..." Mi ripeto per calmarmi, tornando a sdraiarmi.
Faccio un profondo respiro, poi mi volto verso Alana, la ascolto respirare, mentre il battito del mio cuore rallenta e si regolarizza.
Ma quando il mio sguardo si sposta su Hannibal, il cuore ricomincia a battere come un tamburo di guerra...
Come può un uomo solo provocare tutto questo dentro di me? Come può una persona condizionare a tal punto la vita di un' altra?
Vorrei sapere cosa gli da questo potere su di me... Ma temo che non troverò mai la risposta che cerco.
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Erano quasi le nove del mattino, e stavo preparando delle nuove esche.
Avevo bisogno di andare a pescare, di stare un po' da solo con i miei pensieri e una canna da pesca, ad ascoltare lo scroscio del fiume.
Winston era sdraiato sotto la scrivania, e giocava con la mia scarpa, come sempre.
Avevo appena bevuto un sorso di caffè, quando sentì una macchina arrivare vicino a casa.
Dapprima pensai che si trattasse di Hannibal, ma poi vidi Jack Crawford scendere dall' auto e varcare la mia porta.
"Buongiorno, Will." Mi disse con tono allegro.
"Jack, che sorpresa! E' un piacere vederti." Risposi, posando le pinze per le esche sulla scrivania.
Winston gli andò incontro scodinzolando, ormai si era abitutato alla sua presenza.
"Come stai, Will?" Mi chiese, accomodandosi sulla sedia accanto.
"Bene... Mi stavo preparando per andare a pesca." Esclamo un po' nervosamente.
Continuo a pensare a quando i convenevoli saranno finiti, e il vero motivo della sua visita verrà fuori. Qualunque esso sia.
"Ahh fai bene. Sono andato a pesca anche io, qualche tempo fà." Dice con tono affabile, mentre appoggia il cappello sulla scrivania.
Io riprendo a preparare le esche, cercando di sembrare il più naturale possibile.
"E com'è andata?"
"Bene, ho preso molti pesci. Bella mi ha cucinato una cenetta favolosa!"
"Mi fà piacere per voi allora..."
"Grazie... Anche se a dir il vero, mi è capitata una cosa piuttosto bizzarra quando ero li."
"Perchè, che è successo?"
"Beh vedi, c'è stato un problema con la mia esca."
Per un momento, il mio respiro si ferma, mentre le mani si bloccano, lasciando cadere le pinze che reggevo.
Jack le raccoglie, porgendomele con un sorriso affabile.
"Tu sei un esperto di esche, giusto? Magari puoi dirmi cosa ne pensi."
"C-certo Jack. Che è successo alla tua esca?"
"Vedi Will, nel lago in cui vado a pescare c'è un grosso pesce feroce, che attacca tutti i pesci più piccoli. Tu mi conosci, mi sono detto: Perchè non provare a prendere quello! Così, ho preparato varie esche, e sono andato a pescare tutti i giorni in quel lago. Ma questo è un pesce furbo, Will. E' riuscito a mangiare tutte le mie esche, senza mai farsi prendere."
"Sembra che tu abbia trovato uno squalo, anzi che un semplice pesce..."
"In un certo senso è così. - Risponde lui con una risatina nervosa - Poi però un giorno, ho trovato un esca che il pesce desiderava da tempo. La più gustosa e prelibata che ci fosse. L' ho messa in acqua, aspettando pazientemente. Ma è qui, che è successo qualcosa di veramente strano."
"Cosa...?"
Lui rimane qualche momento in silenzio, studiandomi.
"Si è liberata. E poi si è gettata... Dritta nella bocca del pesce."
Cercavo disperatamente qualcosa da dire, qualcosa che potesse sembrare giusto. Ma non mi veniva in mente niente...
"Forse non ha avuto altra scelta..."
"Forse. Ma io credo che ce l' avesse, una scelta. Poteva arrendersi al pesce e gettarsi nelle sue fauci, oppure... Poteva restare sull' amo. Farsi prendere. E quel punto, ci avrei pensato io a tirarlo fuori dalla pancia del pesce..."
"Forse aveva troppa paura... O forse, quello che davvero voleva era stare con il pesce. Perchè solo con lui si sentiva sicuro. Anche se dentrò di se, si odia per questo."
"Sei tu l' esperto, Will. Ti credo... Tuttavia, c'è una seconda parte della storia, che non ti ho raccontato."
Io lo guardai a lungo... Non volevo sapere la seconda parte. Non volevo più sapere niente, volevo solo essere lasciato in pace, da solo.
Eppure, una parte di me voleva sapere. Doveva, sapere.
"Sono tornato al lago, qualche giorno fà. Così, giusto per dare un occhiata... Ma appena sono arrivato sulla riva, ho trovato tra i giunchi e il fango... Un piccolo pesce, senza vita.
Un pesce... - Una smorfia di rabbia, cambiò il suo viso - Piccolo, Will. Troppo piccolo per fare quella fine."
Strinsi i pugni, serrai la mascella, chiusi per un attimo gli occhi.
"L' ho chiamato Wendy, quel piccolo pesce. Wendy Simmons."
Non riuscivo a parlare... E anche se ci fossi riuscito, cosa mai avrei potuto dire?
Non c' erano parole, che potessero servire a qualcosa.
Lui si avvicinò a me, sistemandomi con delicatezza gli occhiali storti.
Ci guardammo a lungo, in un tetro silenzio.
"Mi dispiace... Davvero."
"Lo so..."
"Io... Io non so più cosa devo fare. Non so più cosa sia giusto, e cosa sia sbagliato..." Sussurrai, con la voce incrinata dal dolore. "Sono perso... Perso in un abisso oscuro che mi divora giorno dopo giorno..."
"Allora, lascia che ti lanci una corda. - Rispose lui, stringendomi saldamente le spalle - Lascia che ti mostri un po' di luce."
Infilò la mano dentro la tasca della giacca, estraendo una fotografia.
La posò davanti a me, ma io non riuscivo a guardarla.
"Non puoi chiudere gli occhi di fronte a questo, Will. Glielo devi. Almeno questo."
Sapevo che aveva ragione, ma non volevo vederla.
"Guardala." Mi impose lui.
Spostai lo sguardo sulla fotografia.
Rimasi immobile a fissarla, per un momento che sembrò non finire mai.
Una giovane ragazza era distesa nuda sulla riva, i suoi occhi celesti spalancati dalla paura, sembravano fissare dritto dentro i miei.
I capelli biondi ancora bagnati, ricadevano sul petto esile e pallido, spezzato come un ramoscello.
"Meritava più di questo. Lo sai. Il suo sangue, ricade sulle mani di Hannibal, come sulle tue. Hai bisogno di un motivo? Di una luce infondo al tunnel? Eccola qui. Wendy Simmons, 19 anni. Dillo a lei, che non avevi altra scelta."
Jack si alzò e si allontanò in silenzio, uscendo da quella porta con gli occhi ancora lucidi e i pugni chiusi.
Scoppiai a piangere sulla fotografia, senza riuscire a distogliere lo sguardo dai suoi occhi azzurri senza vita.
"Mi dispiace Wendy... Mi dispiace..."

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