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Non avevo programmato nulla, non avevo deciso di andare a Londra per cercare Camila qualche giorno fa, non avevo deciso di non dire nulla a mio fratello e scappare di casa. Avevo agito senza pensare, e adesso mi trovavo su un treno per Londra, con l'unica intenzione di trovare Camila.
Non sapevo quello che stavo facendo, ma che lo dovevo fare.

Scesa dal treno fui immersa dal caos della gente che mi respirava attorno. Adulti, bambini, gente normale con delle destinazioni e delle strade da percorrere. Soltanto io ero senza meta. Mi guardai intorno, ma non credetti davvero di vederla. Non funziona così. Ero sola, completamente sola, e mi aspettava il nulla. Camminai un po' in mezzo alla folla guardandomi intorno, sperando di scorgere la sua figura, ma c'era troppa gente. Non avevo idea di dove andare, soltanto un ricordo. L'avevo rivista da McDonald's, forse andando lì avrei avuto qualche indizio.
Mi sbrigai ad uscire dalla stazione, e quando arrivai alla fine fui immersa dalla confusione prodotta dalle auto, dai taxi, dai mezzi pubblici. Quel caos era rassicurante, come se non ci fosse niente di male nel mondo, ma sapevo che non era così. C'era Michael, quello era il male. Soltanto a pensare a lui iniziai a stare male, così accantonai il pensiero e mi misi a pensare a Camila. Lei mi aveva fermata proprio alla stazione, ma di lei non c'era più alcuna traccia. Non restava niente. L'unica cosa che pensai di fare fu andare da McDonald, per prendere qualcosa da bere.
Ora che avevo una destinazione mi incamminai con passo deciso, senza smettere di guardarmi intorno, e quando arrivai al fast food entrai con l'unico desiderio di vederla. Ma c'era così tanta gente che mi persi a contemplarla tutta. Mi affrettai ad andare alla cassa per ordinare una coca-cola, e quando mi sedetti ad un tavolo ripensai a quello che era successo qualche giorno fa. Nessuna ragazza si era fermata a parlare con me, niente e nessuno si era avvicinato a me, non era rimasto niente, soltanto il ricordo di quel dialogo, dell'arrivo di Michael. Bevvi la mia bibita a piccoli sorsi, e pensai definitivamente di andare al luna park. Non so a che cosa sarebbe servito, soltanto a ricordare. Ma volevo rivivere quei momenti, sperando di trovarla.
Una volta arrivata al luna park mi persi di nuovo in mezzo alla gente, ai bambini e agli adulti ammassati sulle giostre. Non andai nel bar, restai accanto agli autoscontri, a guardarmi attorno. Il ricordo di Camila era vivido, vivo e presente, e fece male. Ricordai di quando la vidi alzarsi dal bagno, ricordai i suoi occhi vitrei, le pupille dilatate, le sue risate su quel dannato autoscontro. Dovevo immaginarlo, non sono stupida, ma credevo che fosse più forte. Mi sbagliavo di grosso.
Aspettai almeno un'ora, incapace di muovermi, poi decisi che la mia presenza in quel luna park era inutile. Mi mossi lentamente, uscendo a passo incerto, con l'unico desiderio di tornare alla stazione. E così feci, tornai alla stazione dove avevo preso il treno, dove era iniziato tutto.
Entrai e il caos mi avvolse, tanto che credetti di trovarmi in mezzo ad un girone infernale. C'era chi andava e chi tornava, chi prendeva il treno e chi scendeva. Erano tutti indaffarati, e ancora una volta mi sentii senza meta, senza alcuna destinazione. Mi sedetti su una panchina e desiderai avere una sigaretta, ma non fumavo e mai avrei iniziato. Ero a corto di idee, così l'unica cosa che potei fare fu controllare sul tabellone l'orario del treno di ritorno. Avevo ancora quattro ore, un'eternità. Quel viaggio non era servito a nulla, era stato uno stupido colpo di testa che non aveva portato a nulla. Dovevo tornare a casa e in fretta.
Mi alzai dalla panchina e andai accanto al tabellone tanto per fare qualcosa, quando in lontananza, in mezzo alla gente, vidi Michael. Era lui, non c'era alcun dubbio. Mi immobilizzai e lo guardai camminare con tranquillità. Indossava una camicia azzurro chiaro, un paio di jeans e sembrava essere lì in ricognizione. Forse le sue ragazze andavano a combinare proprio in stazione. Quando si mosse e fece per uscire dalla stazione decisi di seguirlo.

Non seppi come fare, ma riuscii a pedinarlo senza essere vista. Forse ci riuscii perché lui non si aspettava niente di tutto questo, non dovetti nascondermi quasi mai, lo seguii e basta. Lo seguii sul retro della stazione per qualche metro, poi per una stretta stradina piena di uffici e magazzini, fino ad un insieme di vie intricate.
A quel punto le cose si fecero complicate perché dovevo stargli vicino per non perderlo di vista. La maggior parte delle case in quella zona erano villette. Non mi vide quando si fermò davanti ad una casa bianca, ma io mi appostai accanto ad un insieme di rami ed erbacce alte quanto me. Mi nascosero bene ma non nascosero lui. Michael guardò la casa per un po', come perso nei suoi pensieri, poi si avvicinò al cancello, prese un paio di chiavi ed entrò. Sperai che lasciasse il cancello aperto perché sentii che in quella casa c'erano le sue ragazze e quindi Camila.
Sparì dalla mia vista entrando in casa.
Non sapevo che cosa fare. L'unica cosa che mi venne in mente di fare fu aspettare. Volevo entrare e trovare Camila ma prima dovevo vedere con i miei occhi Michael uscire. Non potevo certo farmi scoprire da lui. Mi avrebbe picchiata o peggio. Così aspettai e aspettai, restando immobile al mio posto, a fissare la casa. Non accadde nulla, passò soltanto qualche auto e quando controllai l'ora mi accorsi che erano le 20. Mancavano tre ore al mio treno. Che cosa dovevo fare? E se l'avessi perso? L'unica cosa che feci fu guardare la casa. Mi accorsi che era un condominio, un insieme di abitazioni. Forse non ci abitava soltanto Camila ma anche qualche altra ragazza. Quel pensiero fu deprimente e per poco non caddi sull'asfalto.
Dieci minuti dopo finalmente Michael uscì dalla casa. Si guardò intorno poi scese i gradini e superò il cancello chiudendolo a chiave. Sospirai perché non avevo nessuna via di fuga. Se lui aveva chiuso il cancello a chiave non avevo nessuna possibilità di entrare.
Quando si allontanò mi nascosi di più ma non mi vide. Restai da sola, ad aspettare, ancora una volta. Non avevo via d'uscita, non sapevo che cosa fare per entrare. Potevo suonare il citofono ma non ero sicura che mi avrebbe aperto Camila e poi non sapevo il suo cognome. Dovevo aspettare e basta, sperare che uscisse lei magari, per poi tornare alla stazione e a casa.
Stavo per immettermi nella strada che mi avrebbe condotto alla stazione quando vidi un movimento. Una signora anziana si stava avvicinando alla casa, delle buste della spesa in mano. Quando la vidi il mio cuore iniziò a battermi forte in petto, e capii che cosa dovevo fare. Mi mossi rapidamente, andando verso di lei, e quando la vidi cercare in tasca le chiavi senza lasciare le buste delle spesa mi rivolsi a lei.
<< Lasci che l'aiuti>> dissi guardandola. La signora mi sorrise, poi mi ringraziò e si fece prendere una busta della spesa. Poi aprì il cancello, dandomi modo di entrare a mia volta in casa. La seguii lungo le scale, quelle stesse scale che aveva fatto Michael, poi entrammo in casa assieme. Mi condusse lungo un corridoio e vidi una serie di porte chiuse. La casa sembrava essere disabitata ma era soltanto una mia impressione. Udii il rumore distante di una radio e per poco non andai a sbattere contro la signora quando quella si fermò difronte ad una porta chiusa.
<< Puoi lasciarmi qui>> disse gentile, prendendo dalla mia mano la busta della spesa. Annuii e mi allontanai lasciandola sola, e quando le diedi le spalle mi sentii male. Dovevo cercare Camila.

Salii al primo piano e mi fermai sul pianerottolo. C'erano sei porte chiuse. Sentivo le auto sfrecciare in strada. Le luci dei fari si riflettevano sulle finestre, illuminando i muri per poi restare nel silenzio e nel buio quando le auto si allontanavano. Percorsi il corridoio e arrivai ad una scala, che affrontai con il cuore in gola. Arrivai al secondo piano e sentii una musica provenire da una delle porte chiuse. Dovevo chiedere a qualcuno se in quel posto ci abitava Camila. Così seguii il suono della musica e arrivai ad una porta. Bussai con il cuore in gola.
La ragazza che mi aprì non era in uno buono stato. Sembrava aver fumato qualcosa di pesante. Non disse una parola, si limitò a fissarmi.
<< Sto cercando una ragazza che si chiama Camila. La conosci?>> le chiesi.
Lei non mi rispose, si limitò a continuare a fissarmi.
<< Abita qui Camila? Non conosco il suo cognome, so soltanto che si chiama Camila>> riprovai.
<< Si, abita qui. La sua casa è al terzo piano, seconda porta. Non venire a rompermi più le palle>> e detto questo mi chiuse la porta in faccia. Respirai a fatica e mi incamminai in direzione delle altre scale per raggiungere il terzo piano.
Quando arrivai alla sua porta, per poco non caddi sul pavimento per la sorpresa. Ce l'avevo fatta, l'avevo trovata. L'avevo cercata per tutta Londra e lei era lì, ad un passo da me. Dovevo soltanto bussare.

15 marzo 2017

CamilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora