Devastation

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CAPITOLO 4: DEVASTATION

When you were standing in the wake of devastation
When you were waiting on the edge of the unknown
And with the cataclysm raining down, insides crying save me now
You were there impossibly alone.

Do you feel cold and lost in desperation?
You build up hope, but failures all you've known.
Remember all the sadness and frustration
And let it go.
Let it go.

Quando stavi in piedi sulla scia della devastazione
Quando stavi aspettando sull'orlo dell'ignoto
E con il cataclisma su di te, mentre urlavi "che qualcuno mi salvi"
Eri lì, assolutamente da solo.

Ti senti freddo e perso nella disperazione?
Hai costruito speranza, ma tutto ciò che hai ottenuto è il fallimento.
Ricorda tutta la tristezza e la frustrazione.
E lasciala andare.
Lasciala andare.


*Clarke si svegliò con un lieve sussulto nell'udire il fastidioso trillo del telefono. Guardò l'orario proiettato sul muro dalla sua radiosveglia: era l'una e mezza del mattino. Chi diavolo poteva telefonare a quell'ora della notte?!

Aspettò un paio di squilli, credendo che sarebbe andato a rispondere suo padre, dal momento in cui Abby si trovava in sala operatoria per un intervento urgente, ma, non sentendo alcun rumore provenire dal corridoio, scostò le coperte con fare ancora assonnato e si avviò velocemente verso il piano inferiore, rabbrividendo per essere passata dal caldo abbraccio delle sue coperte al freddo dell'aria della sua stanza a novembre inoltrato.

«Pronto?» disse quasi sbadigliando dopo aver sollevato la cornetta.

«Salve. Mi dispiace disturbarla a quest'ora. Parlo con la dottoressa Abigail Griffin?».

La voce all'altro capo del telefono era incredibilmente seria e Clarke si fece più vigile.

«No, io sono la figlia. Mia madre è in sala operatoria per un intervento urgente e non credo che sarà a casa prima di domattina. Ma con chi parlo?».

«Sono il detective Marcus Kane, dipartimento di Brooklyn».

Quelle parole misero subito in allarme la ragazza, che adesso era completamente sveglia.

«Posso fare qualcosa per lei, detective?».

«Circa un quarto d'ora fa è arrivato al pronto soccorso di uno dei nostri ospedali un uomo di nome Jake Griffin. È suo padre?».

Silenzio.

Clarke non riusciva a pensare. Ma com'era possibile? Suo padre era in camera sua, insomma... doveva essere in camera sua!

La ragazza annaspò e riuscì a emettere soltanto un "Sì" alquanto strozzato.

«Signorina, ha modo di venire nell'ospedale Wallace General?».

«Io... io... » non riusciva proprio a ragionare, era totalmente andata in tilt. Poi le parole finalmente uscirono più sensate: «Io abito a Fort Hill, a Staten Island... non credo di riuscire, a quest'ora non ci sono scafi e i miei genitori hanno entrambe le macchine».

«D'accordo, signorina. Mando due dei miei uomini a prenderla. Mi lascia il suo indirizzo?».

Clarke obbedì come un automa, poi cercò di avere notizie su suo padre.

«Detective, quanto è grave mio padre? Che cosa gli è successo?».

Sentì l'uomo sospirare pesantemente e questo non le lasciò presagire nulla di buono.

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