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Sono ancora nella stanza spoglia, in piedi davanti a Jamie, proteggendolo con il mio corpo da Evan, la cui presenza incombe su di me. Lo guardo in silenzio, le labbra contratte e lacrime non versate che mi bruciano gli occhi.

- Ora, Eleanor, desidero che tu esca da questa stanza. Ermine ti accompagnerà nella mia stanza. Non voglio che tu esca dalla villa, nè che rimanga sola troppo a lungo - dice Evan con una calma glaciale.

Apro la bocca per protestare, ma rimembro di dover stare in silenzio. Per il bene di Jamie.

- Inoltre, esigo che tu non torni più qui dentro senza il mio consenso - aggiunge.

Sgrano gli occhi, incredula davanti la sua prepotenza.

- Non potete...- inizio, ma mi blocco.

- Farò qualsiasi cosa voi desideriate, ma non questo. Vi prego, devo vedere Jamie. Accertarmi che stia bene...

Una risata secca. - Non solo state mettendo in discussione la mia parola, Miss Donato, ma state anche dubitando della mia umanità, del mio buonsenso.

Resto in silenzio, lanciando un'occhiata in direzione di Jamie.

- Bene...è tutto, Miss Donato. Ermine! - Evan va verso la porta e la apre. Poco dopo arriva la ragazza, fa un piccolo inchino e tiene gli occhi rivolti a terra.

- Cosa posso fare per voi, signor Woods? - sussurra con tono reverenziale. Ho la nausea.
Mi premo le mani sul ventre e cerco di prendere respiri profondi mentre distolgo lo sguardo da lei.

- Accompagna Miss Donato nella mia stanza e tienila sotto controllo. Sappiamo entrambi come la nostra cara Eleanor possa essere impulsiva, ribelle e disobbediente, anche se suppongo sarà molto più docile d'ora in poi...dico bene?

Non lo guardo, ma posso percepire i suoi occhi su di me ed il sorriso beffardo che gli increspa le labbra per come ha pronunciato la sua domanda.
Prendo un ultimo respiro profondo e mi volto, avendo la prova delle mie supposizioni.
La rabbia mi ribolle nelle vene e presto sostituisce il senso di sottomissione e di impotenza provati fino a questo momento.
Alzo la testa, in modo da mantenere un portamento fiero e fisso il mio sguardo nel suo, sfidandolo. Cammino verso di lui, che non accenna a scomporsi minimamente. Resta in piedi, immobile. In attesa. Mantiene il suo sorriso beffardo, gli occhi intensi mi scavano dentro, ma non mi lascio intimorire. Continuo ad avanzare e mi fermo solo una volta giunta esattamente di fronte a lui. La stoffa del mio abito sfiora i suoi stivali scuri e posso quasi avvertire il suo respiro gelido sulla pelle, nonostante la nostra differenza di altezza sia notevole.

- Tenete gli occhi ben aperti, allora, signor Woods - sputo, concedendomi un sorriso sfrontato. L'affronto è grave ed esplicito. I suoi occhi vengono illuminati dal solito bagliore rosso che non fa presagire nulla di buono, mentre il suo sorriso diventa un ghigno.

- Le cose stanno così, Miss Donato?   Benissimo; vorrà dire che mi divertirò in un modo o nell'altro. Avrei dovuto immaginare che piegarti al mio volere sarebbe stato estremamente complicato, nonostante tutto...be', meglio per me: ho un valido motivo per poter torturare il tuo caro amico, magari ucciderlo, ed una volta finito con lui ti avrò completamente alla mia mercé. Adesso Ermine, portala via!

Sento le mani della ragazza afferrarmi un braccio. Mi divincolo bruscamente, ma prima che possa fare qualcosa, Evan, lo sguardo fisso nel mio, chiude la porta della stanza, rimanendo all'interno solo con Jamie.

- Lasciami, so camminare da sola - dico gelidamente.

Mentre ci dirigiamo verso la camera di Evan, ripenso a ciò che è accaduto. Ho creduto di poter avere la meglio su di lui, di poter vincere la partita a cui sta giocando Evan. Ma mi sono sbagliata. Questa è la sua partita e non c'è niente che io possa fare per vincerla. Mi costa ammetterlo, ma lui sarà sempre il vincitore ed io dovrò ammettere la mia bruciante sconfitta.

- Dovete smetterla di essere così irrispettosa e provare ad essere più disponibile - la voce improvvisa di Ermine mi distoglie dai miei pensieri. È flebile, ma sembra ugualmente decisa e tagliente.
Mi volto di scatto verso di lei, lanciando trapelare dal mio sguardo tutta la mia rabbia.

- Come puoi dirmi una cosa simile? È disposto ad uccidere per ottenere ciò che vuole, e Jamie è un innocente! - esclamo, fuori di me.

- Il signor Woods non sarebbe costretto a farlo se solo voi foste grata per ciò che vi offre, per ciò che avete. Smettete di comportarvi come una bambina.

Come osa parlarmi in questo modo? Non ne ha il diritto, si sta prendendo una confidenza che io non le ho concesso.

- Non ti permetto di rivolgerti a me in questa maniera - ribatto con lo stesso tono affilato, ma il suo sguardo mi fa comprendere ciò che prima ignoravo.

- Tu parli così perché vuoi essere al mio posto, non è vero? Sappi che sarei felicissima di cederlo a te e andarmene di qui. Non ho più una famiglia, ma potrei andare a vivere dai signori Baker, se solo potessi! Tu non capisci perché io disprezzi tanto la mia situazione, perché odi il tuo prezioso signor Woods; ha ucciso la mia famiglia! Ed ora vuole fare la stessa cosa con Jamie solo per punire me. Non potrò mai perdonarlo né amarlo - la voce si incrina per l'intensità emotiva del mio fiume di parole.

Noto il lieve sussulto di Ermine, poi senza dire una parola apre la porta della stanza di Evan e mi fa entrare, mentre lei rimane sulla soglia.

- No, Miss Donato. Siete voi a non capire - dichiara con uno strano tono, ma non faccio in tempo a chiedere alcuna spiegazione: ha già chiuso la porta.

Lascio andare un urlo di rabbia mista ad impotenza e sferro malamente un pugno sul legno della porta. Il dolore è lancinante ed emetto un verso strozzato osservandomi la mano tremante ed arrossata. Mi dirigo verso il letto e mi ci siedo, afferrandomi la testa fra le mani. Non resisto un istante di più e mi lascio andare in un pianto silenzioso. Le lacrime calde mi rigano le guance e cadono sul pavimento.
La porta si apre all'improvviso ed io mi rifiuto di alzare la testa. Non ne ho bisogno: so che si tratta di lui. Oggi ho ricevuto abbastanza umiliazioni, non voglio concedergli un'altra occasione su un piatto d'argento. Vedermi il viso bagnato di lacrime sarebbe estremamente gratificante per lui.
I suoi stivali entrano nella mia visuale limitata, poi la sua mano aperta si posa sulla mia testa.
Rabbrividisco per il contatto, colma di disgusto.

- Guardami - mormora soltanto.

Deglutisco, ma non mi muovo.

- Eleanor...non abbandoni mai la tua indole ribelle, non è così? Guardami - la sua voce sembra morbido velluto, ma so che si tratta solo di un inganno.

Sospira spazientito, poi sento le sue dita afferrarmi le ciocche di capelli e tirarmi la testa all'indietro. Stringo i denti e lo guardo con un'intensità che non mi appartiene, prodotto della rabbia e del disprezzo che provo nei suoi confronti. Voglio che lo capisca, che lo legga nei miei occhi.
Avvicina il viso al mio, le nostre labbra quasi si sfiorano ed un fremito involontario mi scuote.
Solleva la mano libera e con il pollice mi asciuga i residui delle lacrime versate senza mai lasciare il mio sguardo.

- Non mi toccate...- sibilo, stremata.

- Io vi dispr...- provo a dire, ma le mie parole vengono smorzate dalla sua bocca sulla mia.

Cerco di divincolarmi, ma riesce a tenermi ferma senza il minimo sforzo. Mi porta a sdraiarmi sulla schiena, poi affonda il viso nel mio collo ed inizia a bere indisturbato.
È troppo forte, ed io non riesco a fermarlo. Gli occhi bruciano per le lacrime appena versate allo stesso modo del morso sul collo da cui Evan ancora non accenna a staccarsi.
Quando scivolo nel sonno, non so se è per la pesantezza delle palpebre o per la sensazione di improvvisa debolezza che aumenta a mano a mano che il sangue defluisce dal mio corpo.
E poiché l'oscurità mi sta soffocando, non posso dire con certezza di aver realmente sentito le parole di Evan oppure no:

- Sto solo cercando di proteggerti.

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