Capitolo Tredici

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Appena riaprii gli occhi la prima cosa che vidi fu il volto sorridente di Michele.

«Come ti senti?»

«Bene.»

Era vero. Stavo bene. Il dolore alla spalla era stranamente sparito. Che mi fossi immaginata tutto? Mi alzai a sedere e mi guardai intorno. Ero nel parco, e attorno a me c'erano ancora i resti dei demoni che Michele aveva eliminato, quindi purtroppo non era stato un sogno. Mi controllai la spalla. La maglietta era strappata ed insanguinata nel punto in cui il coltello aveva trafitto la mia carne, ma non c'era più traccia della ferita, e riuscivo nuovamente a muovere il braccio destro con naturalezza.

«Cos'è successo? La mia ferita...»

«Raffaele ti ha guarita. È appena volato via.» spiegò l'arcangelo.

«Capisco. Per quanto sono stata svenuta?» chiesi, notando che il cielo cominciava ad imbrunire.

Avevo chiesto ad Ashley di tenere Bryan per un'oretta, e se fossi rimasta svenuta a lungo, costringendola a restare oltre? O peggio, se mio padre fosse rientrato e non mi avesse trovato, accorgendosi che avevo chiesto alla mia amica di badare a mio fratello per uscire per i fatti miei? Sarei finita in punizione come minimo per un mese!

«Solo una decina di minuti, tranquilla.»

Tirai un sospiro di sollievo. Questo mi lasciava un'ampia mezz'ora di tempo per rientrare.

«Ok, allora andiamo, immagino che Ash vorrà rientrare a casa.»

Mi incamminai, senza notare che Michele non mi stava seguendo.

«Ehm... Lyn...» cominciò.

Mi voltai e notai che stava fissando la mia spalla. Controllai e ricordai che avevo ancora la maglia strappata e imbrattata di sangue. Non potevo decisamente tornare a casa in quelle condizioni. Che avrei potuto fare? I negozi avrebbero chiuso a breve, avrei avuto il tempo di acquistare un'altra maglietta prima di rientrare?

Mentre facevo i miei calcoli mentali, notai Michele togliersi la sua giacca e posarla a terra, poi prese a sfilarsi la maglietta.

O.Mio.Dio. pensai, mentre lo guardavo spogliarsi, ritrovandomi ad ammirare i suoi muscoli scolpiti, il suo petto nudo che sembrava invitarmi a gettarmi tra le sue braccia e stringerlo a me... Non sbavare, non sbavare, non sbavare! mi ripetevo, mentre mi immaginavo sfiorare ogni centimetro di quel corpo divino, con le mani, con le labbra...

Scossi la testa, riscuotendomi da quei pensieri decisamente poco casti. Se non potevamo nemmeno baciarci, era fuor di dubbio che non avremmo mai potuto fare nulla del genere.

«Che c'è?» chiese lui, con la maglietta in mano, notando il mio gesto.

C'è che ti strapperei i vestiti di dosso e ti violenterei qui su due piedi! pensai.

Presi un respiro profondo per cercare di calmare i miei ormoni impazziti e recuperare un minimo di lucidità.

«Niente, niente. Scusa.»

Lui mi porse la sua maglietta. Intendeva seriamente farmi rientrare a casa con la sua t-shirt?

«Ma tu come farai scusa? Non puoi mica andare in giro così!»

Lui si rimise la giacca e la chiuse, in modo che non si notasse che non indossava la maglietta. Quel giorno faceva particolarmente caldo per indossare la giacca, ma lui non sembrò curarsene.

«Se qualcuno me lo chiede, dirò che non mi sento bene.» disse con naturalezza. «Ora ti conviene indossare la mia maglia, meglio che rientri a casa prima di tuo padre, altrimenti non vorrei essere nei tuoi panni!»

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