Capitolo Diciassette

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Durante il tragitto verso casa Michele non mi degnò di uno sguardo, continuava a fissare la strada fingendosi concentrato, ma la mascella contratta e lo sguardo severo erano un chiaro monito della sua rabbia nei miei confronti.

Avevo visto un'espressione simile sul suo volto solo mentre minacciava il demone che mi aveva attaccato in camera mia. Mi aveva spaventato quella volta, e ora che quell'astio era rivolto verso di me non potevo che sentirmi un verme per quello che avevo fatto.

Avevo agito senza pensare, senza riflettere su quanto il mio comportamento avrebbe potuto ferire il mio ragazzo. Era facile immaginare quanto potesse essere importante la sincerità per Michele, dal momento che lui non era in grado di mentire, e io avevo tradito la sua fiducia. Mi sentivo uno schifo. Ma cosa diavolo mi era saltato in testa?

«Michele...» tentai di nuovo appena rientrati a casa, mentre preparavo un pranzo veloce prima di andare a lavorare da mio cugino.

«Perché l'hai fatto?» chiese.

Non sapevo come rispondere, mi rendevo conto da sola della debolezza della mia giustificazione, ma decisi che non gli avrei più mentito, per nessun motivo.

«Non volevo litigare con te, so che Bryan non ti sta simpatico, ma avevo bisogno di sapere, e non volevo che tu me lo impedissi. Mi dispiace, sono stata una stupida.»

Michele sospirò, triste.

«Ti ho mai realmente impedito di fare qualcosa? È vero, non ritengo Bryan una persona affidabile, anzi, penso che sia molto più pericoloso di quello che vuol far credere, e non ne ho mai fatto mistero, lo so. Ma i miei erano solo avvertimenti, non ti ho mai impedito di fare le tue scelte, giuste o sbagliate che fossero. Non ti ho mai privato del libero arbitrio, Evelyn. Capisco che tu abbia bisogno di risposte, non ti avrei impedito di andare, ti avrei semplicemente accompagnato.»

Quelle parole mi fecero stare ancora peggio. Aveva ragione, e io lo sapevo, l'avevo sempre saputo. Eppure avevo mentito.

«Mi dispiace, Michele. Ho sbagliato, lo so. Non so che mi sia preso. Pensavo di potermela cavare da sola.»

«Certo, e scommetto che il fatto che tu stessi per baciarlo era una scelta tua, vero?» sbottò lui.

Abbassai lo sguardo, mortificata. Però a giudicare dalle sue parole, le mie impressioni su Bryan erano esatte. Era davvero in grado di farmi qualcosa per attirarmi a lui contro la mia volontà.

«Lo so, ho sbagliato, mi dispiace. Perdonami Michele, ti prego. Non ce la faccio a litigare con te.»

Lui mi raggiunse e mi abbracciò da dietro mentre preparavo il pranzo.

«Io ti amo, Evelyn, e in cuor mio ti ho già perdonato. Ma volevo che capissi quanto il tuo comportamento mi ha ferito, voglio potermi fidare di te, Lyn. E sapere che non esiti a mentirmi non aiuta.»

«Mi dispiace, Michele. Non ti mentirò più, te lo prometto. Ho imparato la lezione.» dissi, voltandomi verso di lui. «Possiamo metterci una pietra sopra?»

Lui mi sorrise, stringendomi a sé.

«Certo. Lo sai che non riesco a restare arrabbiato con te, certo, la delusione brucia ancora, ma mi passerà.»

Sorrisi, appoggiando la testa sulla sua spalla. Sapevo di non poter sperare in un perdono 'assoluto', mi dispiaceva averlo deluso, ma mi consolava sapere che era disposto a perdonarmi, nonostante tutto.

***

Durante la settimana successiva, come aveva promesso, Michele mi portò quotidianamente in un edificio abbandonato fuori città per provare ad insegnarmi a difendermi da sola, ed io imparai sulla mia pelle quanto quei film si sbagliassero. Ero motivata, certo, volevo sopravvivere al prossimo attacco dei demoni, eppure questo non bastò a farmi diventare un asso dell'autodifesa, anzi continuavo ad essere una frana in tutto ciò che avesse anche solo lontanamente a che fare con l'educazione fisica.

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