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Sono passati un paio di giorni e dalla festa tutto è cambiato. Davide, mi chiama in continuazione, è molto dolce, come quando abbiamo iniziato ad uscire insieme tre anni fa, ma ora lo sento pesante, chiede cosa faccio in qualsiasi momento , come per controllare ogni mio singolo movimento. Amos, invece è passato il giorno dopo la festa per chiedermi di andare a fare una passeggiata. Io ero distrutta, faccia sbattuta, avevo indossato in fretta un paio di pantaloncini ed una maglia larga e sono uscita di casa così com'ero, lui invece era perfetto. Pantaloncini da basket rossi e bianchi, una maglietta nera attillata con dei piccoli fori sulle spalle e Ray Ban scuri. Pensavo saremmo usciti con la sua auto, invece abbiamo passeggiato per circa tre ore. Durante quel lasso di tempo non ci siamo detti molto, abbiamo parlato della festa e lui ha mantenuto quel suo tipico atteggiamento distante, come se fosse concentrato su qualcosa. Ad un certo punto della passeggiata, Amos parte in quarta iniziando a correre sul marciapiede, non sapendo cosa fare lo rincorsi fino ad arrivare nell'entrata di un parco, dove lui, improvvisamente si gira ed io non riuscendo a frenare, lo placco buttandolo a terra. In quel momento mi sono ritrovata esattamente sopra di lui, che intanto si era tolto gli occhiali da sole e mi guardava insistentemente. Uno sguardo che pensavo di non riuscire a catturare, a mia volta lo guardai, ma con le sopracciglia inarcate, per cercare di farlo ridere un pò, cosa che non ero riuscita a fare.Delusa ma soprattutto imbarazzata, mi levai da quella posizione così ...critica. Mi stesi sull'erba accanto a lui , e in quel momento, lo ricordo chiaramente, sentii il respiro mancarmi, non per la corsa, ma per quello sguardo così freddo, che era riuscito a farmi dimenticare i 34 gradi, di questa affannosa estate. Mi sentivo immobile su quel prato, imbarazzata da quel nulla che era appena successo, guardando il cielo non riuscivo a non paragonarlo agli occhi del ragazzo accanto a me, quel pensiero mi fece sentire più tranquilla, mi piaceva sentirmi "osservata da lui". La tranquillità venne interrotta da una domanda diretta postami da una bimba , che intanto mi stava osservando,

- è il tuo fidanzato - chiese la bambina, con le guancie piene, come se avesse in bocca un paio di mele.

Io non capivo il senso di quella domanda e le risposi muovendo la testa da destra a sinistra per indicarle no, ma lei insicura della mia risposta mi chiese con tono più deciso,

- allora perché gli stringi la mano? - osservai le nostre mani e mi resi conto che la stavo veramente stringendo.

Amos a quella domanda si era seduto e strinse ancora più forte la mia mano. La baciò e guardando la bimba, rispose che io non ero la sua ragazza " lei è mia moglie", e scoppiò a ridere. Io basita, lasciai la sua mano e cercai di spiegare alla bimba che si trattava solo di uno scherzo. 

Ora ripensandoci non riesco a capire come le nostre mani si erano intrecciate a quel modo senza che me ne accorgessi. Comunque le stranezze non finirono li. In tutta la passeggiata non mi aveva chiesto di Davide, fino al momento in cui ci trovammo di fronte al mio appartamento , chiedendomi se ero felice. Non risposi e lui girandosi di spalle mi disse  " Sai l'espressione da ragazza che sta per piangere, non è sparito dal tuo bel faccino", andandosene senza voltarsi. Non mi stupì, anzi, ne ero completamente consapevole.

Ammetto che ora, ripensandoci bene, quei momenti di intimità che ho avuto con Amos mi sono piaciuti. Non facevo amicizia con qualcuno di nuovo dalla prima superiore, ed ora che sono cresciuta forse questi rapporti si instaurano in maniera diversa. Certo io ed Amos non parliamo molto, ma quando lo facciamo o perlomeno quando lo fa lui, mette in discussione ciò che sono e stranamente questo non mi turba, penso invece che, a suo modo mi stia aiutando a crescere, a capire cosa mi rende triste.

Perché sono triste? Mi sento sola e questa nuova situazione non aiuta, anzi ha amplificato questa sensazione. Mi sento così da sempre, da quando mio padre aveva iniziato a lavorare all'estero lasciandomi vivere da sola dall'età di 15 anni, ma non gli addosso nessuna colpa, so bene che tutto quello che ha fatto, lo ha fatto solo per me. Sono sola anche in compagnia, la solitudine mi uccide, mi logora. Dopo anni ho imparato a  nascondere bene questa sofferenza, che mi porto a dietro come un amuleto. Nessuno ha mai sospettato della mia infelicità, nessuno, tranne un ragazzo sconosciuto con gli occhi di perla. Inizio a pensare che quegli occhi così chiari mi scrutino l'anima, che non è pulita come voglio far credere, ma è macchiata da inchiostro indelebile, ho fatto così tanto male che sono dovuta scappare dal passato per  riuscire a crearmi un futuro diverso.

AmosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora