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I tacchi affondano nell'erba del giardino posteriore alla villa, mi abbasso per toglierli ma inciampo vicino alla fontana con al centro la statua di Diana, non mi rialzo ed inizio a sorseggiare dalla bottiglia troppo vuota per i miei gusti, non mi importa del trucco, del vestito e nemmeno di questo cuore che martella. 

L'aria in questi giorni è tornata calda, ma non abbastanza da sciogliere il gelo che si è insinuato dentro al mio petto, perché ha fatto questo?

Una giacca grigia scura si posa dolcemente sulle mie spalle ne annuso la fragranza, mentre Amos mi siede accanto.

- Passami la bottiglia -

Con la testa gli faccio segno di no.

- Non essere egoista - quindi me la strappa di mano bevendone un lungo sorso.

Lo guardo ma è come se non lo vedessi, il cielo in questa notte autunnale è tornato a farsi nero, beviamo silenziosamente il liquido trasparente dell'elegante bottiglia blu, il calore della vodka mi dilania la gola mentre il mio viso si contorce in una piccola smorfia, Amos invece beve come se stesse sorseggiando della semplice acqua naturale, con il braccio mi stringe a se, automaticamente la mia testa crea una foto di questa scena apparentemente romantica, una giovane donna di rosso vestita incastrata nell'abbraccio dell'uomo che possiede il suo cuore, così vicini da poter quasi implodere in un essere solo, come nei quadri cupi di Munch, ma nulla di questa scena è così terrificante o romantico, la conferma di questo me la danno i fragorosi applausi provenienti dalla villa alle mie spalle, io vivo in un mondo dove le madri muoiono, le figlie si ubriacano sotto una luna troppo sottile per illuminare il volto di un ragazzo che ignora le ombre celate nel cuore della sua donna. 

- Era tua ... madre? -

- Sai perché tengo i capelli corti ? - 

La mia attenzione passa dal cielo senza stelle alle due biglie luminose che sono gli occhi di Amos, mi guarda come se fossi impazzita o troppo ubriaca per capirlo, purtroppo la sobrietà persiste sempre nei momenti peggiori. Come al solito non aspetto la sua risposta.

- Avevo quattordici anni quando mia madre me li tagliò nel bagno della sua camera di ospedale, volevo dimostrarle che non era sola, che le sarei stata sempre vicina, volevo farle capire che si poteva essere belle anche più dimagrite e senza capelli, lei lo era veramente, il suo viso rimaneva incredibilmente femminile anche se calva e stanca, andavo a trovarla sempre negli ultimi tempi, gracile come un filo d'erba ma forte come una montagna era la donna più incredibile del mondo, si stancava anche solo a parlare ma per me si sforzava di camminare tutti i giorni per i lunghi corridoi uguali dell'ospedale. Un pomeriggio mi guardò con gli occhi vitrei pieni di lacrime, mi fece stare con lei un minuto, uno, e poi mi fece andare via dalla stanza non prima di avermi detto " Le rose più belle appassiscono al battito d'ali di una farfalla ", quella sera morì, sotto gli occhi di mio padre che un tempo giuro erano marroni ma che sono diventati neri dal dolore, io ero arrabbiata con lei non mi aveva detto addio mi aveva lasciata dicendomi una frase stupida, che non avrei capito per molto tempo. Al suo funerale non piansi e non l'ho fatto mai, l'unica cosa che me la fa sentire vicino sono questi capelli corti, sarà una stupidaggine ma ... - 

Amos china la testa e mi lecca una guancia, indietreggio deve essere lui quello ubriaco, le mani lasciano la bottiglia che riversa il suo liquido dolce sull'erba, posandosi sulle mie braccia tirandomi verso di lui, affonda pesantemente la testa nell'incavo del mio collo - ora puoi lasciarli crescere -, sorrido tra le lacrime, penso agli occhi allegri e grigi di lei mentre canticchia le mie canzoni preferite, la sua risata piena e vivace riecheggia nelle mie orecchie ed il calore delle sue carezze mi brucia la pelle, mi manca così tanto, odio la farfalla, che ha strappato dal mio giardino la rosa più bella di tutte.

AmosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora