Chapter 18.

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Un venerdì sera tranquillo? Ovviamente no. L'ideale di un ragazzo per una serata non è di certo essere svegliati nel bel mezzo della notte perché qualcuno durante un omicidio ha nominato il tuo nome. Ma la cosa più destabilizzante è non sapere di chi si tratta.

Toc toc.
Jungkook sentendo quel rumore fastidioso si girò dall'altro lato del letto.
Altre botte più insistenti.
Cazzo, non stava sognando.
Scese dal letto irritato, dirigendosi verso la porta, e aprendola di scatto senza neanche guardare chi stesse bussando. Era talmente addormentato che non gli sarebbe neanche importato se fossero stati dei ladri.

"Salve, agente della polizia del quartiere. Mi dispiace disturbarla in questo momento ma c'è stato un omicidio e la persona coinvolta in questo incidente ci ha chiesto di chiamarla, deve venire con noi in ospedale per rispondere ad alcune domande."

Il cervello del piccolo smise di connettere i punti da «omicidio.»
Non opponendo resistenza e senza fare domande, Jungkook annuì dirigendosi con il poliziotto all'ospedale. Volendo solo tornare a casa a dormire. Non voleva avere niente a che fare con nessuno.

Da quando iniziò a vivere da solo in città, abbandonato dai suoi genitori perché troppo impegnati a spassarsela, e con il fratello morto suicida sei anni prima, e il
migliore amico trasferito in America quando avevano solo dieci anni, Jungkook smise di credere nell'umanita. Smise anche di fidarsi delle persone e di avere uno scopo nella vita.
La sua esistenza era molto superficiale, viveva perché doveva farlo, non perché voleva.

Perciò perché ora doveva importargli di questa situazione? Lui aveva chiuso i rapporti con tutte le persone. Ma le sorprese non finiscono mai.

"Siamo arrivati signore scenda."

"Ho 19 anni, la prego di evitare questo parolone" rispose il piccolo abbastanza urtato al poliziotto.

"Certo, scusami ragazzo, andiamo."

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