Capitolo 16

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"Che significa che vuoi andartene?" Echo era allarmata. Senza rendersene conto, aveva preso la mano di Elettra e l'aveva stretta. La ragazza cercò di liberarsi.
"Significa che ho finito. Che sono stanca di questa situazione. Che voglio andare via, non è difficile." riuscì a staccare la mano da quella di Echo e incrociò le braccia. L'altra la fissò a bocca aperta, sembrava tremante.
"No... Non puoi farlo..." provò ancora a toccarla ma Elettra sì allontanò.
"Per favore non toccarmi." voltò la testa per non guardarla. Echo si alzò, tremava di rabbia.
"È così che risolvi i problemi? Scappando?!" cominciò ad alzare la voce ed Elettra si voltò di scatto verso di lei.
"E tu invece come li risolvi? Scomparendo per giorni e bevendo. E chissà cos'altro. Oppure prendendo a pugni chi ti fa arrabbiare. E vorresti farmi la predica?!" strinse i pugni tanto che le nocche diventarono bianche. Echo sembrò un'altra persona. Non c'era più traccia di senso di colpa e tristezza. Era un cumulo di rabbia.
"Sempre meglio che scappare come una codarda! Ma dopotutto, è così che agisci no? È per questo che sei qui, sei scappata dalla tua vita che ti stava stretta. Sai fare solo questo. Scappare e lasciarti tutto alle spalle, complimenti!" ormai stava urlando e aveva il volto arrossato. Elettra non riuscì a ribattere. Mise la mano sul braccio dolorante e abbassò lo sguardo. Sentì Echo ansimare per la rabbia e appoggiarsi alla porta. La ragazza tirò le gambe a petto.
"Adesso sì che ti riconosco. Adesso sì che sei tu."
Echo si avvicinò sospirando ma Elettra alzò una mano per fermarla.
"Non credo ci sia molto altro da dire e se permetti sono stanca e voglio dormire."
Il respiro di Echo rallentò e quando parlò la sua voce era più calma.
"Vorrei tanto poter fare qualcosa per fermarti, ma sei così testarda che sarebbe tutto inutile." voltò le spalle alla ragazza e aprì la porta.
"Buonanotte." e uscì.

La notte fu lunga e insonne per Elettra, non fece altro che pensare alla discussione con Echo. Si sentiva triste e sola come non mai. Dalla notte in cui le avevano litigato era troppo arrabbiata per notare la sua assenza. Anche stavolta avevano litigato, ma era diverso. Elettra non era arrabbiata, era ferita. Cominciò a pensare che forse Echo aveva ragione. Era scappata dalla sua vita... E ora voleva fare lo stesso. Si alzò e andò alla finestra guardando fuori. La città era illuminata dai lampioni, qualcuno tornava verso casa strisciando i piedi, le case erano buie e silenziose. Elettra pensò a dove andare una volta lasciata quella casa. Doveva tornare dai suoi? Non ne aveva voglia. Non voleva tornare all'Università, non voleva tornare alla sua vecchia vita. Ma non poteva restare lì senza lavoro. Le sarebbe tanto piaciuta una casa come quella di Talia ma ovviamente non poteva permettersela. Forse sarebbe dovuta restare, lì aveva trovato più di un lavoro. Era davvero sicura? Sospirò e tornò a letto, cercando di dormire ma senza successo. Guardando la scrivania vide il suo blocco da disegno semiaperto. Le venne improvvisamente voglia di scarabocchiare qualcosa, così si alzò e accese la lampada da scrivania, prese la matita e la posò sul foglio, dando libero sfogo alla sua mano, disegnando forme senza darne un senso, ritrovandosi a disegnare un volto femminile. Sospirò. "Sempre lì vai a parare eh?". Strinse il pugno attorno la matita e si alzò dalla sedia, uscendo dalla stanza. Passando nel corridoio si guardò al grande specchio che ornava la parete. Era tanto che non si osservava. I capelli biondi e mossi erano arruffati, le gambe sottili e pallide che sbucavano dal pantaloncino del pigiama erano coperte di piccoli lividi dovuti ai numerosi scontri ravvicinati con i mobili, la spalla fasciata le braccia diafane. Per ultimo il suo sguardo indugio sul proprio viso. I suoi occhi grigi erano cerchiati di viola. Sospirò.
"Ahi ahi bambina, con tutti questi sospiri finirai il fiato!" la voce sembrò arrivare dal nulla. Elettra trasalì e si voltò di scatto verso il divano. Poi si tranquillizzò e sorrise. Rosario la guardava da sopra la tazza di te che stava bevendo. La ragazza si mise seduta accanto a lei.
"Rosario... Mi hai fatto prendere un colpo! Non riesci a dormire?" indicò la tazza con il mento. La donna scosse la testa.
"Troppe emozioni, sono agitata." Elettra la guardò di traverso.
"Che succede?" era curiosa. La donna scoppiò a ridere.
"Ma che faccia che hai, come sarebbe a dire che succede? Tu e la signorina Echo mi togliete il sonno!" Brontolò la donna. Elettra si sentì tremendamente in colpa.
"Rosario... Io..." la donna scosse la testa. Le prese le mani tra le sue. Quelle di Elettra, lisce e morbide, contro quelle callose di Rosario.
"Stammi a sentire bambina. Io non so perché abbiate litigato e non voglio saperlo. Ma voglio dirte una cosa soltanto." il suo sguardo si fece serio. Elettra sentiva il cuore in gola.
"Non ho mai visto la signorina Echo così felice." la voce le si spezzò in un singhiozzo. Elettra guardò le loro mani e le sorrise.
"Non piangere Rosario, ti prego. Io... Io voglio solo che tutto finisca. E credo di aver trovato la soluzione..." la donna la interruppe.
"Andare via peggiorerebbe solo le cose. Voi non potete stare lontane." Elettra alzò lo sguardo verso di lei.
"E tu come..?" Rosario rise.
"Quanti anni ho secondo te? Non sono nata mica ieri. So riconoscere uno sguardo d'amore quando lo vedo." la smorfia di tristezza si trasformò in spavalderia. Elettra arrossì leggermente. Rosario lasciò le sue mani prendendola per il polso e facendole mettere una mano sul petto.
"Ascolta lui, sa sempre cosa fare." e si alzò, dandole un bacio sulla fronte e andando in camera sua a dormire. Il rumore della porta che si chiudeva rimbombò nel salone buio e vuoto. Elettra rimase per qualche minuto a fissare il vuoto, la mano sul cuore che scandiva il passare dei secondi. La voce nella sua testa non parlava più, non ne aveva più bisogno. Ora sapeva cosa fare.

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