A Edgar Allan Poe

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La follia, l’ultimo stadio del genio
ti ha lasciato sparire come fosti di sabbia,
e l’eterna oscurità ti ha avvolto troppo presto
rendendo incolmabile a tua mancanza.

Tu, mio secondo padre e mentore,
il tuo eterno talento ti fu tanto caro quanto maledetto,
e l’infamia dell’amore ti sconvolse
ingoiandoti in una tetra atmosfera della quale sempre raccontasti.

Quale dolore atroce non provasti!
Eri le tenebre che conoscevano la luce,
conoscitore d’ogni mistero, profeta degli astri e del loro principio,
il sognatore diurno che vedeva ad occhi chiusi.

Dannata sia la sorte che ti lasciò morire con le tue stesse mani,
annegato nel vizio e nella desolazione,
non per piacere ma per scappare;
dannata sia la sorte.

Molteplici decadi ed epoche ci dividono,
così come i fiumi separano le montagne,
e spesso il dolore m'attanaglia il petto
al solo immaginarti infondo ad una tomba;

ammirando il cielo immagino di vederti
dietro una nuvola più bigia delle altre,
e spero sussurrando il tuo nome
che per qualche secondo i tuoi occhi si posino su di me.

Tanto più chiaro è il tuo verbo,
tanta più luce dai tuoi occhi vedo trasparire,
ma adesso mi sembri un'ombra che passa per caso,
e malgrado ti chiamo urlando prosegui e scompari.

In una parte del mio pensiero persiste il tuo nome,
maestro, secondo padre e mentore,
e spesso mi soffermo sulla tua figura
enigmatica, confusa, imprecisa.

Non temo i fantasmi perché sono la scia della tua penna,
non tremo al buio perché mi hai insegnato a vedere,
tu immortale incastrato tra i miei incubi ed i miei sogni,
con te giaccio sotto il cielo e la mia anima sussurra “mai più”.

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