12.

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John le fece vedere una lettera. Era logorata dal tempo, ed era bagnata al tatto. Forse per le stesse lacrime che ora stava riversando John nel dare la lettera a Celeste. La aprì con cautela e cominciò a leggerla:

Caro fratello mio,
Lo so che vorresti tanto venir via con me.
Se avessi un giorno intero per stare da solo con te, mi godrei le cose semplici che alla fine, quando il tempo cancella tutto il resto, sono le uniche di cui ci ricorderemo. Mi piaceva quando mi portavi nella tua barca a remi, sopra un lago tranquillo, mentre mi leggevi delle poesie fino a farmi addormentare e così dimenticare il tempo che passava.
Se avessi un giorno intero per stare da solo con te, ammirerei le tue parole, ogni leggiadro movimento delle tue mani mentre reciti le tue poesie, le tue espressioni, i tuoi capelli che tocchi continuamente.
Se solo potessi avere un giorno perfetto, magari potessi farti vedere come nel mio cuore ci sia solo tu fratellone mio.
Queste sono le cose che adoro del nostro amore fraterno: la tua mano calda, il tuo respiro, le tue braccia intorno a me e di quanto mi ci sentivo sicura, eterna, come una sola persona.
Noi due siamo ancora intrecciati, nonostante tutto.
Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, ed il mio bene così grande vivrà per sempre con te.
Ti voglio bene fratellone e scusami, davvero.
                                                                                          Sophy

Celeste richiuse la lettera. Anche lei stava piangendo, ma trovò la forza di parlare.
<<Era malata?>> chiese singhiozzando
Lui fece un semplice cenno di capo, senza però guardarla.
Lei si sedette al suo fianco, e lo cinse con le braccia.

"Un attimo prima dico che bisogna andarci piano, ed ora lo abbraccio. Però ha bisogno di me, adesso" pensò Celeste.

<<Ti va di parlarne?>> chiese Celeste <<Potrebbe aiutarti.>>
Lui si voltò verso di lei. Aveva gli occhi gonfi, rossi per il troppo pianto. Mai nessuno avrebbe pianto riducendosi a quel modo. John, prese le forze, e decise che doveva parlare. In fin dei conti era stato proprio lui ad assicurarle delle spiegazioni.

<<Mia sorella Sophy era affetta dalla cardiomiopatia ipertrofica.>> cominciò a spiegare John. <<Non so se lo sai, ma è una patologia grave del cuore caratterizzata da un poco ispessimento delle pareti cardiache, con inevitabili conseguenze del cuore.>>
Prese un respiro profondo per cercare di continuare una storia triste. Anche il tempo cominciò a piangere per la triste storia, con una cadenza regolare le gocce rieccheggiavano sul tetto di bambù, scorrendo poi con lentezza verso il terreno, quasi a sussurrare la loro tristezza.

John prese un altro lungo respiro, e con gli occhi che fissavano le gocce che lentamente cadevano sulla terra ormai bagnata, continuò la storia.
<<Era sana, bellissima. Poi, circa all'età di dodici anni cominciò a svenire spesso, in particolare durante gli sforzi. Cominciò ad avere palpitazioni, vertigini. La portammo dai medici, e nessuno riscontrò nulla. Era strano, non era la mia solita Sophy. Continuammo a mandarla da altri medici, e tutti le stesse risposte: "Vostra figlia non ha nulla", oppure "ha bisogno di riposo", altri che erano gli ormoni. Eppure, per me, non era nessuna di queste. Mia sorella stava male, glielo leggevo negli occhi. Le aritmie continuavano imperterrite, e non lasciavano un attimo in pace mia sorella. Mi logorava vederla così, mi si spezzava il cuore. Io volevo rivedere la mia sorella sorridere. Avevo uno strano presentimento, e dopo che le aritmie continuarono a diventare sempre più frequenti nonostante il riposo che i medici le consigliarono, decidemmo di portarla da un altro dottore, senza però dirgli che eravamo già stati da altri centomila dottori. Costui le fece uno screening molto approfondito, e riscontrò in lei questa grave malattia. Ci disse, lontano dalle orecchie della mia sorellina, che la malattia poteva essere tenuta sotto controllo con dei betabloccanti. Inoltre, ci propose di impiantarle un defibrillatore nel petto per affrontare le emergenze. Pregustavo già la felicità di Sophy, ma ci fu quel ma del dottore che bloccò ogni sensazione felice. Ci disse che nonostante tutto, alcune aritmie potevano provocare una crisi mortale, e qualora ne fosse capitata una, neanche le cure che avremmo fatto avrebbero potuto salvarla. Ci lasciò soli per pensare sul da farsi, ovviamente il costo dell'operazione era parecchio caro, ed i nostri genitori decisero di fare l'operazione. Ogni strada era da percorrere, io volevo mia sorella al mio fianco ogni giorno. Fece l'operazione, e per un breve periodo sembrava non avere più nulla, ma ci fu una giornata tremendamente afosa, e lei rientrò a casa dal giardino e cadde per terra. Mi tuffai incontro a lei, chiamai l'ambulanza. La portarono in ospedale, ma durante il tragitto lei sembrava non aprire gli occhi. Fui preso dal panico. Non volevo minimamente pensare al fatto che fosse morta. Era egoistico da parte mia, ma volevo la mia sorellina ancora con me. Arrivammo in ospedale, e dopo due giorni di coma, si svegliò. In quei due giorni pregai così tanto, non mi poteva lasciare solo. Fui felice nel vederla aprire gli occhi, e non ci fu giorno che non stetti con lei in ospedale. I medici dissero che era opportuno lasciarla in ospedale per qualche giorno. Ero felice per mia sorella, si era finalmente svegliata, ma lei invece no. Era preoccupata per qualcosa. Odiavo vederla così, specialmente se ricordavo i momenti dove col suo sorriso riempiva di gioia la famiglia. Quel sorriso, quello stesso sorriso che la malattia portò via con sé. Uscii dalla stanza per prendere una bottiglia d'acqua a Sophy, e sentii i miei genitori parlare con un medico. Quest'ultimo disse loro che era un miracolo che la mia sorellina si fosse svegliata, e che forse, al prossimo attacco della malattia, non ce l'avrebbe fatta. "Ma è possibile che sia senza cuore questo dannato medico" pensai, e corsi via. Non potevo sopportare l'idea di perdere mia sorella! Mia sorella non poteva, non doveva morire!! Pregai, pregai Dio affinché salvasse la mia Sophy. Dannata malattia!! Quanto avrei voluto che la malattia ce l'avessi io e non lei. Era così piccola, ed aveva una vita davanti. La sua serenità non poteva spegnersi!! Non poteva spegnersi così giovane. Cominciai ad essere triste, e non ero di certo un aiuto per Sophy. Lei continuava a venire da me e mi abbracciava. Sembrava che io fossi il malato e lei mi consolava. Ritrovai le forze, e decisi di fare qualcosa. Se doveva lasciare il mondo, se doveva lasciare me, volevo che lo facesse non vedendo quattro fredde mura.>>

AMORE IRREALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora