Capitolo Sei [Parte II]

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Non vi era nulla come l'acqua che bruciasse tanto la pelle di Min Rin

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Non vi era nulla come l'acqua che bruciasse tanto la pelle di Min Rin. Soprattutto quando si attorcigliava alle vesti rendendole strette. Le faceva bollire il sangue. L'acqua accendeva il fuoco che aveva dentro. Anche ora, costretta con le ginocchia schiacciate a terra, l'umido delle gonne insozzate di polvere la stordivano. I capelli bagnati le scivolavano giù sulle spalle in un inchino forzato.

Le capitava troppo spesso di ricevere una punizione, ed essere costretta a inginocchiarsi nel cortile della propria dimora, mentre suo padre o suo fratello rimanevano in piedi fra due lanterne di pietra. Ogni volta che accadeva non faceva che fissare i due leoni grigi al posto delle colonne entro cui si accendeva la luce. Il tramonto le aveva sommerse entrambe con il colore amaranto e si era portato via anche il caldo. Il vento freddo penetrò fin nelle ossa.

In tralice scorse Kang Jo alla sua sinistra, che tremava nella jeogori umida. Alla sua destra Seung Hyun si prostrava immobile, come una statua scolpita contronatura, in una posizione che a stento in quelle condizioni tutti avrebbero saputo mantenere.

Min Won, quando li aveva ripescati dal pozzo, non le aveva rivolto una sola parola. Le aveva solo gettato le scarpe ai piedi. Dovevano esser state le calzature perse davanti alla porta segreta ad aver condotto i Nangdo fino al pozzo in cui erano caduti. Suo fratello li aveva trascinati fuori dalla Casa dei Hwarang attraverso una porta secondaria, e si era portato dietro anche i due ragazzini.

Min Rin arrotolò la lingua sotto al palato. Non riuscì nemmeno a guardare il naso affilato del fratello, che teneva le mani serrate dietro la schiena.

«Nella tua sfortuna, Min Rin, sei stata fortunata. Sono stati i miei Nangdo a trovare le tue tracce. Se ti avessero scoperta altri, ora saresti in guai molto seri. Lo stesso vale per i tuoi amici, se il Guskeon[1] fosse venuto a conoscenza dei vostri sciocchi giochi, non ne sareste usciti nelle condizioni in cui siete ora.»

Le spalle di Min Won nascosero l'ultimo barlume di sole che ricoprì la terra. Min Rin cercò i suoi occhi solo allora. Erano simili ai suoi: lunghi, con le ombre verdi delle foreste. Se non avesse incontrato la morbidezza delle sue labbra, avrebbe solo temuto l'espressione contrita, forzata dal naso appuntito.

«Orabeoni[2]» sussurrò, dispiaciuta «ho commesso un peccato punibile con la morte.»

«Con la morte?» tossì Kang Jo, strabuzzando gli occhi.

Min Rin lo fulminò e lui tornò a fissare le proprie mani.

«Mi trovavo nella Casa dei Hwarang per consegnarti una lettera, ma mi sono accorta troppo tardi di non averla più indosso.»

Min Won batté con veemenza un pugno sulla coscia. Curvò la schiena, chinandosi all'altezza delle lanterne di pietra.

«Quando capirai, Min Rin, che la vita non è un gioco?» la rimproverò, scuotendo la testa «Il tuo nome non ti appartiene, il tuo nome è il mio, di nostra sorella e di nostro padre. Qualunque cosa tu faccia può essere ritorta contro di noi. Non vuoi che io ti tratti più come una bambina, ma lo sei ancora e non posso fare altrimenti. Quante volte ti ho chiesto di non compromettermi più?»

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