Capitolo Dieci

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Se puoi, non incontrarlo mai più

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Se puoi, non incontrarlo mai più.

Per quanto ci avesse provato, Min Rin non era riuscita a scacciare le parole di suo padre. Continuavano a ronzarle nella testa. Il Primo Ministro era stato convocato d'urgenza al Palazzo tre giorni prima e da allora non aveva fatto ritorno. Mai, in tutta la sua vita, Min Rin aveva disubbidito a suo padre – che riteneva pregno di tutte le virtù esistenti – ma quell'avvertimento l'aveva resa inquieta e infelice.

Staccò le dita dalle corde di seta del gayageum che restituirono un suono agonizzante. La brezza della sera sfiorò il collo libero e si intrufolò fin dentro la veste. Un brivido le accarezzò la schiena e piegò la testa, lasciando ai capelli la libertà di scivolare avanti. Era del tutto inutile continuare a suonare uno strumento per cui non era portata. Lo odiava, e lo amava, ma il desiderio di imparare non bastava a colmare le sue lacune.

«Continui ad ignorare la tecnica, Min Rin. Sii paziente e non anticipare.»

Aveva dimenticato che sua madre le sedeva accanto, sotto al Padiglione costruito all'interno del giardino. Le gonne azzurre si aprivano in una spirale rotonda, le ricordavano un pezzo di cielo caduto. I filamenti dorati correvano a riempire gli spazi vuoti e i capelli, intrecciati a voluminosi posticci, erano raccolti ai lati delle orecchie.

«Quali sono i pensieri che reclamano la tua attenzione?»

Min Rin batté il palmo sulla cassa dello strumento e maledisse i suoi polpastrelli pesanti. Risucchiò le labbra sotto ai denti e colpì le assi di legno con i tacchi. Non poteva confessarle che stava pensando ai due ragazzini incontrati nella Casa dei Hwarang.

«Eomonim[1]» sbuffò, accarezzando il gayageum in una muta richiesta di perdono «non diverrò mai una Wonhwa[2]. Fra tre anni prenderò marito, eppure guardatemi! Sono sgraziata, pelle e ossa, e di certo non posso definirmi una gran bellezza.»

Per protesta avvicinò le ginocchia al petto. Nonostante in tutta Seorabeol non vi fosse una donna tanto brava nel suonare il gayageum, come sua madre, non poteva nemmeno sognare di competere con lei, un giorno. I suoi insegnamenti sarebbero stati vani e il tempo sprecato. Troppo spesso si era domandata se fosse imparentata con i suoi fratelli, i quali, di certo, meritavano ogni lode.

«Maturerai e diventerai bella, Min Rin. Non affrettare il tempo» la rincuorò sua madre, che avvicinò lo strumento alle ginocchia. Pizzicò le corde, creando un sottofondo che ricordava le foglie mosse dal vento. «Nessuna abilità si acquisisce senza molta pratica.»

Min Rin roteò gli occhi e spinse lo sguardo verso il giardino. I colori densi della prima notte si erano accomodati sulle fronde verdi e le acque dello stagno erano scomparse. Il vento che si era alzato poteva pure pungerle le spalle, ma amava trascorrere quelle ore insieme a sua madre.

«Come posso diventare bella» protestò «ho il mento affilato e gli zigomi troppo alti. Per quanto io possa far pratica i risultati sono sempre più lontani e a volte, Eomonim, temo di amare l'idea dei miei sogni, più che i sogni stessi.»

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