Capitolo Cinque

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Il sapore del vomito era acre, amaro, fino a dilaniare il palato. La gola bruciava, ma almeno lo stomaco si era fermato. Kang Jo si ripulì le labbra con la jeogori e la seta si insozzò di un odore nauseante. La fronte imperlata di sudore lo infastidiva, insieme alla frangia di capelli che vi era scivolata sopra, dopo aver perso la fascia azzurra con cui la teneva a bada. Nonostante il caldo imperasse su tutta Seorabeol, brividi di freddo attraversavano la schiena, mentre rientrava a casa. Si nascose nella sua camera, ben lontano dal desiderare di consumare un pasto, e si liberò di indumenti ormai rovinati, pregni di polvere e vomito. Rimase in abiti intimi e si distese nell'angolo in cui dormiva. Posò una mano sul pavimento di legno e ne sfiorò le venature. Intrappolò una lacrima nell'incavo fra l'occhio e il naso e la lasciò lì, a bruciare la pelle.

Il suo corpo reagiva contro la sua mente. Lo metteva in guardia e lo scuoteva, tanto da indebolirlo e causare incidenti come quello. Poi, costretto l'intero giorno a letto, non si alzava finché non avesse spinto via l'afflizione. Ecco perché detestava il tempo. Per lui era come una prigione. Scorreva lento nella sua solitudine di infiniti istanti.

Avrebbe dovuto sciacquarsi la bocca, anziché rimanere con quel sapore disgustoso, ma non ne aveva la forza. Voleva restare immobile sul suo giaciglio, in attesa che piombasse la notte. Dormire, dimenticare ciò che stava facendo, e ricominciare dall'inizio fingendo che fosse contento.

Sarebbe rimasto così, impotente, se non avesse udito la porta scorrere. Quando si voltò per capire chi l'avesse varcata, senza annunciarsi, era già pronto a scacciare via l'intruso. Non poté farlo, poiché riconobbe suo padre sulla soglia. Choi Kwan Go si ergeva nella sua bassa statura, le cui spalle larghe lo rendevano comunque imponente. Non indossava il copricapo d'ufficio e i capelli erano tutti stretti in un gancio dorato. Dietro di lui comparve una domestica che dispose a terra un soban con una ciotola e un contenitore per infusi. Scomparve inchinandosi al padrone di casa e richiudendo la porta.

Kang Jo slittò in piedi, così velocemente che dovette premere le mani contro le tempie per contenere il buio nero che alterò la vista. Batté un pugno sulla fronte per scuotere via il torpore, mentre i capelli, sciolti da qualunque legame, scivolavano ribelli sulla schiena.

«Abeoji» lo accolse, chinando il capo. La sua voce era ancora stretta in fondo alla gola. Un morto avrebbe parlato meglio.

Suo padre, senza guardarlo, si accomodò davanti al soban. Una volta sistemate le vesti di seta sollevò lo sguardo. Era in sua attesa. Le guance infossate e gli zigomi tirati, quel giorno, erano più preoccupanti del solito. Kang Jo lo raggiunse, senza nemmeno degnarsi di indossare abiti decenti e si sedette davanti a lui.

«E' accaduto ancora, non è vero?» gli domandò.

Kang Jo sgranò gli occhi e il rossore pizzicò le guance.

«A cosa vi riferite, Abeoji?»

Choi Kwan Go sollevò la manica della jeogori e versò il tonico nell'unica ciotola bianca. Il profumo denso, delicato, come la rugiada che si posa sull'erba, lo invase. Spostò la ciotola verso di lui e Kang Jo la afferrò, grato, tenendola stretta fra i palmi.

«La tua energia vitale diminuisce ogni volta che permetti al tuo corpo di impossessarsi di essa. Non è il tuo stomaco ad essere debole, ma ciò che lo governa. Ciononostante, vorrei che continuassi a bere questi tonici, sono stati preparati dai migliori medici dei Tang [1].»

«Come desiderate, Abeoji.»

Kang Jo assaporò il tonico sciolto nella ciotola. La lingua, pervasa dal buon sapore, si rasserenò. Persino lo scuotimento nel ventre sembrava essersi assopito. O erano le tensioni dei muscoli ad essersi sciolte, per questo si sentiva già più rilassato.

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