Ade

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ADE

Il sole riscaldava la mia pelle pallida, pelle che non avrebbe mai visto abbastanza luce per potersi abbronzare. Il caldo mi opprimeva a causa del mantello nella quale ero avvolto, l'armatura sottostante pesava non lasciando abbastanza ossigeno al mio corpo. Alzai la mano notando dita lunghe e affusolate in netto contrasto con l'abbigliamento nero.

La corona che portavo di solito era sotto forma di elmo da battaglia, poiché alla fine era comodo per entrambi gli scopi per cui veniva usata. Spigolosa sotto forma di braci di fuoco, come il posto dalla quale provenivo.

I capelli lunghi e incolore mi sventolavano sul viso rinfrescandomi in minima parte la cute oppressa.

Era così bello poter stare finalmente sulla Terra e assaporarne la libertà, respirare la sua aria leggera che entrava nei polmoni con lo scopo di alleggerirne il peso, in un certo modo ero sempre stato geloso dei mortali e della loro possibilità di scegliere quale sarebbe stato il corso della loro vita, possibilità che mi era stata preclusa molto tempo prima.

Mio fratello minore mi confinò nell'Erebo con il preciso scopo di suo custode. 

Allo stesso tempo carcerato e carceriere.

Sospirai, sapendo in modo viscerale che tutto ciò era solo un sogno dalla quale mi sarei svegliato presto. Quello era l'unico modo per poter stare nuovamente sulla Terra poiché non mi era permesso allontanarmi dal mio regno.

La rabbia fece capolinea come al solito quando mi fermavo a riflettere sulla mia situazione, la accolsi come un'amica fedele. Persino mio fratello Poseidone poteva permettersi di farsi qualche giretto sulla terra ferma godendosi ogni suo vantaggio.

Delle goccioline mi scesero sulle tempie...

E improvvisamente mi ritrovai nella realtà della mia stanza, nel mio palazzo, nel mio regno.

Le fiamme del limbo si erano alzate ancora, sospinte dal fiume infernale: l'Acheronte.

Spingendo via le lenzuola mi accorsi delle fiere nude nel mio letto.

Odiavo svegliarmi con della gente o semplicemente dormirci, e detestavo ancor di più dover ricordare alle inquiline abusive che ero il Re e loro non erano all'altezza di dividere il letto con me.

Il lieve bussare della porta mi impedì di dare fuoco agli esseri addormentati.

"Avanti." Dissi con aria sprezzante.

"Mio signore mi perdoni se la disturbo ma sono sopraggiunti dei messaggi dall'Olimpo per trattare di una questione estremante grave." Disse servizievole uno dei satiri.

Sospirando mi alzai dal letto, nudo, torreggiavo sul servo alto poco più di un metro e settanta, di almeno venti centimetri più basso di me, squadrandolo lo presi per il collo alzandolo da terra con una mano fino a che i nostri occhi non si allineano.

"Quante volte te l'ho detto che non ho alcuna intenzione di ricevere messaggeri dall'Olimpo?!" Dissi con voce grave e arrabbiata.

Il servitore appariva quanto meno spaventato, l'odore della sua paura aleggiava nell'aria, dilatai le narici facendo un respiro profondo godendomi quell'odore acre.

Risi soddisfatto.

"P-padrone m-ma..." Provò a giustificarsi, non lo feci finire e lo scaraventai contro la porta dalla quale era entrato.

"... Ermes in persona é qui." Disse steso per terra finendo la frase.

Lo fissai sbigottito. Una divinità olimpica scesa direttamente nell'Erebo per portare un messaggio, come fosse un fattorino qualunque?!

La situazione doveva essere grave.

Gli feci segno di sparire e andai nel bagno per vestirmi.

Cosa poteva spingere Ermes a scendere fin qui?! 

Ermes era il messaggero degli dei, e il personale sguattero del pezzo grosso la sopra.

Mi scappò un sorriso.

Sarebbe stato divertente.

Attraversai lentamente il luogo che ero solito chiamare casa: interamente fatto in pietra vulcanica, Ossidiana, nera come le anime che lo infestavano come ratti difficili da scacciare, quelle stesse alla quale era stata preclusa la possibilità di bere dal fiume Lete, per poi reincarnarsi, tanto erano state malvagie da vive. I loro sussurri mi seguivano ovunque assillandomi il giorno e tormentandomi la notte.

Il rumore dei miei passi era accompagnato dal fruscio dei vestiti a contatto con il grosso bastone che tenevo sempre con me, ancorato alla mia schiena, il fulcro dei miei poteri come sovrano dell'aldilà. Questo mi permetteva di mettere fine alla vita delle anime, distruggendo l'Etere della quale erano composte, bastava un minimo contatto e non sarebbero più esistite.

Semplicemente avrebbero fatto puff.

Lo usavo raramente un potere così grande aveva un prezzo che non ero disposto a pagare per ogni anima.

Le fiamme ancora alte si estendevano ancora di più, dando segno di tumulto.

Raggiunto il salone vidi Ermes appoggiato con nonchalance ad una colonna cercando di non toccare nient'altro.

"L'uccellino di papà ha paura di sporcarsi in un posto come questo?!" Gli chiesi con voce impassibile mentre mi dirigevo sul grande trono fatto di teschi e armature degli eroi più grandi vissuti e morti sulla Terra. Grandi condottieri, intelligenti strateghi o semplicemente impareggiabili guerrieri. Tra quei cimeli vantavo lo scudo di Achille e l'arco di Ulisse.

Mi piaceva mettere a disagio gli altri dando sfoggio del mio potere assoluto.

Ermes per nulla impressionato mi fissò.

"Sai dovresti mettere un po' d'incenso, questo posto puzza." Disse schifato.

"Sai com'è dato che siamo in un posto dove le fiamme sono eterne, ci vengono i morti e il caro fratello ci spedisce la spazzatura come te, credo sia normale che non profumi di fiori di campo." Gli dissi secco.

Stranamente il Dio trovò la cosa divertente.

Ermes una sciocca sottospecie di Dio con biondi capelli ondulati baciati dal sole che a quanto si diceva prendesse spesso in compagnia degli umani. Con i suoi occhi verdi poteva essere discretamente bello da aggiudicarsi i favori femminili, ma il suo corpo asciutto fatto appositamente per volare gli impediva di perdere quell'aspetto da adolescente.

"Sbrigati a riferire il messaggio, non ho tutto questo tempo da dedicarti. Sai a differenza di voi altri lassù io ho un vero lavoro."

"Non sia mai che ti tenga lontano dalla tua uccisione giornaliera." Rispose acido.

Non avevo mai capito perché gli Dei mi odiassero a tal punto, visto che ero stato io quello confinato lontano dalla Terra, e poi se ne uscivano con quella storia della 'mia uccisione giornaliera', cosa assolutamente falsa, più o meno. Probabilmente i loro cervelli si erano atrofizzati a furia di prendere il sole e non facendo un cazzo per tutto il giorno.

Forse nessuno si era ancora informato che tutti gli inquilini del mio regno erano già morti.

Ipocriti bastardi.

Riportai la mia attenzione sul Dio, stava continuando a blaterare e sbuffare, fino a quando disse: "Ade devi tornare sulla Terra perché hai un compito della massima importanza da svolgere."

Okay devo ammettere che se non fossi stato seduto sarei caduto.

Che cazzo stava succedendo!? 

Il Dio dei Morti con gli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora