1- sopravvissuta

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Caddi a terra, la mano tremante faceva pressione sulla ferita facendo uscire altro sangue.
Mi alzai di nuovo, arrancando, ripresi a correre.
Non mi potevo fermare, dovevo correre ancora e allontanarmi di più o mi avrebbero trovata.
Mi scontrai contro a un albero con la spalla e mi accasciai sul tronco.
Trovai la forza d'alzarmi e continuare ma non avrei retto a lungo.
Nascosi l'arco, la faretra e la borsa nell'incavo di un albero, coprendolo con delle foglie giusto in tempo per sentire dei passi avvicinarsi.
Mi girai troppo in fretta, tutto iniziò a girare, caddi ai piedi di quell'albero provocando un gran rumore di foglie e rametti spezzati.
La testa martellava incessantemente, tutto il corpo era un turbinio di dolore, portai lo sguardo verso la direzione di quei passi e finalmente lo vidi.
Un ragazzo.
Mi stava seguendo da un po', forse usando come tracce il sangue che persi.
Chiusi gli occhi prima che potesse accorgersi se ero viva o morta, lo sentii avvicinarsi, le sue dita toccarono il mio collo e a quel punto spalancai gli occhi, terrorizzata, gli afferrai il polso spaventandolo, cadde all'indietro.
L'ultima cosa che vidi fu quel cappello da sceriffo e quegli occhi di ghiaccio, poi, le tenebre.

Una luce intensa batteva sulle palpebre chiuse svegliandomi, ero ancora in quel bosco?
Aprii gli occhi leggermente ma fui costretta a richiuderli subito per la luce.
Portai una mano sul viso coprendomi dal sole e osservai quel posto.
Una stanza dalle pareti candide, spoglia da qualsiasi tipo d'arredamento se non per un tavolino accompagnato da una sedia infondo alla stanza a fianco della finestra.
Indossavo vestiti puliti, nuovi e profumati, alzai la maglia per controllare la ferita ma uno spesso strato di bende me lo impedì.
Mi sedetti con molta fatica e tremendi dolori ovunque, su una sedia in un angolo c'era il mio zaino, aperto e con tutte le cose riversate sul pavimento e sotto ad esso le mie scarpe.
Scostai le coperte e con un piccolo salto scesi dal letto appoggiandomi al muro per il forte giramento di testa, appena mi ripresi percorsi tutta la parete fino a raggiungere il tavolo. Indossai subito la fondina per la pistola, anche se vuota, e la allacciai alla coscia. Controllai tutti gli oggetti sul tavolo.
Mancavano delle cose: i miei 3 coltelli, la corda, la bussola e il mio diario. Cercai meglio nello zaino ma nulla, diamine chi mai ruberebbe un diario? Capisco armi e cose così però un diario...
Andai davanti alla finestra, spostai le tende e mi trovai davanti una città, una vera e propria città, con vie, case e persone che camminavano tranquillamente con sorrisi stampati in faccia.
Rimasi confusa, chiusi di scatto le tende, dove diavolo ero finita?
Il ragazzo. Devo trovarlo.
Lui aveva un non so che di familiare, mi sembra d'averlo già visto da qualche parte.
Misi nello zaino le cose rimaste e lo lasciai a terra, presi gli anfibi e li indossai a fatica, ancor più complicato fu allacciarli con le continue fitte alla pancia e la vista che si oscurava di tanto in tanto.
Mi alzai dalla sedia per cercare qualcosa di appuntito che potesse fungere da arma in caso non mi avessero lasciata andare ma non feci nemmeno in tempo ad arrivare alla sponda del letto che qualcuno aprì la porta.
Un uomo sulla quarantina, alto, in forma, armato di una pistola nella fondina e con una uniforme da sceriffo, dietro di lui una donna dai capelli corti e grigi sorrideva guardando lo sceriffo forse per qualcosa detto qualche istante prima.
Si accorsero di me, in piedi davanti a loro e con il terrore negli occhi nel vedere degli sconosciuti.
<ciao, ben svegliata> sorrise lo sceriffo, sembrava autoritario ma di buone maniere.
Feci un passo indietro, troppe persone in una sola stanza mi mettevano in agitazione.
<come ti chiami?> si fece avanti l'uomo.
<chi siete?> domandai.
<io sono Rick Grimes, lei è Carol Peletier> fece un paio di passi verso di me, arretrai fino a toccare la parete con le spalle, quel Rick lo avevo già sentito nominare.
<stia indietro> mi portai completamente attaccata al muro, si scambiarono uno sguardo confuso, non capivano la mia reazione.
<ragazzina sei al sicuro adesso> quel Rick fece qualche passo indietro mentre Carol rimase ferma dov'era.
<ci puoi dire il tuo nome?> mi guardò Carol con fare rassicurante, lei sembrava cordiale.
<Scarlett> mi rivolsi solo alla donna.
<hai anche un cognome?> incitò l'uomo.
<no> risposi seccamente.
<bene Scarlett, dovremmo farti qualche domanda> prese parola Rick.
<dove sono le mie cose> lo interruppi.
<le abbiamo prese noi, non potevamo rischiare. È meglio se ti siedi, sei ancora debole> Carol indicò il letto, prese Rick per un braccio e lo fece allontanare in modo da lasciarmi i miei spazi.
Mi sedetti verso il bordo, lo sceriffo si prese la sedia mentre Carol preferì restare in piedi, entrambi di fronte a me.
<da dove vieni?>
<Atlanta, Georgia>
I due si scambiarono un altro sguardo.
<cosa?> li guardai interrogativa.
<veniamo da lì, solo questo>
<mi dispiace per voi, Atlanta è morta adesso> lanciai uno sguardo di sfida a Rick che però se lo fece scivolare addosso e continuò con il suo interrogatorio.
<sei arrivata da li da sola o eri con qualcuno?>
<sola> mentii.
<chi ti ha sparato?> indicò la mano che tenevo premuta sulla ferita.
<non ha importanza, mi sono difesa> abbassai lo sguardo sul pavimento ripensando all'aggressione.
<quanti erano?>
Alzai di scatto la testa e lo fulminai <abbiamo finito?>
<no non ancora> sospirò lui.
Prese dalla tasca dei pantaloni il mio diario e me lo porse.
<cosa sono i numeri in fondo alle pagine?>
Sfogliai qualche pagina guardando gli schizzi che feci durante le notti più tenebrose poi passai le dita sui margini rovinati, su quelle cifre che ogni giorno aumentavano.
<è il numero di Dannati che ho ucciso>
I due si guardarono allarmati, ancora una volta.
<Dannati?> domandò
<zombie, putridi, Dannati, resuscitati... quella merda là fuori>
<va bene...mi hai risparmiato una domanda su 3. Quante persone hai ucciso?>
<credo 11> tornai con i ricordi a quelle persone a cui ho strappato la vita per poter vivere la mia, per sopravvivere.
<perché?>
<per sopravvivere> risposi, non era ovvio? Non mi sarei mai messa a uccidere persone così a caso.
Lo sceriffo si alzò ed uscì dalla porta rientrando pochi secondi dopo con il resto delle mie cose.
<ti troveremo una sistemazione con uno dei nostri, sempre che tu voglia restare ovviamente>
Cosa? Restare? Così di punto in bianco. Non sapevo chi fossero, e se fossero stati pericolosi come tutte le persone che ho incontrato là fuori? Non potevo rischiare. Però sembravano così educate e gentili...
Rick aspettò qualche secondo una mia risposta ma vedendomi pensierosa si congedò, lasciandomi con Carol.
<scusalo ma ha tanto lavoro da fare qui ad Alexandria> sorrise sedendosi davanti a me dove prima c'era Rick.
<Alexandria?> domandai passando uno dei miei coltelli fra le mani.
<già, questo posto l'hanno chiamato così>
<esattamente questo posto cos'è?>
<era un villaggio rivoluzionario prima dell'epidemia, completamente autosufficiente, un gruppo di superstiti si è insediato qua all'inizio e l'ha portata avanti costruendo mura e cose del genere>spiegò brevemente.
Tornai a riflettere sulla proposta di Rick, di restare.
<stavi cercando qualcuno? Quando ti hanno trovata, intendo> cercò di attaccar bottone per  fare conversazione, probabilmente incuriosita nel vedere una ragazza così giovane essere sopravvissuta là fuori.
<no, viaggio da sola da un po'>
<okay...spero che ti troverai bene, se Carl non ti avesse trovata non oso pensare cosa sarebbe successo> disse sinceramente affranta.
Carl...quel nome rimase impresso nella mia mente. Lo dovevo trovare, doveva portarmi dove mi aveva trovata.
<in ogni caso, benvenuta ad Alexandria>
Si alzò dirigendosi verso la porta, non si aspettava un mio saluto che infatti non arrivò.
Chiuse la porta alle sue spalle lasciandomi sola con i miei pensieri.
Mi appoggiai con la schiena alla testiera del letto, presi un libro trovato poco prima sul tavolo, lessi tutto il pomeriggio finché qualcuno non bussò alla porta.
Chiusi il libro e mi spostai di qualche centimetro fino al bordo del letto, presi un coltello e lo impugnai saldamente aspettando che quel qualcuno entrasse.
A ogni secondo il battito accelerava sempre di più insieme alla convinzione che un vagante sarebbe entrato.
Una ragazza dai capelli biondi e occhiali spessi entrò sorridendo con le mani piene di cose da medico.
Non si scompose quando mi vide in allerta, lasciò le sue cose sul tavolo e si voltò verso di me.
<sono Denise, il medico d'Alexandria. Ti devo cambiare le bende, tra poco arriverà Rick per parlarti. Posso?> mi indicò sorridendo, abbassai l'arma e mi alzai lentamente trattenendo una smorfia di dolore.
Mi fece togliere la maglietta, slegò le bende intorno alla pancia e alla spalla, le disinfettò e poi le fasciò di nuovo cercando di farmi meno male possibile.
<bene ho fatto, tieni le ferite ben pulite e non fare nessun tipo di sforzo. Dovresti venire ogni mattina così posso cambiarti le bende ma per il resto direi che ti stai riprendendo bene, con tutto il sangue che hai perso non dovresti nemmeno riuscire a stare in piedi> constatò sorridendo, infilai la maglietta senza risponderle.
Sentii dei passi oltre alla porta chiusa, poi bussarono ed entrò Rick.
<Denise hai fatto? Ti ho trovato una sistemazione> si rivolse infine a me.
Non aspettai il consenso della donna, presi il mio zaino e le mie cose e seguii Rick fuori da quell'ambulatorio.
Eravamo nella via più grande, in lontananza potevo scorgere i cancelli d'entrata con delle vedette sopra ad essi, le persone che passavano sorridevano a Rick per poi guardare interrogative me, mi sentivo fin troppo osservata e non potevo fare nulla per far tacere quelle occhiate.
Per tutto il breve tragitto lo sceriffo mi tenne d'occhio, memorizzava ogni mio singolo movimento e lo stesso feci io, sempre pronta con la mano sulla fodera del coltello.
Rick mi mostrò casa sua, poi mi accompagnò davanti a una un po' più piccola ma abbastanza spaziosa per contenere una famiglia di 4/5 persone.
Andò in veranda, rimasi indietro per osservare meglio la casa, lui suonò il campanello e aprì Carol.
<starai da Carol finché non deciderai se rimanere o meno, te lo consiglio, quando ti abitui si sta piuttosto bene qui> sorrise e tornò verso la sua abitazione, che si trovava proprio a fianco a quella di Carol.
Esitai qualche istante prima di trovare il coraggio di salire nella veranda.
Per entrare in casa ci vollero altri 5 minuti buoni, in cui Carol aspettò pazientemente raccontandomi aneddoti rassicuranti su questo posto.
Fatto un respiro profondo varcai la soglia sentendomi subito un topo in trappola, resosi conto di aver sbagliato a prendere il formaggio ma ormai spacciato e costretto a morte certa. No okay, detta così è un po' melodrammatica, però la sensazione era quella.
Carol fu molto gentile, mi mostrò ogni stanza lasciandomi sempre qualche minuto per studiarle al meglio, poi mi portò al piano superiore dove mi fece lasciare le mie cose in quella che sarebbe stata la mia camera.
Pareti azzurre chiare, era anche troppo arredata per i miei gusti...un armadio, una scrivania con la propria sedia, un comodino e una cassettiera, molto luminosa e molto spaziosa con un enorme letto con a fianco una finestra altrettanto grande.
Non dormivo su un letto vero da mesi e la sensazione di protezione che davano le coperte in inverno era la cosa che mi mancava di più.
<la mia camera è qui a fianco, se hai bisogno per qualsiasi cosa vieni pure> e scomparve nel corridoio lasciandomi sola e spaesata, come ho fatto dal girovagare in un bosco ad arrivare in una casa accogliente e con persone...normali?
Appoggiai lo zaino alla parete e restai sulla soglia, guardai ancora una volta ogni singola parte di quella stanza ed infine entrai lasciando la porta aperta.
Carol viveva da sola, la casa era piuttosto grande per una persona sola quindi probabilmente riceveva visite oppure stava poco in casa.
Percorsi la parete sfiorando il muro con una mano fini ad arrivare alla finestra, mi sedetti sul davanzale e guardai verso il giardino della casa a fianco.
Sotto a un albero che divideva le due abitazioni c'era una donna di colore che giocava con una bimba dalla carnagione chiara e i capelli biondi, entrambe sedute su un telo e che ridevano per chissà che cosa.
Continuai ad osservarle finché non spuntò il ragazzo, Carl, che le chiamò in casa.
Raccolse il telo da terra, si accorse che lo stavo osservando, il suo sguardo scattò su di me, incuriosito.
Mi spostai subito appena sentii il suo sguardo insistere sulla mia figura, ero tornata in quello stato d'allerta che ormai da mesi era diventato quasi un amico fedele e che mi salvò in più di un'occasione insieme al mio istinto.
Aspettai qualche minuto prima di riaffacciarmi e lui, per fortuna, se n'era andato.
Presi dallo zaino il mio diario, sfogliai le pagine fino verso metà blocco e trovai il disegno che feci quel giorno, quando lo vidi per la prima volta.
L'avevo ritratto di spalle, con quello strano cappello a tenere a bada i capelli troppo lunghi e che gli finivano sugli occhi, la bambina sostenuta da un braccio mentre con l'altra mano impugnava una pistola davanti a se cercando di proteggere la bimba.
Esattamente come lo avevo visto la prima volta.
Dei passi alle mie spalle mi fecero distogliere lo sguardo dal diario, mi voltai e una raggiante Carol mi sorrideva dal corridoio.
<hai un gran talento> indicò il quaderno fra le mie mani, istintivamente lo chiusi come per proteggerlo da occhi indiscreti.
La guardai non capendo dove volesse arrivare.
<avevo una figlia, si chiamava Sophia. Me la ricordi in qualche modo, forse per lo sguardo o non so cosa. Era davvero molto dolce, anche se fosse sopravvissuta non si sarebbe mai ambientata a questo mondo> una forte malinconia si impadronì della donna che abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata.
<è stata fortunata ad avere una madre come te, non importa quanto abbia vissuto ma come ha vissuto> mi voltai verso la finestra riuscendo a scorgere oltre alle case il sole intento a tramontare.
Dopo qualche istante di silenzio Carol riprese parola, raggiante come prima.
<tra poco preparo la cena, cosa ti andrebbe?>
La guardai confusa, da quanto tempo era che non faceva una cena vera?
<qualsiasi cosa andrà bene> accennai a un sorriso che in realtà non ne voleva sapere di venir fuori, era come dire 'grazie' per me, come un 'stai già facendo tanto per me senza un motivo e ti ringrazio per questo'.
Scese le scale e andò in cucina, chiusi la porta e tornai a farmi gli affari miei.
Mi sedetti sulla scrivania, appoggiai la schiena contro il muro e i piedi sulla sedia, ripresi a leggere le vecchie note che scrivevo ai margini delle pagine come piccoli promemoria o racconti particolari di disavventure.
Ogni pagina accomunata da una scritta.
Damnatio Memoriae.
Stesse parole per ogni singola pagina, la mia ossessione, il mio fardello. Condannata a ricordare.
La stessa scritta tatuata sui miei polsi, Damnatio a sinistra e Memoriae a destra rivolti verso di me a ricordarmi ogni giorno i miei sbagli, i miei errori.
Sentii gli occhi farsi lucidi, la vista sfuocata e la rabbia salire.
In uno scatto furioso lanciai il diario a terra che si aprì in una pagina qualunque facendo scivolare ai miei piedi un biglietto... quel biglietto.
Scesi dalla scrivania, presi il foglietto solitario e lo infilai fra una pagina e l'altra, chiudendo infine il diario e lasciandolo sulla scrivania.
Asciugai la lacrima solitaria che cadde sulla mia guancia, poi mi sdraiai sul morbido letto lasciando tutte le preoccupazioni svanire nel nulla.
Non so bene quanto tempo passò fatto sta che qualcuno bussò alla porta aprendola lentamente.
Sobbalzai mettendomi subito in piedi, mi girò la testa, la ferita prese a fare un male allucinante e nonostante questo stavo per prendere il coltello dalla cintura, poi vidi Carol sulla soglia.
Mi piegai in avanti premendo la mano sulla fascia, imprecando sottovoce per l'inutile sforzo appena fatto.
<è pronta la cena...ti senti bene?> fece qualche passo verso di me ma mi spostai di più tornando dritta anche se faceva ancora male.
<si sto bene> la seguii fino in cucina, si era data davvero da fare preparando più cibo di quanto io abbia visto in una sola settimana.
Mangiai in silenzio qualsiasi cosa mi entrasse in bocca, avevo una fame che avrei potuto divorare un cervo intero.
<da quanto sei là fuori?> domandò dopo che ebbi finito di cenare.
<più o meno dall'inizio ma ero piccola...avrò avuto 12 anni, credo> Carol sembrava una a posto, nel senso, potevo fidarmi di lei me lo sentivo.
<e da quanto sei sola?>
<quasi 3 anni> bevvi un lungo sorso d'acqua sentendo improvvisamente la bocca asciutta.
<dev'essere stata dura> studiò ogni mio singolo movimento ma io rimasi ferma, apatica, fredda, come tutte le volte che provavo ad accennare al mio passato.
<da quanto siete qua?> la precedetti prima che potesse fare domande scomode, mi alzai e presi i piatti; sarò stata fuori per quasi due anni ma le buone maniere le conosco ancora.
Lei mi seguì prendendo il resto delle cose da lavare.
<poco tempo, un paio di settimane, però ci stiamo ambientando bene, quasi tutti almeno>
Guardò fuori dalla finestra e seguii il suo sguardo che si soffermò su un uomo con un giacchetto di pelle con delle ali ricamate sopra, sulla spalla reggeva una balestra. Un arciere, ottimo, non sono sola.
<è uno del vostro gruppo, giusto?>
<si, Daryl. È uno dei migliori, senza lui e Rick non saremmo mai arrivati fin qui> sorrise all'uomo che si girò poco dopo, mi spostai dalla finestra lasciando che il muro coprisse la mia figura.
<quanti anni hai?> domandò subito dopo la mia reazione.
<16, perché?> aspettai qualche altro secondo e tornai a lavare i piatti.
<c'è un gruppo di ragazzini della tua età, potresti trovarti bene con loro>
<non credo, non vado d'accordo con i vivi>
<con me non stai andando affatto male, sai?> le scappò una risatina che cercò di mimetizzare portandosi una mano alla bocca.
<tu sei...diversa, diversa dagli altri che mi osservano come se fossi un animale da circo, nel tuo sguardo non c'era compassione o timore quando mi hai vista, c'era comprensione. Tu sembri umana, non come gli altri che si fingono umani quando in realtà sono solo bambole> dissi tutto d'un fiato sorprendendo me stessa per le mie parole, non parlavo molto di solito ma quando la rabbia si faceva sentire non esitavo a lasciar andare le parole.
<anche tu sei diversa Scarlett, sei sopravvissuta e credo che non sia stato solo un caso il fatto che Carl ti abbia trovata e che ora tu sia qui insieme a me>
Restai immobile, pietrificata dalle sue parole.
<se deciderai di restare questa potrebbe essere casa tua, noi potremmo far parte della tua vita e non dovrai più avere paura> si avvicinò posandomi una mano sulla spalla, non so il perché ma quel tocco non mi diede fastidio anzi quasi mi mancava.
Non sapevo cosa risponderle, mi era stato offerto un riparo, amicizia, amore e protezione in così poco tempo che i pensieri si sovrapponevano creando fili logici sconnessi, senza più un senso.
Appoggiai i piatti bagnati nel lavello, asciugai le mani velocemente in un panno e abbassai lo sguardo.
<grazie per la cena> sussurrai prima d'allontanarmi, salire le scale e chiudermi in camera.
Mi lasciai cadere lungo la porta, che diavolo stava succedendo?
Perché tutta quella confidenza?
Perché?
Non ero più abituata alle persone, di quelle buone che cercano di aiutarti e in un solo giorno avevo conosciuto più sopravvissuti che in due settimane di cammino.
I passi della donna, oltre alla porta, mi distolsero di nuovo dai miei interrogativi.
Mi alzai in fretta e silenziosamente mi sdraiai sul letto prendendo con me il diario, stringendolo fra le mie mani.
Bussò alla porta, non ottenne risposta ed entrò lo stesso, si fermò a osservarmi, io stavo sdraiata su un fianco dando le spalle alla porta.
Spense la luce e richiuse la porta dietro di se.
Strinsi al petto quel piccolo quaderno in cui era racchiusa la parte umana di me. E se avessero letto le cose che ho scritto, o il biglietto o visto tutti i disegni che ho fatto? Erano cose tremendamente personali, tremendamente mie.
Mi lasciai cullare dal calore della stanza, di nuovo sola, nelle tenebre, nei ricordi.
Una luce si accese fuori dalla finestra nell'altra casa, quella di Rick, ma la stanchezza prese il sopravvento e caddi in un sonno profondo, scorgendo come ultima cosa la sagoma di un cappello bizzarro e incredibilmente familiare.

Humans Scare Me//Carl Grimes Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora