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3.Il Tedesco

L'appartamento di Lauro era diverso da come se lo aspettava: era caldo, stranamente ordinato ed incredibilmente confortevole, niente a che vedere con quello in cui avevano passato tanti pomeriggi d'inverno, quando faceva troppo freddo e lei aveva voglia di evadere, scappare lontano da casa e allora si rifugiava da lui, appena tre piani sopra e le sembrava già di essere in un altro mondo.

"Siediti pure" le disse indicando il divano rosso. Barbara lasciò cadere il suo zaino per terra con un tonfo  sordo ed esausta obbedì.
"

Grazie, davvero" Sussurrò. Lauro la osservava: sembrava freddo, lontano, distaccato come non lo era mai stato e quasi ne era spaventata. I suoi occhi parevano attraversarla come fosse un fantasma, non c'era  neppure più la rabbia di poco prima, lo stupore di averla rivista.  Non c'era nulla.
"Ancora non mi hai detto cosa vuoi da me. Come hai fatto a trovarmi?" Incalzò lui. Torreggiava sopra di lei, le braccia incrociate al petto, le treccine bionde che incorniciavano il bel viso e la stessa espressione contrariata del ragazzino che era stato.
Le venne da sorridere nonostante le circostanze, si morse il labbro inferiore rendendosi conto di quanto le fosse mancato.
"Ho trovato un volantino del concerto per strada, ero disperata e mi sono convinta che venirti a cercare fosse l'unica cosa da fare. Ho speso tutto quello che avevo per pagare qualcuno della sicurezza che mi facesse entrare nel tuo camerino, il resto lo sai"

"Sei al verde. Sei al verde e cerchi me, sei a verde perché dovevi vedermi, perché sono l' unico che può aiutarti ma ancora non mi hai detto in cosa Ba. Che hai combinato?" 
Barbara alzò lo sguardo con lentezza, i grandi occhi scuri si posarono con timore sulla figura di Lauro, pensò per un secondo di alzarsi e abbracciarlo come avrebbe fatto qualche anno prima, scoppiare a piangere con il volto nascosto nell'incavo del suo collo, soffocare le urla ed i singhiozzi contro il suo corpo. Sarebbe stato più facile che parlare, più facile che guardare la sua espressione trasformarsi ed i suoi occhi ridursi a due pozze azzurre d'odio e disgusto.
"Io..." La voce le tremò, prese un respiro profondo, strinse i pugni, raccimolò tutto il coraggio che aveva  " Il Tedesco. Il Tedesco mi sta cercando" 
Un silenzio di tomba calò nella stanza, Lauro arretrò appena, come volesse scappare dalle sue parole.  Si lasciò cadere sulla sedia più vicina, pallido in volto, le mani strette l'una nell'altra con tanta forza  da rendere le nocche bianche.
Barbara lo osservò, in attesa che le dicesse qualcosa, ma lui rimaneva lì, immobile, muto.
"Parlami. Ti prego" Lo implorò.
Lui scosse il capo. "Esci da casa mia" sussurró.
"No"
"Esci da casa mia Barbara. Cazzo vattene!"
S'alzò di scatto e in un secondo le fu davanti, la prese per il polso fino a la costrinse ad alzarsi noncurante delle proteste di lei.
"Lasciami" Gridò Barbara liberandosi dalla sua presa, i lunghi capelli  castani che richiedevano scomposti davanti al volto scavato, il respiro affannato che sembrava amplificato nel silenzio della stanza. Il tempo sembrava essersi fermato.
Lauro rimase immobile, cercando di controllarsi.
Le avrebbe messo le mani addosso, se solo si fosse avvicinata lo avrebbe fatto.
Perché lei sapeva.
Perché il Tedesco non doveva più essere nominato, non qui, non in casa sua.
Ma lei lo fece.
S'avvicinò a lui, con calma, attenta a muovere ogni passo per paura che potesse scattare di nuovo.
Lauro tremava.
Lo capiva. Capiva il perché di quella reazione,  la sua rabbia, la sua delusione. S'era lasciato il Tedesco alle spalle tanto tempo prima, era riuscito ad emergere dallo schifo in mezzo a cui aveva provato a trascinarlo e lo aveva fatto tutto da solo, era riuscito a rifarsi una vita, andarsene. Lei no, era rimasta incastrata tra quei palazzi, era caduta nelle trappole del Tedesco e non aveva mai desiderato scappare, perché in qualche modo quella era la sua zona sicura, almeno finché lui non era impazzito. Finché non aveva deciso che se non poteva averla lui, non l'avrebbe avuta nessun altro. Finché non aveva iniziato ad inseguirla, minacciare la sua famiglia, i suoi amici, metterle le mani attorno al collo e stringere fino a soffocarla.
Finché non s'era rivelato  il mostro che era, quello che Lauro aveva sempre visto e che lei aveva scambiato per un eroe quando le cose avevano iniziato ad andare male e lei era rimasta sola con i suoi sensi di colpa . Il Tedesco s'era avvicinato in silenzio con un sorriso appena accennato sul volto sbiadito, dai colori così chiari che sembravano inumani e con gli occhi di ghiaccio aveva incatenato i suoi.
Le aveva teso la mano. "Ce penso io a te" le aveva detto e lei, ingenua, ci aveva creduto.

Lauro era ancora immobile, la aspettava, la osservava.
"Ascoltami" Disse Barbara.
"Ascoltami" ripetè, avvicinando la sua mano a quella di lui e posandovi una carezza veloce dalla quale lui si ritrasse di scatto, come fosse bruciato.
"Parla" Le concesse.
"M'ha aiutato quando mi sono trovata sola. Lo so, lo odi. T' ha fatto male. Lo so meglio di chiunque altro ma lui c'è stato per me quando non c'era nessun altro, ha pagato le cure di mio padre, mi è stato vicino. Pareva quasi umano La, mi ha fatto scordare tutto quello che ti ha fatto"
"Che fai qua allora?" Domandò Lauro, il tono di voce basso, tagliente.
Perché il Tedesco non era un eroe, era un diavolo.
"Poi ha...ha iniziato a trattarmi male. A farmi male. Non solo a me, anche a mia madre, mi ha fatto terra bruciata intorno, ha allontanato tutti, ha messo nei guai chiunque volesse aiutarmi. Sono andata avanti così per tre anni, ora ho detto basta" Replicò lei.
"Ma lui mi perseguita. Mi vuole morta"
" Ti credevo più sveglia Ba." C'era veleno nella sua voce. Faceva male.
"Stanotte dormi in camera mia, tranquilla io starò sul divano, ma domani mattina ti voglio fuori di qua.  Non voglio  guai con il Tedesco. Non per te, non più"
Barbara annuì, sentendo le lacrime premere per uscire. Aveva riposto tutte le sue speranze nella stessa persona che un secondo la guardava come fosse un fantasma, quello dopo come volesse ucciderla, come se la odiasse ed ora non aveva più nulla se non il suo zainetto e quella poca dose di coraggio che teneva per le emergenze.
Non sapeva se le sarebbe bastato questa volta.

«Sotto lune pallide» Achille Lauro #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora