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18. Solo Soldi

Lauro strinse il corpo nudo di Barbara contro il proprio, affondó le mani tra la carne morbida dei fianchi stringendola leggermente, rubando il suo calore ed un bacio sulle labbra che fu quasi una carezza di cui lei, addormentata, non s'accorse.
O forse fece finta, perché gli sembrò di veder spuntare un sorriso accennato sul volto.
A Lauro non importava, quel pudore, quella vergogna che provava nei confronti dei suoi sentimenti, la paura di non saperli gestire era passata ormai. Perché tutto tra loro era temporaneo, fugace ed in bilico.
Perché quel momento, loro due insieme, era qualcosa che aspettavano da una vita, l'unica inevitabile conclusione di una storia che sembrava guidata dal destino.
Perché Lauro non poteva più combattere se stesso, non dopo una vita passata a fare a cazzotti con il mondo, con gli amici, i nemici e pure con l'amore.
Fece scorrere le proprie dita tra i suoi capelli biondi, la guardò così diversa, con la ricrescita della rasatura da aggiustare ed i capelli da tingere di nuovo, e pensò che se la pace esisteva aveva il colore dei suoi capelli e l'odore della sua pelle. Non ricordava neppure l'ultima volta che s'era sentito così bene, fumava il suo spinello con lentezza e gli sembrava di poter sentire il proprio respiro farsi più profondo, i muscoli rilassarsi, sciogliersi come neve al sole. Quando era lì con Barbara, con il lenzuolo avvinghiato tra le loro gambe intrecciate che non bastava a coprirli entrambi ed il volto di lei così vicino da poter sentire il suo respiro sul collo, gli sembrava di avere tutto il tempo del mondo, di vivere in una bolla dove non esisteva nulla all'infuori di loro due e delle parole d'amore che lo facevano sentire un adolescente alla prima cotta. Lui, che aveva vissuto mille vite.  
Lui, cresciuto così in fretta, che l'aveva vista bambina e donna ed ora voleva solo invecchiare con lei.
Era assurdo come qualcuno che aveva fatto delle parole il proprio lavoro potesse rimanerne totalmente privo di fronte ad un sentimento. Non riusciva più a scrivere niente, era come se le le non avessero più significato, non potevano esprimere e neppure avvicinarsi a quello che provava.
Era logorante, spaventoso e bellissimo allo stesso tempo.
Barbara mugugnó qualcosa, sbattendp ripetutamente le palpebre.
"Giorno" Sussurrò con la voce graffiata , impastata dal sonno.
"Giorno" Rispose lui, posando un bacio sulla sia fronte.
Fece per dirle qualcosa, ma si interruppe quando sentì una voce famigliare in casa loro.
Barbara spalancò gli occhi, indossó i primi indumenti che le capitarono sotto mano e corse in punta di piedi verso il salone col cuore che le scalpitava nel petto.

Elena cercò disperatamente di ignorare il nodo alla bocca dello stomaco che le impediva di respirare. Aveva lo stomaco attorcigliato, un'ansia nuova e sconosciuta. Quella di sbagliare, fallire, prendere una stradacsenza via d'uscita, infangarsi con le sie stesse mani. Eppure non c'era spazio per ripensamenti, doveva farlo.
Si fece coraggio e suonò il campanello. Il fischio acuto irruppe prepotente nel silenzio della casa.
Edoardo rimase impietrito, guardò la porta come si aspettasse di veder comparire un mostro o, più probabilmente, che una serie di colpi di pistola lo uccidessero senza neppure aprisse. Ma non succedeva niente, c'era solo questo silenzio irreale e una presenza dall'altro lato della porta, Lauro e Barbara erano chiusi in camera loro e non davano segni di vota così, sospirando, decise che toccava a lui.
Si avvicinò cauto e leggero, poi sbirciò dallo spioncino e si lasciò andare in un imprecazione sentita, che proveniva dal cuore, un misto di sollievo e nervoso, nel riconoscere quell'ammasso di capelli spettinati. Aprì la porta velocemente e senza dire una parola afferrò il polso di Elena, trascinandola dentro casa e richiudendo la porta alle sue spalle come temesse un assalto da un momento all'altro. 
Forse era proprio così. 
Aveva paura del mondo fuori, per se, per i suoi amico e anche per la ragazza di fronte a lui.
Elena protestò lievemente, massaggiandosi il polso ora libero, mentre Boss la studiava attentamente per assicurarsi che stesse bene, che fosse sana e salva, che non avesse lividi da curare, ferite da rimarginare e non ci fosse paura nei suoi occhi.  Teneva le mano grandi sul viso di lei, le muoveva il capo come fosse una bambola.
"Ao" Gracchió, allontandolo spazientita.
"Sempre questi modi del cazzo te eh" Replicò lui, lasciandola andare
"Guarda che accoglienza" Lo ammonì Elena, lasciandosi andare sul divano come fosse in casa propria sotto lo sguardo attento di Edoardo che la metteva a disagio. Non lo diede a vedere, ad ogni modo, incroció le gambe e si concentró sul fatto che lui stava bene, era in piedi e sembrava persino essere in forze. Si compiacé del suo stesso lavoro e si sentì più leggera.
Le faceva piacere sapere che stava bene, almeno lui.
 "Quella che ti meriti evidentemente". Replicò Edo, incrociando le braccia al petto. Gli occhi di Elena indugiarono poi sulle ombre livide che coloravano la pelle pallida di lui, ultimo segno della violenza subita, e le sembrò di sentire una voce, da qualche parte nella sua mente, pronta a ricordarle quanto fosse sbagliato quello che avrebbe fatto a tutti loro. Rimosse quel pensiero fugace si concentrò, attenta che Edoardo non cogliesse il suo turbamento. Non poteva permettere in alcun modo che interferisse con i suoi piani: era una questione di vita o di morte. 
E lei voleva vivere.
"Non sai in cazzo Edoa"
"Raccontame, allora"
Elena era sul punto di parlare quando sentì una porta aprirsi. Vide Barbara impietrita sull'uscio, con la maglietta al contrario e l'espressione inebetita.
Le sorrise, un'accenno appena percepibile sul suo viso, ma le sorrise ed Elena ricambió andandole incontro con le braccia aperte.
Barbara vi si tuffó, come fosse l'unica salvezza. "Ho avuto così paura per te" Le confessó, stringendola con forza e carezzandole i capelli, con la faccia nascosta tra il suo collo e la sua spalla e la sensazione di poter essete fragile e bambina tra le braccia della sua unica amica.
" Mi dispiace" Rispose Elena, con voce incrinata. I suoi occhi si fecero improvvisamente lucidi. Non poteva farle questo. Non a lei.
Non poteva.
"Oi" Barbara si staccò da lei quando la sentì singhiozzare. Elena, orgogliosa come sempre, fece un gesto con la mano, per dirle di lasciar perdere, che stava bene.
"Che é successo?" Intervenì allora Edoardo, con voce preoccupata, avanzando appena di un passo per poi fermarsi. Voleva lasciarle i suoi spazi, dopotutto chi era lui per consolarla?
Elena guardò prima Edoardo, poi Barbara, infine puntò lo sguardo si Lauro, che era rimasto per tutto il tempo in silenzio ad osservarla, e col cuore che le si spezzava nel petto prese la sua decisione.
"Ho parlato col Tedesco."
Il gelo calò nella stanza. L'immagine dei suoi genotori sorridenti e orgogliosi le passò veloce nella mente, la sua carriera, i suoi sogni, i suoi progetti dipendevano dal Tedesco ora.
E anche la vita di quelli che amava.
"Che cosa hai fatto tu?" Lauro alzó la voce, ma Barbara lo zittì.
"Luca? Ci sei andata tu? Che gli hai detto? Che ti ha fatto? Stai bene?"
Elena sorride tiepida.
"Li conosci i suoi modi, sono bruschi diciamo..."
Il freddo della pistola puntata contro la tempia le parve reale per un istante.
"Ci sono andata io, volevo risolvere sta situazione. Gli ho fatto una proposta. Ha accettato e per ora vi lascerà stare."
"Che proposta?" Il tono di Lauro era sospettoso. Non si fidava ancora di lei.
"Soldi" Mentì Elena. "Solo soldi"
Lauro non ce lo vedeva uno come il Tedesco ad accetare soldi, per quanti potessero essere, da una come Elena eppure non disse nulla, si limitò a sorriderle per farle capire che la teneva d'occhio.
C'era qualcosa che non tornava in quella storia.

«Sotto lune pallide» Achille Lauro #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora