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4.Ti troverò

Il vento le alzò i capelli mossi mentre l' autobus si fermava e apriva le porte proprio di fronte a lei.
Lo zainetto pendeva, appeso su una sola spalla, la tuta che indossava era così larga che credeva le sarebbe caduta a breve, ma era comoda e pulita e lei non aveva molti vestiti con se. Lauro gliel' aveva regalata, insieme a tutte le felpe che arrotolate riuscivano a farsi spazio nello zaino ormai zeppo.
Salì sull'autobus guardandosi intorno con sospetto, ma non c'era nessun altro oltre a lei, una signora di una certa età che la studiava con gli occhietti scuri pieni di rimprovero e due uomini, che non sembravano neppure essersi accorti di lei. Si sedette sul sedile più vicino all' autista e accese il telefono.
Quaranta chiamate perse, un nome che sembrava una condanna scritto a caratteri cubitali sul display: Luca.
Il tedesco l' aveva cercata, ancora, fino alla sera prima. Poi, dopo un ultimo messaggio, era sparito.
" Ti troverò" le aveva scritto. Diretto, freddo, senza un insulto, senza un'esitazione. Era una promessa la sua: io ti troverò. Un brivido scosse il corpo di Barbara, il ricordo delle sue mani grandi che scostavano con delicatezza i capelli dal suo volto solo per studiare da vicino l'enorme livido che le aveva lasciato sullo zigomo e posarvi un bacio, chiedere scusa per l'ennesima volta, sapendo che l' avrebbe perdonato.
Non aveva altro oltre a lui, non lo meritava forse. Non sarebbe andata da nessuna parte e lui lo sapeva, finendo per approfittarsene, per sentirsi potente.

Il giorno in cui aveva deciso di andarsene aveva fatto l'amore con Luca per ore ed era stato intenso, dolce,  l'aveva abbracciata e per la prima volta non aveva avuto paura di lui eppure, quando gli aveva detto che sarebbe uscita a procurargli la colazione, lui s'era piazzato davanti alla porta vietandole di uscire con uno strano sorriso in volto.
"Non voglio che nessuno ti veda" Aveva detto e lei, per la prima volta, s'era resa conto d'essere in gabbia, s'era sentita mancare il fiato. Gli aveva posato un bacio sulle labbra e sorridendo s'era chiusa in camera sua.
Aveva rovistato nella borsa per un po' per poi tirarne fuori un volantino spiegazzato. L'aveva osservato per un po'.
Aveva preso la sua decisone, ora sembrava tutto così sbagliato.
Ti troverò.
Gli sembrò di sentire la voce fredda di Luca, un' eco lontano tra il rumore di ferraglia del bus. Guardò il telefono, con mano tremante si sbrigó a spegnerlo e lo rimise velocemente in borsa. Chiuse gli occhi e si rilassó sul sedile di plastica rosso. Doveva trovare una soluzione, ma era tremendamente stanca.
Chiuse gli occhi e si lascio cullare in un sonno profondo.

Si svegliò tardi quella mattina, il sole lo abbagliava, infilandosi con prepotenza tra le fessure della tenda e colpendo direttamente i suoi occhi.
Allungò le braccia e sbadigliò rumorosamente, troppo stanco per fare mente locale sugli avvenimenti della sera precedente. Scostò velocemente la coperta e scivolò fuori dal divano, con i pantaloncini completamente arrotolati che lasciavano le gambe esili scoperte ed il torace in mostra. Entrò in cucina senza guardarsi intorno, un buon odore di caffè lo travolse, lasciandolo stordito.  C'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che non capiva, che sembrava sfuggirgli eppure essere  vicina, qualcosa che lo irritava tremendamente.
C'era una tazza sul tavolo, con accanto un bigliettino. "Grazie di tutto" c'era scritto, con un grafia bella, elegante, che poteva appartenere solo ad una donna.
Barbara.
Il suo nome gli balenò nella mente immediatamente e con questo gli avvenimenti della sera precedente, i capelli lunghi e scombinati, gli occhi grandi ed imploranti puntati su di lui, il nome del Tedesco che sembrava un presagio nero, il ritorno ad un passato che sembrava appartenere ad un altra vita. Si passò una mano sul volto e si lasciò cadere su una sedia, chiedendosi perché se ne fosse andata senza avvertirlo ne salutarlo, certo la sua reazione la sera precedente era stata rabbiosa, aggressiva eppure l' aveva ospitata, le aveva dato il suo letto ed i suoi abiti e lei era uscita da casa sua come fa una ladra, con il suo odore addosso magari per tornarsene dal Tedesco.
"Cazzo"
Imprecò, rendendosi conto di non volere affatto che se ne andasse, d'essere in pensiero per lei e di essere spaventato all'idea che sparisse di nuovo dalla sua vita dopo essercisi rituffata a bomba solo la sera prima.
Il Tedesco, poi, non era uno con cui giocare. Lauro lo sapeva meglio di molti altri, aveva una cicatrice sul petto a ricordarglielo ogni giorno.
Si chiese cosa davvero avesse spinto Barbara tra le braccia di quel verme. L'ultima volta che l'aveva vista era una ragazzina dolcissima, un po' impacciata, un po' banale, ma  con un  un'intelligenza straordinaria, una cultura invidiabile e tante, troppe cose buone che avrebbe potuto fare.
Una ragazzina perfetta fatta di cristallo che viveva nel cantiere di un palazzo in costruzione e ogni giorno veniva schiacciata dalle gru, una ragazzina con gli occhi grandi ed innocenti che voleva proteggere. Aveva fallito, lasciandola sola, scappando via ed ora non c'era rimasto nulla di innocente in lei, i suoi occhi l'avevano guardato come avessero visto più di lui, più di tutti.
Come fossero passati per una guerra, una strage, una vita intera in soli quattro anni e forse esagerava, ma si sentiva male al pensiero di averla abbandonata di nuovo e non sapeva dove fosse, come raggiungerla. Poteva solo starsene con le mani in mano.
Poteva solo sperare di incrociare presto la sua strada, per chiederle scusa.
Il telefono prese a squillare:
Edoardo lo stava cercando.

Una mano le strinse la spalla con forza, Barbara lanciò un grido impaurito e spalancò gli occhi. I due uomini la sovrastavano e la osservavano come si fa con un animale allo zoo.
Nella sua mente si aprirono tutti i possibili scenari. Cosa volevano da lei? Erano stati mandati dal Tedesco? Doveva avere paura?
"Si calmi signorina"Disse uno. "Volevano avvisarla che siamo al capolinea. Mi spiace averla spaventata"
Barbara accennò un sorriso tirato, tentò di ricomporsi il più velocemente possibile, aggiustando qualche ciocca di capelli dietro l'orecchio e sedendosi composta.
"Oh no scusi lei davvero. La ringrazio" replicò, afferrando lo zainetto e fuggendo via dall' autobus.
Non sapeva dove andare.
Non sapeva cosa fare.
Sapeva solo che qualcuno la stava seguendo e ne era terrorizzata.

«Sotto lune pallide» Achille Lauro #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora