Scelte

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"Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente,
molto più delle nostre capacità."

Albus Silente

2.Scelte

Era  quasi certa che Ginny avesse prima imprecato e poi urlato una qualche  maledizione contro il fratello, se non altro in quel momento Hermione  sperava che la buona mira della rossa non avesse smesso di funzionare  proprio quella sera. Harry aveva provato a raggiungerla mentre, una  volta abbandonato malamente il calice sul tavolo, era fuggita più veloce  che poteva da quell'immagine che aveva avuto il potere di distruggere  in mille pezzi il suo cuore. Aveva seminato l'amico riuscendo a  raggiungere appena in tempo una scalinata che subito dopo aveva preso a  spostarsi nel vuoto; -alle scale piace cambiare- le avevano  detto il primo anno ad Hogwarts, e mai come quella sera Hermione fu  grata ai fondatori per aver inserito quella peculiarità magica nel  Castello; infatti, se negli anni precedenti aveva odiato le scale  proprio per i ritardi che rischiavano ogni volta di causarle con le  lezioni, in quel preciso istante l'avevano salvata dagli occhi  compassionevoli di Harry che in quella situazione sarebbero risultati  solo ulteriormente umilianti.

Perchè era proprio così che Hermione Jean Granger si sentiva: umiliata.

Umiliata come donna, come amica, come amante. Usata da colui  che si era professato un vero amico. Si sentiva calpestata nel suo ego  femminile, distrutta nel profondo del suo animo. Lei che aveva sempre  aborrito trucchi e acconciature, vestiti sfarzosi e accessori superflui  in nome del sapere, della conoscenza, della giustizia, della lealtà e  dell'anticonformismo, quella sera aveva accantonato tutto per lui e,  cosa ancora più dolorosa, si era resa conto che per lui sarebbe stata  disposta a fare la stessa cosa anche il giorno successivo e quello dopo  ancora e poi ancora e ancora. Tutto inutile.

Iniziava a dolerle la pancia ormai, seduta nell'angolino di una delle  tante scalinate, nemmeno sapeva esattamente quale, scossa da singhiozzi e  singulti, rannicchiata su sè stessa Hermione si malediva per essere  stata così sciocca e così cieca. Le scarpe tanto alte quanto scomode  accantonate alla bell'e meglio accanto ai suoi piedi martoriati e  arrossati dalla corsa su quei trampoli a cui non era abituata. Piangeva  Hermione, piangeva disperata per la prima volta dopo la conclusione  della Guerra, piangeva e rideva perchè la sua razionalità aveva il  brutto vizio di fare capolino anche nei momenti meno opportuni, e la sua  razionalità le stava facendo notare che dopo anni stava piangendo non  per una morte o per la disperazione e l'angoscia di non sapere se  sarebbe arrivata intera a fine giornata, stava piangendo per una cosa  che alla sua età doveva essere normale: l'amore.

L'amore non corrisposto.

"Granger, sono cosciente del fatto che la Guerra abbia cambiato molte  persone, ma non ho mai avuto l'ardire di pensare che avesse potuto  rincretinire proprio te."

La riccia non seppe dire cosa esattamente in quella frase le diede la  forza di interrompere immediatamente i singulti che scuotevano il suo  corpo: forse l'aver riconosciuto immediatamente il padrone di quella  voce, o forse il tono con cui era stata sviscerata quella frase, non vi  era ombra di scherno o di cattiveria infatti, era come se lui pensasse davvero che lei si fosse rincretinita.

Il passo dallo smettere di singhiozzare ad alzare gli occhi sulla figura  ferma innanzi a lei fu breve, intercettò le eleganti scarpe lucide, un  piede posato accanto alle sue décolleté abbandonate e uno un gradino o  due più in basso, le gambe fasciate dal pantalone dello smoking nero che  aderiva perfettamente alla muscolatura degli arti inferiori  sottolineata dall'andatura del gallone in raso, poi la camicia candida  sormontata dalla raffinata giacca monopetto, ad unico bottone in vigogna  con revers in elegante seta, lasciata aperta in perfetta  contravvenzione ai canoni stilistici di moda ed eleganza imposti  dall'alta società; il colletto sbottonato lasciava intravedere una  generosa porzione di collo priva del caratteristico papillion abbinato  all'abito che giaceva, slacciato, sulla spalla dell'individuo che ancora  la stava osservando impassibile. Le mani abbandonate nelle tasche dei  pantaloni contribuivano a donargli una posa sfacciatamente rilassata.

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