Capitolo 23 Damon

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Scelte, quelle capaci di cambiare il corso degli eventi.

Apro le palpebre pesanti, la luce filtra dalla finestra stagliandosi nella mia camera. Fisso il soffitto perdendomi nel bianco che lo dipinge. Sapevo che non si sarebbe spostata dalla finestra, che non avrebbe sceso di corsa le scale e che la porta che ci separava non si sarebbe mai aperta. Eppure, nella testa era ciò che immaginavo. Lei che correva verso di me e con un abbraccio avrebbe accettato di perdonarmi. Alla fine, con la pioggia che incalzava al ritmo del mio cuore che scalpitava per l'ansia che provavo, ho distolto lo sguardo dal suo viso premuto contro il vetro della sua stanza e mi sono allontano. Non mi arrendo, ripetevo e ripeto a me stesso.

Mi alzo per affrontare l'inizio della settimana. È lunedì e devo tornare a lezione, ne ho saltate troppe; in più, distrarmi da lei almeno per un po' alleggerirà questo macigno che mi opprime. Devo e voglio lasciarle spazio. Tutta questa situazione è troppo per me e non posso immaginare come sia per lei che si trova costretta a dover accettare per l'ennesima volta le mie stronzate. Afferro il telefono dal comodino, scorro i messaggi di Arleen che mi chiede se sto bene, se sono uscito e se sto mangiando.

Non l'ha presa bene, pensava che sarebbe bastato tutto quello che avevo organizzato per abbattere un altro muro che ci teneva separati. Le scrivo un rapido messaggio dicendole che sto andando a lezione. Mi alzo e mi dirigo in bagno per una doccia veloce, dove incontro alcuni compagni della confraternita. Sono qui da un po' e a parte Arnold, mi rendo conto che gli altri sono solo conoscenti. Qualcuno saluta, altri tirano dritti per la propria strada con la giacca che mette in risalto il nostro logo.

«Credevo che non saresti più uscito dalla tua stanza», mi punzecchia Arnold poggiato allo stipite della porta della sua camera. In realtà, mi aveva sfiorato quel pensiero, ma non avrebbe cambiato niente.

«Come vedi non ho messo radici», rispondo secco.

«Ho disdetto un paio di incontri», dice in tono basso per non farsi ascoltare da chi ci passa a fianco.

«Perché non me l'hai detto?», abbaio.

Cazzo, ho bisogno di soldi; in questi giri universitari guadagno molto meno di quanto ero abituato, anche se è sempre di più rispetto a qualsiasi tipo di lavoro che mi terrebbe occupato per l'intera settimana.

«Non c'eri con la testa e avresti ammazzato qualcuno. Comunque ne ho uno per questo week end. Se ti senti pronto», spiega come se mi conoscesse da sempre, ma di me non sa un cazzo.

«Prestati solo a organizzare gli incontri», quasi ringhio, mi allontano per chiudermi in bagno. Il tempo di una doccia veloce e sono già nella mia camera che mi preparo.

«Sono un coglione, scusa», mormora Arnold affacciandosi tra la porta e lo stipite.

«Sì, sei proprio un coglione», ribatto spazientito.

«Volevo solo lasciarti un po' di tempo per...», mi volto verso di lui, afferro lo zaino dal pavimento.

«Riprendermi?», inarco un sopracciglio accompagnato da un ghigno spontaneo. «So badare a me stesso», mento. Mi avvio verso di lui che fa un passo indietro per lasciarmi passare.

«Ti ho chiesto scusa, Sanders. Che cazzo vuoi ancora?», ora è lui ad abbaiare.

Sorrido di spalle, il suo carattere mi piace perché non ha paura di me. Mi affronta e mi dice ciò che pensa senza mezzi termini.

«Un passaggio al Campus», rispondo.

Sbuffa e sento i suoi passi seguirmi giù, fino al portone e fuori verso la sua auto. Mi scocca un'occhiata prima di salire.

Un Amore Proibito 2 - Vite LontaneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora