IRENE POV'S
Era buio tutto intorno a me e avevo paura, molta paura. All'improvviso, davanti a me, comparvero le persone che mi avevano rovinato la vita. Io ero in ginocchio fragile sotto il loro sguardo che sprizzava odio da tutte le parti. Se questo può sembrare l'inferno quello che successe dopo fu decisamente peggio. Mio padre, anche se non aveva alcun diritto di essere chiamato così, alzò la mano in cui comparve l'impugnatura di una frusta. Iniziò a scagliarmela contro mentre io continuavo a piangere e disperarmi. Poi l'immagine cambiò era a casa, finalmente a casa ma non c'era nessuno. Cominciai a correre i ogni stanza nella speranza di vedere i miei fratelli o i miei genitori, ma niente. Loro erano spariti. In testa mi risuonarono parole inquietanti 'sei sola non hai più nessuno e nessuno ti vorrà mai'Mi svegliai di soprassalto, non potevo credere che quel incubo fosse tornato a distanza di un anno. Da quando prendevo le pastiglie non mi era più successo. Non capivo cosa volesse dire, però niente di buono. Guardai l'ora dal mio telefono, erano le 8:00 quindi non c'era più nessuno in casa. Meglio così non volevo di certo farli preoccupare anche se oramai erano abituati. Era passato solo un giorno dal mio incontro con Edward e già né sentivo la mancanza. Anche se con minor frequenza mi capitava anche prima di avere questo genere di incubi. Cercai di scacciare quei pensieri e di scendere a fare colazione. Non avevo molta fame, ma sapevo che se avrei dovuto aiutare Edward dovevo essere in forze. In quei 5 anni ero dimagrita moltissimo anche se, essendo un medico, sapevo il limite che non dovevo superare. Infondo essere un medico mi aveva salvato dal diventare anoressica, anche se non aveva fatto lo stesso miracolo con alcuni miei vecchi vizzi. Era diventato sempre più difficile nascondere i tagli con la lametta che mi facevo una volta al giorno. Era il brutto di vivere con dei licantropi, ero riuscita ad ingannare Edward ma non sapevo come avrei fatto a resistere ancora con gli altri. Capivo che si preoccupavano per me, ma io non ero come pensavano. Non ero forte e coraggiosa come invece mi mostravo agli altri. Dopo aver mangiato un po' lavai i piatti e, mentre stavo tornando in camera mia notai che c'era qualcosa che si muoveva nel bosco. Poteva essere un animale o il vento, ma se c'è una cosa che non era cambiata da prima che me ne andassi era proprio la mia curiosità. Mi misi il primo giubbotto che mi capitò e uscii. Quando mi avvicinai al bosco sentii un forte odore di vampiro, ma non di quelli che conoscevo. Iniziai a seguirlo attraverso i boschi finché non arrivai a una piccola radura. Al centro vi era una casetta da cui usciva del fumo grigio, segno che qualcuno stava cucinando. Mi sembrava improbabile che fossi nel posto giusto perché non aveva senso un vampiro che cucinava cibo umano. Uscii dal cespuglio in cui mi ero nascosta e mi avvicinai alla casetta, quando all'improvviso la porta si aprì e mostro l'oggetto della mia ricerca. Appena mi vide iniziò a ringhiare e io di istinto indietreggiai. Lo so che non era un atteggiamento tanto coraggioso però in quel periodo tra i tagli e il digiuno non sarei stata in grado di fronteggiarlo.
<<Max, che succede?>> chiese una voce femminile dietro di lui. Io ero ancora paralizzata dalla paura e quando sentii dei ringhi provenire da dietro di me l'unica cosa che pensai fu che avrei voluto i miei fratelli accanto. Con loro mi sentivo sicura mentre, da 5 anni a questa parte, mi sentivo più vulnerabile che mai. L'unica cosa che potevo fare e quella che avevo tentato per tanto tempo, acasciarmi a terra e sperare che mettino molto in fretta fine alla mia vita. Chiusi gli occhi, per farsi che la morte fosse più semplice. Potevo quasi sentire il loro fiato sul collo quando una voce famigliare me li fece aprire di colpo.
<<Lasciatela stare>> davanti a me mi ritrovai George. George conosceva Jasper da moltissimo tempo e, anche se le circostanze, li avevano messi uno contro l'altro i sentimenti avevano prevalso ed erano diventati buoni amici.
<<Ciao George, cosa ci fai quà?>> disse il ragazzo che da quello che avevo capito si chiamava Max.
<<Ero di passaggio e, per fortuna, sono arrivato in tempo per evitare che facciate lo sbaglio più grande della vostra eternità>> disse voltandosi verso di me e sorridendomi.
<<Ma George, questo è il nostro territorio e lei stava per attaccare la mia compagna.>> disse Max puntando il dito contro di me con disprezzo. Ecco perché mi aveva attaccato, perché pensava che bevessi sangue umano. Lo capivo, capivo che avesse paura per lei ma non riuscivo ancora a comprendere il ruolo dei ragazzi-lupi. I ragazzi-lupi, per chi non l'avesse capito, era il nome che davo io ai licantropi. Era un soprannome simpatico e diverso dal solito. Fatto sta che, anche se guardarmi intorno, sapevo di essere circondata da licantropi. E la cosa che mi sorprendeva di più era il coinvolgimento di George. Io e lui non avevamo chissà quale rapporto, io ero molto più legata a sua figlia Helena.
<<Non lo farebbe mai>> rispose intanto lui all'affermazione di Max.
<<Lei non è come altri della nostra specie, è una vegetariana e ad anche un autocontrollo eccezionale>> aggiunse. Max non sembrava tanto convinto, però in un suo momento di indecisione, la sua compagna prese la parola.
<<Io credo a George, sta ragazza non mi sembra poi tanto pericolosa, inoltre...>> disse guardandolo negli occhi. <<Lei non aveva fatto niente per farmi del male sei tu che hai agito senza pensare>> Max, quando la compagna ebbe finito, fece un sospiro rassegnato e annuì. Adesso che la guardavo meglio era una bella donna aveva i capelli rossi e gli occhi azzurri come il ghiaccio, se aggiungiamo il fatto che era alta e snella che avrebbe potuto essere una modella. Quando noto che stavo guardando la sua compagna Max mi ringhiò contro minaccioso. Io spostai lo sguardo sul terreno senza guardare nessuno, era una reazione molto comune in quel periodo. Sembrava che, andandomene da casa, avessi lasciato lì tutto il mio coraggio. Mi sentivo sempre fragile e indifesa, ma non lo mostravo mai agli altri. Max, come se mi avesse letto nei pensieri, addolcì lo sguardo e mi porse la mano per potermi alzare. Con un po'di estrazione l' afferrai. Quando fui in piedi iniziai a tremare per via del vento che si era appena alzato. Lui come se fosse la cosa più normale del mondo si tolse la felpa e me la avvolse intorno alle spalle. Gli occhi iniziarono a pizzicare e ci misi molto per evitare di piangere. Era lo stesso gesto che facevano di solito i miei fratelli.
<<Se resti ancora qui fuori rischierai di prenderti l'influenza... Vieni in casa così possiamo parlare>> mi disse, ancora con un tono di voce dolce. Io annui semplicemente, incapace di spiaccicare parola. Quando entrammo fui investita da un ondata di caldo proveniente, per lo più, dalla stanza che si trovava alla destra dell'ingresso. In tutta la casa si notava il tocco di una donna, era molto pulita e i mobili non avevano un granello di polvere. Mi accompagnarono nella stanza da dove proveniva il calore. Era molto grande e luminosa, da quello che potevo notare oltre ad essere una sala era anche il posto dove tutti gli abitanti della casa si riunivano. Nel muro alla sinistra della porta si trovava un camino mentre, davanti a me si estendeva un'enorme libreria. Certo, non mi sarei dovuta stupire visto che a casa avevamo un intera biblioteca però non riuscii a non rimanere a bocca aperta vedendo quanti volumi si trovavano lì. Sembravano messi lì a caso però sapevo che non era così, ognuno di quei volumi aveva un posto specifico nella libreria. Inconsciamente mi ritrovai a pensare che era un po' come la vita, ognuno aveva un posto al mondo che prima o poi avrebbe trovato. L'unica che non sapeva quelle fosse il suo ero io. Pensavo di aver trovato il mio quando mi trasferii con i Cullen, ma molto probabilmente il destino aveva altri progetti. Il resto della stanza era molto bello, c'erano due divani in pelle rossa e uno in pelle bianca. Il tutto era circondato da un enorme tappeto, ma ogni volta il mio sguardo cadeva su quella libreria.
Mi accomodai insieme agli altri su uno dei divani e solo in quel momento mi accorsi dei 4 licantropi che prima mi avevano ringhiato. Mi guardavano tutti curiosi di sapere qualcosa da me che io ignoravo.
<<Allora...>> iniziò Max. <<devi sapere che io ho il potere di capire i legami che ci sono tra le persone anche se non sono vicine a me e di rafforzare o distruggere questi rapporti. Quando, poco fa, ho accettato di lasciarti in vita pur essendo nel mio territorio è stato solo perché ho sentito che anche in un momento di pericolo tu ti sei affidata solo a l'affetto per sette persone. Non mi è mai capitato di sentirlo in nessuno, di solito si affidano a l'affetto per sé stessi e combattono. Mentre con te era come se fossi felice di morire e che la tua stessa esistenza fosse un percolo per le persone a cui tieni di più al mondo.>> mi spiego. Era strano come da un semplice pensiero fosse arrivato alla verità pur non conoscendo la motivazione. Dovevo riconoscere che lui mi avesse detto tutto su come stavano le cose e anch'io sarei dovuta essere sincera.
<<Sì, hai ragione>> dissi dopo un po'. << La mia stessa esistenza è un pericolo per la mia famiglia ed è per questo che non mi sarebbe dispiaciuto morire. Ho fatto soffrire troppe persone e forse me lo merito. La mia storia è abbastanza complicata, ma cercherò di spiegarla meglio che posso. Sono nata a Volterra, la capitale dei vampiri. Mio padre era un Volturo, anche se era vegetariano, un giorno mentre stava per andare alla porta della città per cacciare nei boschi circostanti incontro per la prima volta mia madre. Era una ragazza molto bella che aveva perso i suoi genitori quando era ancora una bambina. Fra loro fu subito un colpo di fulmine, anche se mio padre sapeva cosa sarebbe successo se li avessero scoperti. Ogni settimana, nello stesso posto e alla stessa ora si incontravano per passare qualche ora insieme. Pian piano tutti e due capirono i sentimenti che uno provava per l'altra, mio padre decise di andarsene dai Volturi e iniziare a vivere con lei. La cosa funzionò e sembra che Aro avesse preso la notizia bene, senza fare obbiezioni. Mio padre ritrovo un vecchio amico, anche lui vegetariano, che se n'era andato dai Volturi molto tempo prima e che dopo era riuscito a crearsi una famiglia. Aveva una compagna, due figlie e tre figli e erano felici. Il suo amico era diventato un medico per questo quando un giorno mio padre scoprì che mia madre aspettava me, si consigliò con lui che si offrì di fare il parto. Però Aro non aveva preso bene questa situazione, infatti impedì all'amico di mio padre di arrivare in tempo per il parto. Mia madre morì e mio padre non seppe per qualche tempo cosa fosse successo al suo amico. Decise che mi avrebbe tenuta nonostante la perdita di mia madre, ma un giorno bussarono alla porta i Volturi che lo uccisero. Però non riuscirono a uccidere me perché un vampiro di cui non so niente mi portò via in tempo seguito dalle guardie dei Volturi. Mi dovette lasciare davanti a un ospedale e andarsene per evitare che i Volturi uccidessero tutti e due. Prima che qualcuno dell'ospedale si accorgesse di me, una donna mi prese e mi portò via. Quella donna diventò poi mia madre e per tre anni vissi la vita di una normale bambina con i miei nuovi genitori. Finché non scoprirono cos' ero. Da quel giorno iniziarono a trattarmi come una schiava e, soprattutto, a picchiarmi. La situazione peggiorò quando, all'età di 5 anni, nacque mia sorella. I miei genitori mi avevano accolta in casa perché gli avevano detto di non poter avere figli che per loro era sinonimo di vanto. Mi iniziarono a far prostituire all'età di 5 anni, drogandomi ogni volta e menandomi se non portavo a casa abbastanza soldi. Poi un giorno, quando avevo 6 anni, arrivò un signore a casa nostra. Chiese di vedermi e all'inizio pensai che fosse lì per aiutarmi, ma ricacciai indietro subito quel pensiero quando porse dei soldi ai miei genitori. Capii subito che si erano stancati di me, ma quello che successe dopo fu ancora peggio. Quel uomo scoprii presto essere uno sfruttatore di bambini, ci faceva lavorare come bestie e potevamo restare anche giorni interi senza mangiare. Fu lì che incontrai i miei migliori amici: Jason, Samantha, Jack, Olivia e Shalby. Jason e Samantha, chiamata da tutti Sam, erano fratelli la loro madre era morta dando alla luce Jason e il loro padre era il proprietario del posto in cui stavo. Era una specie di fabbrica, ma nascosta da tutti. Per quanto Jason e Sam fossero suoi figli gli odiavo e per questo li aveva messi a lavorare come tutti noi. Sam si occupava dei più piccoli, come me, e nel mio caso sostuì mia madre. È sempre stata una persona dolcissima nonostante il padre. Loro erano gli unici che potevano dormire in un vero letto dentro casa, mentre non ci ammassavamo in un capannone tutti attaccati per scaldarci. Un giorno, mentre stavano andando nelle loro stanze, sentirono loro padre parlare al telefono. Stava parlando esplicitamente di far fuori qualcuno dei ragazzi che lavoravano nella sua fabbrica. Solo in quel momento, Jason e Sam, capirono che era loro padre l'artefice delle scomparse che avenivano una volta al mese di quattro bambini per volta. Però la cosa che li fece di più rabbrividire era che quella volta sarebbe stato il turno mio, di Jack, Olivia e Shalby. Da lì iniziò il loro piano, non andarono a dormire ma vennero da noi ad avvertirci. Dopo che il padre fu andato a dormire loro rubarono tutti i soldi che trovarono e presero una corda con legato a un estremità un piccone. Il giorno successivo ci svegliammo all'alba e mentre tutti ancora dormivano scappammo utilizzando la corda per issarci sopra le mura. Quando fummo tutti usciti iniziammo a correre verso il porto dove ci intrufolammo in una nave mercantile. Avevamo abbastanza soldi per comprare i biglietti però non ne avremmo avuti abbastanza per sopravvivere. Passammo 7 giorni a nasconderci dai marinai della "Corrente di fede" che solo dopo un po'di tempo scoprimmo essere pirati. All'ottavo giorno ci scoprirono, all'inizio pensavano fossimo dei ladri ma dopo dovettero ricredersi. Ci diedero la possibilità di continuare il viaggio con loro e così facemmo fin quando non arrivammo a Forks>> mi guardai intorno per vedere che effetto avevano avuto le mie parole. Tutti mi guardavano con uno sguardo che era un misto di stupore e pieta. Era dura ricordare quello che era successo dopo. Non furono tempi belli quelli che seguirono, come non era bella la fine di quella storia. Improvvisamente mi misi a piangere, era un pianto silenzioso di una persona che si vergognava di farsi vedere in quelle condizioni da persone appena conosciute. Quando ebbi finito di piangere tentai di dire qualcosa, ma proprio in quel momento suono il mio telefono. Quando guardai sullo schermo chi mi stava chiamando capii che doveva essere successo qualcosa di grave. Mi scusai e andai nell'altra stanza per parlare al telefono.
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Edward Cullen twilight
FanfictionEdward Cullen pensava che non sarebbe mai riuscito ad amare qualcuno e pensava che nessuno l'avrebbe mai amato. Finché non conosce Bella Swan una ragazza molto simile ad una persona molto importante per lui... Anche se non dovrebbe Edward, un vampi...