Dedicato a tutti colori che mi leggono. Grazie.
17 settembre.
Siamo rimasti per troppo tempo fermi in quella posizione, con la sua mano che non smetteva di accarezzarmi il dorso, i piedi che penzolavano fuori dal letto, e la schiena appoggiata al freddo muro. Nessuno dei due ha parlato, e penso che non c'erano bisogno di parole. Claudio aveva solamente bisogno di quel momento per lui, per riprendersi, per capire che comunque non è solo. E io non ho fiatato. Non sapevo che dirgli e in realtà avevo paura di combinare un danno aprendo la bocca e dicendo qualche cavolata della mia.
La verità è pure questa. Io non so mozzicarmi la lingua, non ne sono capace. Ogni qualvolta vorrei aiutare una persona, dire qualcosa per rassicurarla, in realtà finisco per ferirla. Sono una persona velenosa, rovino tutto ciò che tocco. Per questo ho taciuto e non mi sono mosso quando lui ha pianto ancora. L'ho lasciato sfogare, mentre stringeva ancora di più quella mano nella mia e io avrei voluto morire. Non so per quanto tempo siamo rimasti così, ma quello necessario per permettere al mio cuore di sciogliersi appena, ma non abbastanza affinché ciò avvenisse davvero.
Dopo poco di fatti Claudio si è calmato e ha sciolto il nostro incastro di dita e carne come se ne fosse scottato, e guardandomi preoccupato, è sceso dal mio letto per rifugiarsi sotto le sue coperte. Non l'ho degnato di uno sguardo, sono rimasto con lo sguardo fisso davanti a me. E forse, solo lontanamente, avrei voluto che quel momento tra di noi durasse di più.
*
«881329.» Una voce stridula mi sveglia, sbattendo qualcosa di metallico contro le sbarre del cancello della cella. «881329, sveglia!» l'uomo urla ancora, e io sono costretto ad alzarmi. Con ancora un occhio mezzo aperto e un mezzo chiuso, scendo dalla scaletta di legno e mi avvicino alla guardia.
«Sì, sono qua» mormoro, sistemandomi la maglia e «Cosa c'è?»
«C'è una visita per te» mi informa l'uomo in uniforme. «Muoviti!»
«Dammi un solo minuto.» ribalto incazzato nero. Mi chiudo in bagno, sbattendo la porta per darmi una regolata. Mi sguardo allo specchio e quello che vedo è l'ennesimo fantasma di me stesso che sta scomparendo. In sette mesi ho perso troppi chili, le occhiaie sono sintomo di un sonno mancato e cattiva alimentazione. E purtroppo non c'è via d'uscita.
La guardia mi richiama di nuovo, rispondo stizzito dal bagno, mi metto una maglia pulita e mi sistemo i capelli alla meno peggio. Mentre ritorno in camera, noto che Claudio si è già svegliato - impossibile non svegliarsi con le urla di quella arpia - mi guarda con fare interrogativo. Lo ignoro e mi avvicino all'uomo, che nel frattempo ha aperto il cancello e ferma i miei polsi con delle manette.
«Cammina!» mi strattona e sento Claudio trattenere il respiro. Deglutisco e mi permetto di guardarlo un solo secondo, quel attimo di verde che mi permette di non mollare.
*
Ad ogni detenuto spettano sei colloqui visivi al mese, della durata di un'ora ciascuno, con familiari o conviventi. In casi particolari, per i quali si deve specificare i motivi, in un'apposita richiesta da rivolgere al Direttore, i colloqui "possono" essere consentiti anche con altre persone. I colloqui possono durare anche più di un'ora: se non si hanno colloqui spesso, o se i propri parenti vengono da lontano, si può chiedere di riunire più ore, previste nel mese, in un solo colloquio. Una volta alla settimana si può essere autorizzati a telefonare a familiari e conviventi, sempre dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni. In realtà io non telefono mai. In sette mesi ho chiamato solamente due volte il mio avvocato e poi non mi sono scomodo di far sapere a nessuno come stavo e dove stavo. Non ho mai ricevuto una lettera dalla mia famiglia, e forse due tre visite ogni due mesi.
STAI LEGGENDO
Hai Imprigionato la Mia Anima •Clario•
FanficOPERA COPERTA DA COPYRIGHT, TUTTI I DIRITTI RISERVATI. «Mi chiamo Mario Serpa, ma il mio nome ormai non è più importante. Ciò che conta è il numero di matricola 881329. Sono un muro freddo e gelido, sono il ghiaccio. Sono un diamante che puoi graff...