5 - Un amico non si comanda, Le paludi di Mi-Ón, A riveder le stelle

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CANTO XII - UN AMICO NON SI COMANDA

Dieci giorni più tardi, nella luce grigia di un crepuscolo di ferro, Orfeo trasformò il ruzzolone in una caduta controllata: atterrò a quattro zampe e rimase acquattato, le orecchie basse e gli occhi socchiusi, i baffi che tremavano, gli artigli estratti: Pegaso lo fronteggiò ugualmente immobile e indispettito con due zampe di sei sollevate e le ali ormai guarite ripiegate intorno al corpo.
I

l felide fece un passo...e il dragoide indietreggiò di altrettanto mandando un verso liquido (e guardandolo piuttosto male); "Sei un ingrato!" soffiò il primo saltandogli addosso, il secondo sgusciò via, mostrò i quarti posteriori e iniziò a trottare.

"Altolà! Fermo lì!! Vieni qua!!! Brutto gnaustardo!!!".

Orfeo balzò sulla cima di un masso, si diede la spinta con tutte le zampe, gli ricadde sul dorso e Pegaso sgroppò facendolo ricadere su parti sensibili, *gnauahio!*: ricambiò affondando le grinfie e l'animale si impennò con uno strillo, quindi partì al galoppo verso un intrico di alberelli "No! Figlio d'un-".
L'attimo successivo la bocca gli si riempì di foglie e il felide miagolò di rabbia prima di venire di nuovo scaraventato via, stavolta ricadendo sulla schiena (a dispetto di ciò che si dice dei gatti in questo e altri mondi). Miao-ledetto!

Pigolii irati gli piovvero addosso, furente sputó un rametto e lo guardò che gli volteggiava sopra, arrogante nel resistere al suo incanto, ingrato nel ringraziare così di averlo salvato e curato, protetto e nutrito! Che figlio d'un ratto! Ingrato senzapelo!!!
Orfeo sollevò il pugno e ringhiò al cielo, il suo verso gutturale salutò la sagoma alata che spariva fra le nuvole, l'eco dei suoi fischi via via più flebile fino a confondersi con quello del vento.

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Oltre la valle dei mostri e la chiostra di picchi che la circondava, le pendici dell'Olimpo si erano distese in un vasto altopiano ventoso rigato di pietraie e lingue di neve, chiazzato di erba marroncina bruciata dal gelo; piccole macchie di pini nani e abeti isolati apparivano qua e là fra i macigni più grossi interrompendo il piattume del circostante, che a sua volta s'infrangeva a Nord-Ovest contro un orizzonte ormai prossimo di contrafforti e morene: preludio di un'ascesa che, da solo, non sarebbe mai riuscito a compiere.

Il felide si tirò su spazzandosi il manto, era preoccupata l'occhiata che scoccò; dalle falesie ondulate e le nubi grigie in cui sparivano si voltò all'acrocoro dietro di lui, e poi di nuovo in alto, ad un cielo che andava chiudendosi e scurendosi. Mi hai lasciato solo...
Raffiche taglienti lo sferzarono mentre tornava ai contrafforti e risaliva per la terza volta al calderone ombroso sopra di lui: inghiottiva l'Olimpo come un abisso alla rovescia...e già la sera giungeva, e lui era solo.

"...scusami" ronfò aspettandosi subito dopo di sentire stridii conosciuti, e un punto nero stagliarsi e ingrandire sul ribollire dei pixel in fuga: ma per quanto esplorasse la lastra fosca sulla sua testa, solo rimase fra carezze ostili.

~-_'•

La luce residua morì, le ore passarono, stelle rade si affacciarono spargendo nevischio sul suo errare e il suo errore: avrebbe dovuto fermarsi, trovare riparo, accendere un fuoco con la poca legna che si trascinava dietro e invece non lo fece, perché tutto in quella improvvisa solitudine aveva perso di senso...e da solo mai sarebbe riuscito ad ascendere la montagna sacra, perché di un compagno aveva bisogno, ma il suo compagno era fuggito.

Orfeo ed Euridice: del perduto AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora