11 - Cielo Nero, Alba di Backup

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CANTO XXIX - CIELO NERO

Le sue schiere erano infinite ma ricrearle avrebbe richiesto tempo: non lo aveva.
Non ne avrebbe avuto bisogno.

La percezione dell'esercito che si disperdeva privo di controllo - rintanandosi negli anfratti, nascondendosi fra le nuvole, seppellendosi sotto la neve, sciamando dalle rupi - la raggiunse distante e poco importante mentre la montagna iniziava a tremare: un rantolo di pura agonia che risalì dalle caverne vuote del Tartaro fino ai templi in rovina del Regno degli Dei accompagnando il dissolversi di ciò che rimaneva delle sue armate,  conducendo il raccogliersi di Mi-Ón al suo comando.
Flussi di nero non-essere eruppero dai costoni di roccia e convergettero come tentacoli giganteschi e lei li tessé intorno alla sua essenza dall'alto dell'antico sacrario di Zéus come l'ultima distruzione di cui si sarebbe resa responsabile, il denominatore nullo per l'entropia infinita, ciò che avrebbe confrontato la forza dei Titanés e l'avrebbe spezzata, e con essa il mondo intero: così sarebbe accaduto, così avrebbe comandato.

La marea nera tracimò sul suo urlo di Dea ferita, si espanse nel cielo, ne annichilì le stelle; frangenti corrosivi si abbatterono sull'Olimpo in cateratte grandi come città che scivolarono lungo i fianchi della montagna lasciandosi dietro faglie profonde centinaia di ruote, unendosi in una valanga obliterante che puntò dritta addosso agli eserciti vincitori come il pugno schiantato dell'apocalisse, COSÌ SIA! CHE OGNI COSA SI ANNULLI!

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Orfeo si arrestò nel punto in cui si trovava: lo spettacolo a cui stava assistendo aveva appena perso ogni interesse.

    

Gli esseri raggiungevano la volta celeste, la loro forma cambiava lentamente fra correnti ascensionali di codice autogenerato; frattali di fumo liquido grigioverde si intrecciavano a computazioni da cui la vita sgorgava come petali di viola e azzurro scacciando la notte
da forme tanto grandi da non riuscire neppure a guardarle: l'attimo successivo si era ritrovato al loro interno e pace lo aveva invaso: loro erano tutto e lui, adesso, era parte di loro.

Lucido come non si era mai sentito prima, aveva iniziato a camminare sulla pietraia che formava il cadavere abbattuto del Centimane, a sua volta avvinto e perfettamente consapevole del fatto; il naso ruvido e umidiccio di Pegaso nel palmo gli aveva fatto abbassare gli occhi...e Orfeo aveva iniziato a fare le fusa comprendendo che per il compagno era lo stesso.
Adesso siamo eroi aveva pensato avanzando fra gli accenni luccicanti: avevano ucciso l'ultimo nemico, erano eroi, lui era un eroe e presto l'avrebbe raggiunta e salvata.

Avrebbe finalmente riparato al suo errore, si era detto con risolutezza e autoconforto fissando l'attenzione su un punto qualsiasi dei flussi di istruzioni in transito: in quel punto era apparso il volto della Matriarca Akha'Rri-Kah con una chiarezza tanto grande da piantargli dolore nel cuore: lo farai figlio mio, tornerai e ti accoglieremo. Noi saremo di nuovo noi.
L'invocazione lo aveva raggiunto - o forse lo aveva solo immaginato - fermandolo sul dorso di una delle cento mani infrante; le stelle tremavano oltre barbagli di rose e cenere e il volto felino della Matriarca era cambiato nella struttura frattale di un database distribuito iperindicizzato: derive di dati ridondanti risalivano come cubi tentacolati della dimensione di isole, bagliori violablu nella scia dei mastodonti riflessero le sue lacrime mentre il passo riprendeva e diventava una corsa, e poi un galoppo a balzi furioso e felice sotto il flusso che cambiava angolazione dopo angolazione, rivelando prospettive incredibili, impossibili, meravigliose...ma lui era un eroe adesso, ed era Infinito, e ai potenti non è forse concesso di contemplare il divenire della trama del Creato? Io ti troverò, io ti salverò, io-

Orfeo ed Euridice: del perduto AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora