L'Italia entra in guerra

58 2 0
                                    

Prima dell'estate del 1914, l'Italia era stata alleata della Germania e dell'Austria-Ungheria, come membro della cosiddetta Triplice Alleanza fin dal 1882. Quando scoppiò la guerra, tuttavia, l'Italia si dichiarò neutrale e lo rimase rigorosamente fino alla primavera del 1915. Per tutto questo tempo, l'Italia osservò lo sviluppo della guerra e calcolò come trarre il massimo beneficio dalla situazione. Nel Paese, la netta maggioranza delle forze sociopolitiche (i liberali giolittiani, i cattolici, i socialisti) era contraria all'intervento per motivi di opportunità strategica o per convincimenti religioso-politici. Tuttavia, la rumorosa minoranza degli interventisti, assai variegata al suo interno e sostenuta da voci di intellettuali ed artisti quali D'Annunzio e i futuristi, si fece presto sentire: i democratici (tra cui i repubblicani, i radicali, alcuni socialisti come Bissolati, Bonomi o Salvemini, gli irredentisti come Cesare Battisti) vedevano nella guerra all'Impero austroungarico l'occasione per completare il processo storico-politico del Risorgimento, mentre altri (i liberal-conservatori di Salandra e Sonnino) volevano accrescere il peso e il prestigio italiano sullo scacchiere europeo. Se i rivoluzionari (nella cui fila militava anche il direttore dell'«Avanti!» Benito Mussolini) speravano che il conflitto indebolisse finalmente il sistema borghese, i nazionalisti cercavano il "riscatto morale" dell'Italia e degli italiani dalla democrazia parlamentare attraverso eroiche gesta al fronte.

Nell'aprile del 1915, l'Italia si avvicinò all'Austria-Ungheria e offrì la sua alleanza alle Potenze Centrali in cambio di una lista di una mezza dozzina di territori sotto il controllo austriaco. Quando l'Austria rifiutò qualsiasi concessione qualche giorno dopo, l'Italia si rivolse agli Alleati con una lista ancora più lunga di richieste. I negoziati iniziarono immediatamente, e alcune settimane dopo, il 26 aprile, fu firmato un accordo segreto che divenne noto come "Patto di Londra". Il patto approvava le rivendicazioni per i territori italiani che restavano sotto il giogo dell'Austria-Ungheria, così come in Albania, Turchia e Nord Africa. il 23 maggio 1915, l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria. Il principale scenario di guerra nel quale sarà impegnata l'Italia sarà quello friulano, lungo il corso del fiume Isonzo.

Le prime offensive

All'inizio della campagna le nostre truppe passarono il vecchio confine vincendo i primi scontri ed inseguendo gli austriaci in ritirata fin dentro il loro territorio, ma presto furono costretti ad arrestarsi, una volta giunti a contatto delle linee fortificate degli Austriaci, che formavano un potente baluardo dal Trentino al Carso. Nel 1915 l'esercito italiano, era sotto il comando del generale Luigi Cadorna, che sostenne con slancio innumerevoli combattimenti, ottenendo una serie di vittorie, senza però conseguire risultati decisivi. Questa prima fase della guerra costò ad entrambi gli schieramenti il sacrificio di migliaia di soldati, anche se le perdite maggiori furono quelle degli Austriaci, i quali alla fine del 1915 avrebbero perso sul fronte italiano ben 220.000  uomini. Essi però si erano assicurati il grande vantaggio della scelta del terreno ed avevano occupato le cime costruendo una serie di linee fortificate scaglionate in profondità.

Le forze italiane avanzarono rapidamente nelle regioni montuose di confine dell'Alto Adige e del fiume Isonzo, ma nel giro di qualche settimana la loro avanzata si arrestò a causa del terreno insidioso. Di conseguenza, un altro fronte trincerato fu aggiunto alla guerra. Dopo un inverno che costò crudeli sofferenze ai soldati per i rigori della temperatura, nel 1916 le operazioni ripresero. Nel mese di marzo si combattè la battaglia di Tolmino, munitissimo campo trincerato che costituiva uno dei capisaldi della difesa nemica allo scopo di impegnare gli Austriaci e impedir loro di mandar aiuti ai Tedeschi che avevano iniziato una energica offensiva contro i Francesi a Verdun. Due mesi dopo gli italiani erano di nuovo sulla difensiva. Italiani ed austriaci combatterono battaglia dopo battaglia lungo il fiume Isonzo, e anche se le perdite furono enormi, i progressi da entrambe le parti furono trascurabili.

Il disastro di Caporetto

La situazione rimase sostanzialmente invariata fino a quando gli italiani non furono sconfitti nella disastrosa battaglia di Caporetto nell'ottobre del 1917 e costretti a ritirarsi dall'area. In seguito al cedimento della linea difensiva fu necessario compiere un ripiegamento sul Piave sulle posizioni precedentemente allestite da Cadorna, il quale dopo la ritirata fu obbligato a dimettersi e lasciare il comando al generale Armando Diaz. La Seconda Armata venne totalmente abbandonata dai propri ufficiali e migliaia di soldati si diressero senza alcun ordine verso la pianura friulana. Molti gettarono con sollievo le armi convinti che la guerra fosse terminata. Contemporaneamente, nelle strade riempite dai militari in rotta, si aggiunsero i primi civili friulani, costretti ad abbandonare le proprie casa a causa dell'avanzata austro-germanica.

 Contemporaneamente, nelle strade riempite dai militari in rotta, si aggiunsero i primi civili friulani, costretti ad  abbandonare le proprie casa a causa dell'avanzata austro-germanica

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

La battaglia, che si era interrotta negli ultimi giorni di ottobre, si riaccese il 10 novembre e continuò fino al 31 dicembre. Nei primi mesi del 1918 il nuovo capo di stato maggiore iniziò un'opera di razionalizzazione della produzione bellica e di riorganizzazione dell'esercito, attuando una più stretta collaborazione con gli alleati dell'Intesa. Sul piano strettamente militare azioni minori si svolsero in primavera nel settore Tonale-Adamello, sull'altopiano Asiago e sul basso Piave. Il 15 giugno gli austriaci iniziarono l'offensiva su tutto il fronte. Nel settore di Asiago e sul Grappa furono contenuti, ma sul Piave sfondarono le linee italiane in vari punti.

Grazie alla riorganizzazione voluta da Diaz, le truppe italiane furono in grado di tornare all'offensiva già nei primi mesi del 1918. Aviazione ed artigliera erano finalmente divenuti parte integrante del nuovo esercito e nella vittoriosa battaglia del Solstizio, combattuta nel giugno 1918, l'apporto dell'aviazione fu di grande importanza, soprattutto nelle azioni d'appoggio tattico, di bombardamento e d'interdizione. Nel corso delle operazioni, il 19 giugno fu abbattuto sul Montello l'asso della caccia italiana, Francesco Baracca, che aveva raccolto ben 34 vittorie. La conquista della supremazia aerea da parte italiana venne confermata dalla pacifica incursione di 7 biplani monomotori SVA sulla capitale austriaca il 9 agosto 1918. Dopo un volo di circa 1.000 km in totale, di cui 800 su territorio avversario, la formazione italiana lanciò sulla testa dei cittadini viennesi migliaia di manifestini tricolori. Ideatore dell'impresa e estensore dei testi di propaganda l'instancabile Gabriele D'annunzio. 

La vittoria italiana e la fine della guerra

Il 24 ottobre iniziò l'offensiva finale italiana. Gli attacchi furono concentrati sul Montello e sul Grappa, per dividere le forze austriache del Trentino da quelle del Piave. In questo settore l'avversario fu costretto a ritirarsi verso Vittorio Veneto a partire dal 29. A nord Rovereto fu raggiunta il 2 novembre e Trento il giorno dopo, così come Trieste ad est. L'armistizio tra Italia e Austria-Ungheria venne firmato il 3 novembre a Villa Giusti, presso Padova e alle ore 15 del 4 novembre 1918 le ostilità su tutto il fronte italiano ebbero finalmente termine. Si chiudeva così il sanguinosissimo conflitto sul fronte italiano, che era costato ad entrambi gli eserciti un totale di oltre 750.000 caduti. Un tributo di sangue altissimo per quella che diventerà poi nell'immaginario del paese una "vittoria mutilata".













La Grande GuerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora