"Io che restavo in disparte
a guardare la vita
scivolare da me,
non capivo il perché.
Ricomincio da me,
perchè è l'ultimo salto
da fare per te."
Il vento di Ostia soffia tanto da poter spostare i capelli di Luca, i quali sembrano star facendo un valzer. Non c'è rumore, tranne quello del mare. Eppure questo fino a un'ora fa se ne stava bello calmo, ora, invece, sembra aver avvertito un qualcosa che lo fa agitare tanto forte. Getto la sigaretta sulla spiaggia e la calpesto. Amo star qui. Eppure so che a Luca questo silenzio sta stretto, ma non dice nulla... e pure se dice qualcosa, sa già che non lo risponderei. Luca non è mica come me eh. Non sta un po' zitto. La frase 'la bocca è stata fatta per parlare', l'ha presa troppo sul serio. A volte mi fa salire il nervoso, e lo mando a fanculo. Sarà che ho il 'vaffanculo' facile, ma ce lo vuole lui eh. Io non gli dico mai niente, è sempre lui ad avviare discorsi, la maggior parte delle volte, senza un filo logico E' un'idiota.
Mi alzo e mi pulisco il jeans dalla sabbia appiccicata. -"Lù, stai ancora qua o vieni?"
Lui mi imita, alzandosi. -"No vengo, sicuramente mia madre mi starà aspettando."
Metto le Marlboro nella tasca anteriore dei jeans, insieme all'accendino, e tengo stretto il telefono nella mano destra. Non sto aspettando nulla. Nessuna chiamata. Nessun messaggio. Ormai è un'abitudine. Ho aspettato così a lungo una chiamata o un messaggio, che le ultime briciole di speranza, ora, si prendono possesso di me. A volte, la gente dovrebbe sapere che è bello esser cercati. Ma io non sono il tipo ricercato. Non lo sono mai stato.
Finiamo sul marciapiede scassato e inizio a prendere a calci una lattina di Coca. -"Davide ha detto che stasera torna Lisa e che ci rivediamo al solito posto, sempre se vuoi."
Per "solito posto", si intende un bar che manca poco e se ne cade, che possiede il papà di Lisa, una della nostra comitiva. Di solito, lì passiamo le intere giornate. E' un posto, ormai, chiuso. Chi cazzo ci verrebbe a bersi un caffè in quella baracca? Ma a noi piace lo stesso. Io, Luca e Davide abbiamo ricoperto le pareti con "la nostra arte", ovvero le abbiamo riempite di spray con diversi colori, mischiati tra loro. C'è più storia su quelle pareti che sui libri di storia. C'è, praticamente di tutto, dai ricordi di qualche anno fa a frasi di libri, canzoni o disegni. La maggior parte dei disegni li ho fatti io, il fatto è che non riesco a staccarmi da qualsiasi cosa sia in grado di tracciare una linea. Ho scritto e disegnato dappertutto. Sul pavimento della terrazza in legno della spiaggia. Sul marciapiede scassato. Sui binari di un treno. Una volta, persino su un treno, chissà dov'è sto treno adesso. Non so perché lo faccio, boh, in un certo senso è un modo di esprimere il mio essere, che poi non so manco se ne sono capace. Giulia diceva sempre di si, che ero il più bravo in quello, ma so che esagerava, perché lei esagerava sempre. Giulia era una bambina di sei anni, una mia vicina di casa, ai tempi io avevo nove anni e spesso giocavamo insieme. Era sempre allegra e buffa, faceva delle barzellette da schifo proprio, ma io ridevo per farla felice, perché se non lo facevo metteva il muso per tutta la giornata e se ne andava. Aveva i capelli biondo scuro e dei grandi occhi grigi. Era davvero carina. Le mie giornate le passavo con lei. Quando non mi vedeva, correva nella mia camera e saltava praticamente sul mio letto riempiendomi di schiaffi e calci. Allora io facevo la parte dell'incazzato, e lei diceva 'ma tanto lo so che mi vuoi bene'. Ed aveva ragione. Aveva un sorriso che ti metteva allegria, con quelle fossette minuscole e dolci. A volte volevo toccarle, per vedere quanto profonde erano. Le tiravo sempre la guancia rossa, era davvero buffa. Poi un giorno mi disse che andava da sua nonna, a Milano, perché le mancava e perché sua mamma aveva trovato lavoro lì. Io non le dissi niente. Che le potevo mai dire? Mi sentii soltanto solo e un po' perso. Certo avevo degli amici, ma era diverso. Lei capiva tutto e subito. Senza spiegazioni. Senza parole. Mi vedeva giù e si attaccava come una cozza e non mi lasciava. Anche se le dicevo di lasciarmi in pace, non se ne andava mica. Il giorno in cui partì l'accompagnai vicino alla macchina. Sua madre mi sorrise e sventolò la mano in segno di saluto, ricambiai il sorriso. Giulia mi disse -"Bè non mi abbracci manco?" Rimasi immobile. Non so perché. Davvero, non lo so. Allora lei strinse le sue minuscole braccia dietro al mio collo, allungandosi un po' sulla punta dei piedi. -"Non cambiare mai da come sei", mi disse. E salì in macchina. 'Abbi cura di te', pensai. Gli occhi mi bruciavano, ma non dovevo piangere, no. Sarebbe tornata, sicuramente. Ovvio, che sarebbe tornata. Guardai la macchina, fino a quando non scompari' del tutto. Giulia non si voltò. Se si sarebbe voltata avrebbe pianto, già lo sapevo. Sapevo quanto odiasse gli addii, me lo diceva sempre ogni volta che guardavamo un film e finiva a piangere. Che poi i film li sceglieva sempre lei eh. Prima li sceglieva e poi piangeva. Ma perché vuoi vederti un film che ti fa piangere? Davvero non la capivo.
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Sei una tempesta non prevista.
Teen FictionVorrei dirti che l'estathè lo prendo sempre alla pesca, e sulle patatine non metto sempre il ketchup, vorrei dirti che quando piove di solito dimentico l'ombrello, vorrei dirti che mi giro sempre le dita tra le mani quando sono nervosa e che se rido...