Ero rannicchiato su una poltrona, situata accanto ad una finestra aperta. L'aria mattutina, fresca e frizzante, mi accarezzava il volto. Alla portata della mia mano, in un tavolino bianco rotondo, c'era un posacenere di vetro che rifletteva la luce solare. Dentro di esso si consumava una sigaretta lunga e stretta, sporca del mio balsamo labbra al miele sul filtro. Sul bordo del tavolo c'era una bottiglia di vino a forma di pera; sull'etichetta era disegnato un uomo pingue con un grappolo d'uva in mano, che si riempiva la bocca di chicchi.
Guardavo fuori dalla finestra, distratto, immerso nei miei pensieri. Scrutavo l'orizzonte, alla ricerca di qualcosa. Forse della mia anima. Mi chiesi se era ancora intrappolata a Busan, a quel liceo maschile con i muri di mattone.
- Hai ancora lo sguardo vacuo -.
Girai lentamente la testa verso il ragazzo che aveva parlato, mentre cercavo di farmi passare il leggero tremolio alle dita strofinandomele sui pantaloni. Sul mio volto si dipinse un'espressione di scherno, in quello di Jungkook solo disappunto.
Avanti e indietro. Avanti e indietro. Brusca interruzione. Broncio. Imprecazione. Avanti e indietro di nuovo. Da capo.
Jungkook camminava senza sosta, fin quasi a scavare un solco sul pavimento. Di colpo si fermò, strinse i pugni e mi guardò. - Io lo ammazzo, porca puttana - disse, mimando il segno di tagliare la gola a qualcuno.
- A chi ti riferisci? - dissi, inghiottendo la palla di giornale che sembrava istruirmi la gola. Alzai gli occhi quando il freddo della stanza si fece incandescente.
- A chiunque ti abbia fatto questo -.
Scoppiai a ridere, convulsamente. Sembravo un pazzo, uno di quelli da rinchiudere in un manicomio.
Odiavo quegli occhi. Odiavo la luce che essi racchiudevano.
Non appena varcai il vialetto che mi conduceva a casa, un bambino con i capelli corvini arruffati e gli incisivi da coniglietto corse giù dai gradini sbattendo le braccia, seguito dalla sorella maggiore.
- Jungkook, lascia almeno che Jimin-sunbae appoggi lo zaino - urlò Jeongyeon dal cancello del nostro condominio, mentre si avvicinava.
Eccitatissimo anch'io, corsi verso il demonietto che si agitava frenetico e lo presi al volo. - Jimin-hyung! - urlò tra le mie braccia. Sentendolo chiamarmi ufficialmente "hyung", sapere che mi considerava un fratello nonostante la mancanza di un legame di sangue, fu uno dei momenti più commoventi della mia vita. Presi in braccio Jungkook e lasciai che si abbarbicasse su di me come una scimmietta. Mi mise le mani sulle guance, strizzandole leggermente. - Ben tornato a casa, Jimin-hyung! - mi urlò nelle orecchie. Scoppiai a ridere e lo strinsi a me.
I suoi occhi mi ricordavano la mia fanciullezza, quando tutto era semplice e bello. Ma poi la mia infanzia si era decomposta davanti alla mia espressione atterrita e lentamente era crollata. Insieme ad essa anche tutte le cose meravigliose mi avevano abbandonato. Così, ad un tratto, avevo percepito la solitudine ed il gelo mortale del mondo. Ed io continuavo ad aggrapparmi spasmodicamente al mio passato irrevocabile, a questo paradiso perduto che non sarebbe più ritornato. Ciò che contava era che il mondo oscuro, i brutti ricordi che mi tormentavano costantemente, affioravano in superficie in modo inaspettato. Ed io non ero in grado di affrontarli.
- Credi di essere speciale, vero?-. Le sue parole erano come il morso di un serpente, cariche di veleno mortale.
Cercai di mantenere la calma. - In realtà no, e non l'ho mai pensato. Forse è vero proprio l'esatto contrario -. Questa era la verità, ma a giudicare dalla sua reazione, lui non era d'accordo.
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Sunny ☀️ Jikook
FanficJungkook, un ventenne dal carattere forte, è innamorato del suo Hyung dalla tenera età e non si fermerà finché non avrà conquistato il cuore di Jimin. Jimin, 28 anni, cerca in tutti modi di condurre una vita tranquilla e moderata, finché riappare i...