Capitolo XII

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Ieri sera siamo stati in un nuovo pub irlandese. Pochi giorni fa c'è stata la sua inaugurazione, mentre io mi trovavo a Torino. Gli arredi interni sono in stile anni 70, non ci sono sedie attorno ai lunghi tavoli in legno scuro ma solo massicce panche ricoperte da sottili cuscini, verdi come le pareti del locale. L'ambiente mi piace, mi sento ben accolto.
Ci sentiamo inebriati da un frizzantino aroma di birra appena spillata ma io e mio fratello, da ormai molto tempo, siamo abituati a prendere sempre il solito drink, è un po' strano ma sento che questa scelta, sempre la solita, consolidasse ancora di più il nostro legame già forte.
Brindiamo al mio ritorno.
La serata scorre piacevolmente fin quando vengo distratto da alcune voci provenienti dalla porta d'ingresso. Ne riconosco una tra tante. Quel vociare per me ha un suono fin troppo familiare. Lo rivedo, è Andrea.
Quei suoi ricci biondi appoggiati alla fronte, sempre un po' aggrottata come se non vivesse mai un momento sereno, non sono cambiati affatto. Anche i suoi occhi verdi sono sempre gli stessi e mentre mi ci perdo, fingendo che il tempo non fosse mai passato, noto che da un po' sono rivolti verso di me. Mi si avvicina.
Lo saluto come se fosse un perfetto sconosciuto, ma sappiamo entrambi ciò che c'è stato tra noi.
Avevo 16 anni, lui era più grande di me. Era il classico ragazzo a cui piace imparare, a cui piace studiare, io non lo sono mai stato.
Non eravamo la classica coppia che spinge chi ci guarda a provare invidia e non abbiamo mai ostentato a forza il nostro amore, ma Dio solo sa quanto gli ho voluto bene.
Grazie a  lui ho scoperto tante cose: la mia sessualità, la differenza tra amare e desiderare, la gelosia, la rabbia vera, quella che logora da dentro, la menzogna, il tradimento, la falsità, ma, infine, anche il perdono.
Cala il silenzio tra di noi, si sente un po' di imbarazzo e l'aria si taglia con il coltello. Andrea mi chiede di uscire per parlare, mio fratello fa un leggero cenno col capo, facendomi capire che devo andare. Lo seguo verso l'uscita.
Parlare con lui è strano, non ci siamo più visti da quando gli comunicai la mia scelta di non provare il test di ammissione a Catania. Ci rimase molto male, credo si sentisse deluso o, in qualche modo, tradito, tanto da non voler avere più a che fare con me, almeno fino a questo momento.
So che dentro di lui la mia immagine non è svanita, so che ha pensato a me così come io ho pensato a lui, ma non posso ricordare solo i bei momenti: è impresso dentro di me il dolore che mi ha causato. Al contempo non posso ignorare la mia nuova storia con Giacomo. Non merita tutto ciò e decido di tenerlo all'oscuro di questo incontro. Forse sono io a non volergli dare troppa importanza.
Era inevitabile finire a parlare dei vecchi tempi,  dei baci e delle carezze e degli schiaffi e di quelle urla forti e piene di odio e rancore che rimbombano ancora nella mia testa. Riportare alla luce questi ricordi mi rende inquieto e mi porta a provare la stessa rabbia di allora, quella che mi ha spinto fino in Piemonte, lontano da tutti e da tutto.
A smorzare quel clima ci ha pensato mio fratello, anche lui ora davanti alla porta del locale pronto a riportarmi a casa. Non ci avevo fatto caso ma avevo passato troppo tempo fuori con lui, tanto da fargli capire che qualcosa non andava.
Andrea mi prende per il braccio prima di lasciarmi andare: non accetta di lasciarci ancora con un discorso sospeso. Vuole rivedermi per chiudere questo capitolo della nostra vita che neghiamo ci faccia ancora soffrire ma che, in realtà, lascia l'amaro in bocca.

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