Capitolo XV

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Ho sempre pensato che la fiducia sia, nel rapporto con l'altro, una delle cose più importanti. Il poter credere ciecamente in ciò che dice e ciò che fa la persona che abbiamo accanto mi ha sempre dato un senso di sicurezza.
Io so di poter credere in Giacomo, non mi ha mai fatto pensare il contrario. Ma io? Cosa sono io? Cosa ho fatto per essere così sbagliato? Lui ha riposto speranze e aspettative in me, in noi e nel nostro rapporto e io ho tramutato la primavera che stavamo vivendo, quella calda e piena di colori accesi, in un profondo buco nero, un infinito buco nero in cui sento di star sprofondando insieme ai miei sensi di colpa,  che ora mi porto appresso come un macigno e che mi trascinano in basso sempre più velocemente.

Sento un peso nel petto che mi opprime, che mi fa mancare l'aria, e un bruciore costante allo stomaco che mi toglie l'appetito.

Sono un mostro, un ingrato, perfido bastardo. Io prendo tutto il buono che mi viene concesso e restituisco solo dispiaceri.
Non ho saputo dire no.
Mi sento un animale che si piega al suo istinto e a cui non è capace di tener testa. Mi sento un animale che si lascia guidare dalle voglie e non conosce altri stimoli. Mi sento un animale e non ci sono più scuse che tengano, non c'è niente che possa continuare a ripetere a me stesso per giustificarmi.

È solo sesso, niente amore mi sono detto e l'ho ridetto fino a farlo diventare un eco nella mia testa, finché non mi è sembrato fosse vero. Ma io non sono un animale e ci sono dei limiti da rispettare, una testa e un cuore da ascoltare.

Se Giacomo sapesse quel che ho fatto con Andrea e Piero non so se sarebbe in grado di perdonarmi. È lì a Torino che mi aspetta tranquillo e io, stronzo, non sono stato neanche in grado di dirgli di aver incontrato il mio ex in quel pub.
So di aver illuso Piero, che ha sempre avuto un debole per me e che non so cosa pretenda da me dopo quel che è successo. Non sa neppure che io ho qualcuno che mi aspetta, che non sono libero, che è stato puro divertimento.

Riesco solo a recare danni a chiunque, non riesco a vivere nella stabilità di un rapporto d'amore o d'amicizia: devo sempre rovinare ciò che piano, e con fatica, ho costruito. Sono fatto così, è la mia natura. Sono abituato a rompere e rimettere insieme i cocci, l'ho sempre fatto.
Se un vaso si rompe, si può provare a rimettere assieme i pezzi, a riattaccarli sperando che le crepe non si vedano, ma non sarà più lo stesso: continuerà ad essere rotto.
Ma, pensandoci, sarà pur sempre un vaso, sarà dello stesso materiale, lo stesso colore, la stessa forma. Sarà solo differente. 
Io so che ho sbagliato ma forse non è tutto da buttare, forse c'è ancora qualcosa da aggiustare, forse il rapporto con Giacomo sarà solo diverso, forse potrà perdonarmi o solo passare oltre e dimenticare, come voglio fare io. Spero possiamo dimenticare. È per questo che ho deciso di parlare.
Lo schifo che ho dentro non può essere ignorato. Una volta tornato a Torino, non riuscirei neppure a guardarlo in faccia per la vergogna.

Parlerò con Giacomo e di Piero non mi importa. Sarò egoista ma ho un rapporto da provare a tenere a galla.

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