Capitolo XIII

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Dovrei concentrarmi sugli studi, dovrei pensare alla mia vita ma quel telefono poggiato lì, a pochi centimetri da me, sembra chiamarmi. Non resisto e gli mando un messaggio.
I vecchi messaggi scorrono veloci, li rileggo tutti e tutto d'un fiato. Non sono più il ragazzo che scriveva quelle frasi. Ho una nuova consapevolezza, conseguita da una grande crescita. Mi sento diverso. Sono diverso.
Non ho neanche il tempo di riappoggiare il cellulare lì dov'era che lo schermo si riaccende. È lui. Sono immobile, indeciso se rispondergli subito o aspettare il tempo giusto. Non vorrei capisse che penso a lui, che lo aspettavo, che tremavo aspettando una sua risposta, ma la mia mano non sembra ascoltare i miei pensieri e va veloce, dritta a scrivere di nuovo a lui.
Lo voglio vedere, mentre una parte di me mi avverte dicendomi che è sbagliato, l'altra freme e mi fa palpitare.

<< il nostro posto segreto non è lo stesso senza di te.>>

Vorrei solo rispondergli che manca anche a me ma mi limito a dargli un appuntamento per il pomeriggio.
È una piccola campagna nei pressi dell'aeroporto, la nostra. È un luogo isolato, buio, disperso in un nulla che contiene tanto, che contiene tutto.
Era perfetto per due come noi. Per una coppia come noi, anche se non rispecchiavamo il vero significato della parola. Era solo il luogo giusto per avere intimità, sicurezza. Era il luogo giusto per consumare quello che chiamavano amore, con passione e sudore.
La sua 500 Abart svolta per la mia via. Io lo aspettavo già da un po' ma non glielo avrei mai detto. Sapevo che era lui prima di poter vedere nitidamente il rosso acceso della sua macchina, quel colore che spiccava tra tutte le altre, perché il motore rombante mi aveva distratto da quel sassolino che calciavo per l'attesa snervante già da un po'.
Durante il tragitto la radio è accesa e, dopo una breve pausa pubblicitaria, comincia una canzone che racconta di un amore vero e, non essendoci dialogo tra noi, mi perdo nelle sue parole lente. Dopo poco però non le seguo più, distratto da lui e dai suoi capelli mossi dal vento che entra dal finestrino. Non stacca mai il suo sguardo dalla strada. È concentrato e quando lo è arriccia un po' il naso. L'ho sempre adorato.
La macchina si ferma e io lo riconosco subito. È il mio posto, il nostro posto speciale. Il vento fresco passando tra gli alberi fa lo stesso suono di prima e, ora che è primavera e i fiori sono sbocciati da poco, il profumo mi entra nelle narici prepotente.
Lui allunga una mano sulla mia coscia, mi accarezza dolce, come tempo fa. Poi si sposta sulla mia guancia e mi rivolge un sorriso dolce, pieno di ricordi. Succede l'inevitabile e, in fondo, me lo aspettavo.
Ricordavo il suo fiato lento e caldo sul mio collo ma riviverlo è un'altra cosa. I baci lenti ma passionali che si fermano solo per permetterci di riprendere il respiro. I finestrini appannati, il dondolio evidente dell'auto, i suoi gemiti seguiti dai miei.
Mi è mancato tutto questo ma, una volta finita la foga violenta e accesa una sigaretta, che mi permette di tornare calmo, penso a ciò che ho lasciato dietro di me: Giacomo.
Non posso non sentirmi male per quello che è successo e il senso di colpa mi soffoca.
Ma questo non è amore, questo è solo sesso.
Lo dico nella testa mentre aspiro il fumo secco che mi arriva fino in gola, per poi rigettarlo via. Lo ripeto e lo faccia ancora per convincere me stesso e per sentirmi meno male.
Andrea è stato un capitolo importante della mi vita e so che è giusto chiuderlo perché non può occupare tutto un libro.

La volta buona Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora