Capitolo 15

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  "Sono passati due giorni."
"Diamogli ancora del tempo."
"Gliene abbiamo dato abbastanza. Ci vogliono poche ore da qui a Collecorvo, forse una o due. E qui non parliamo di ore, ma digiorni." Ribatté il vecchio Oin, alterandosi contro la Mezzelfa.
Keira incrociò le braccia al petto batté la punta del piede a terra. Passò in rassegna con lo sguardo tutti i volti dei suoi compagni.
"Beh? Che avete intenzione di fare, andare a cercarli? Uscire di qui è fuori discussione: non possiamo né lasciare la Montagna incustodita e né andare a zonzo per i boschi." Ribadì infine.
"Ma non possiamo nemmeno lasciarli al loro destino. Insomma, magri sono in difficoltà o si sono cacciati nei guai o che so io e non sono riusciti ad arrivare in tempo..." Disse Bofur. Keira gli rivolse uno sguardo esasperato e sbuffò. Non capivano che il meglio per tutti era rimanere lì e aspettare? Erano guerrieri, tutti quanti, se la sarebbero cavata se fossero stati in pericolo. Secondo lei, avevano solo ritardato la partenza da Collecorvo per qualche motivo.
"Stiamo parlando dei nostri parenti e amici. Dobbiamo andare a cercarli e portargli il nostro aiuto." Intervenne Kili.
"Ma non capite che-"
"No, sei tu che non capisci. Non ti importa nulla di loro, non è così?!" Sbottò il giovane. Le figlie di Bard e il vecchio Oin i scambiarono uno sguardo, mentre Bofur si avvicinò ai due giovani.
"Ma che diamine stai dicendo? Come puoi pensare una cosa simile?! Per chi mi hai presa, eh?" Gridò lei, seriamente scioccata dalle sue parole. Davvero credeva che non le importasse nulla? Che anche lei non fosse in pensiero quanto gli altri?
"Kili, calmati adesso. Keira non voleva certo intendere quelle cose." Fece Bofur, poggiando una mano sulla spalla del nipote di Thorin che però se lo scrollò subito di dosso.
"Non mi toccare!" Esordì con rabbia.
Come un fulmine a ciel sereno, lo schiaffo di Keira echeggiò nella sala, lasciando tutti – soprattutto Kili – attoniti dal suo gesto.
La gota del giovane era rossa e calda e pulsava dal dolore.
"Sei uno stupido!" Gridò, guardandolo con occhi feriti. Gli si avvicinò minacciosa. "Ti è andato di volta il cervello?" Continuò, spintonandolo violentemente sul petto. Kili barcollò all'indietro, ma non cadde. "Smettila di fare il ragazzino capriccioso e torna al tuo posto. Non azzardarti mai più a dire una cosa del genere, sono stata chiara? Per me voi siete tutto e sono preoccupata quanto voi, ma non possiamo lasciare la Montagna. Chiaro, dannazione?" Con un'ultima forte spinta lo sbatté a terra.
"Hei, hei. Adesso, basta ragazzi." Oin si avvicinò a Kili, mentre Bofur trattenne Keira per l'avambraccio. Le sue narici erano dilatate e gli occhi mandavano lampi di rabbia.
"Vieni, devi sbollire prima di fare altri danni." Le disse, tirandola via di lì.


Bofur portò la Mezzelfa in uno dei corridoi adiacenti alla sala.
Il passo di lei era pesante e le sue braccia conserte; lo sguardo aveva un cipiglio serio e frustrato.
"Allora?" Le chiese fermandosi a metà strada.
"Allora cosa?"
"Perché avete gridato in quel modo? Che sta succedendo?"
"Non succede nulla."
"Keira, non è da te sbottare a quella maniere e tanto meno da Kili dire certe cose. Soprattutto su di te, poi. Vuoi dirmi che vi è preso?"
Keira sospirò e abbandonò stancamente le braccia lungo i fianchi.
Bofur le si avvicinò e le accarezzò una guancia. Il suo tocco delicato – per quanto potesse esserlo quello di un Nano – la fece rilassare.
"Kili mi ha rivelato i suoi sentimenti e io l'ho respinto. Mi spezza il cuore vederlo così, ma che posso farci? Non volevo certo ferirlo." Cominciò, abbassando lo sguardo. "Cosa ho fatto ai Valar per meritarmi questo?!" Ora sembrava stesse sull'orlo di una crisi isterica. "Ho avuto una madre che è morta di parto e un padre che mi sempre odiato per questo; una sorella, forse l'unica persona che mi abbia davvero mai amato, che è stata sbranata da Azog e dal suo stramaledetto Mannaro albino; sono destinata a morire e non so né il perché né il percome di questa decisione dei Valar e per giunta, come se non bastasse tutto questo, devo anche essere odiata da Kili perché non riesce ad accettare che il mio cuore appartiene ad un altro?! Qualcuno lassù deve volermi davvero male." Fece una pausa. "A volte desidererei che la profezia si avverasse subito. Sarebbe una vera liberazione." Disse infine, lasciandosi scivolare contro la parete.
Bofur si chinò a fianco al ei e la strinse forte.
"Oh, Manwë, perché? Perché proprio io?" Sussurrò la giovane, scuotendo il capo.
Ci fu un lungo silenzio.
"Keira?"
"Mh?"
"Ti amo." Le disse, baciandole una guancia.


Kili se ne stava seduto a terra con fare scocciato.
Si rigirava fra le mani una pietra nera, a volte accarezzandola, altre alzando lo sguardo e sospirando sommessamente.
Che sciocco era stato. Non bastava che lei non lo amasse, doveva peggiorare ancora di più le cose!
C'era rimasta male, lo aveva capito dai suoi occhi. E con la sua reazione, il giovane si era subito pentito di ciò che le aveva detto.
Guardò per l'ennesima volta l'oggetto tra le sue mani; pensò a sua madre e a quanto gli mancasse. Poi pensò di nuovo alla Mezzelfa. Lei non aveva nessuno che la aspettava a casa, nessuno che da qualche parte avrebbe pianto la sua morte. C'erano soltanto loro.
Decise di scusarsi. Le sarebbe stato vicino come un amico ed un fratello, mettendo da parte i suoi sentimenti.
Sapeva che era la cosa giusta da fare e l'avrebbe fatta.


"Cos'è quella?" Domandò la voce di Keira, facendo sobbalzare il moro, che non si era minimamente accorto del suo arrivo.
"Una pietra runica" Rispose, passandogliela.
"Torna da me." Mormorò la giovane, ridandogli la pietra nera e lucida. "Chi te l'ha data?"
"Mia madre: è una promessa." Un'ombra balenò sul volto di lei, ma scomparve subito, lasciando il posto ad un lieve sorriso.
Era andata lì con l'intento di riappacificarsi con Kili. Era da sciocchi rimanere ammusati reciprocamente nella situazione in cui erano. Litigare, poi, non portava a nulla.
Fu però il giovane arciere a prendere parola per primo.
"Senti, Keira, mi dispiace. Hai ragione tu, sono uno stupido, non avrei mai dovuto dire quelle cose. So che non le pensi... ti chiedo scusa." La guardò negli occhi. "Io ti sarò vicino, d'ora in poi, ma starò lontano dal tuo cuore."
Keira sorrise alle sue parole, abbracciandolo forte. Poco distanti, i due Nani e le due ragazzine si guardarono sollevati. Fortunatamente si erano chiariti in maniera pacifica.
"Grazie." Sussurrò lei, ringraziando mentalmente anche i Valar.


"Madre?"
"Keira, figlia mia." La voce cristallina di Calime le accarezzò le orecchie. Era così tanto tempo che non la vedeva nei suoi sogni.
"Madre, è passato del tempo dall'ultima volta. Da allora solo incubi... è accaduto qualcosa?" Domandò, curiosa, abbracciando sua madre.
"Sono stata richiamata per portarti un messaggio da Manwë Signore dei Valar." Cominciò l'Elfa con tono grave.
"Riguarda il mio destino, non è così?" Keira abbassò lo sguardo.
"Sì, tesoro mio."
"Cosa dice il messaggio?" I palmi iniziarono a sudarle.
"La profezia sta per compiersi, la battaglia sarà vinta, il trono riconquistato e un popolo salvato."
"Di che battaglia sta parlando?" Domandò confusa. È così, quindi, che avrebbe perso la vita? In una battaglia? E cos'era quella roba sul popolo salvato e il trono riconquistato? Che volevano esattamente i Valar da lei?
"Keira, ascoltami bene: qualunque cosa accada, lascia che la profezia si compia. Non sconvolgere la strada che Varda ha scritto nelle stelle."
"Non lo farò."  

Non sempre si combatte per ciò che è giustoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora