Capitolo I - Il non-marchio

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Capitolo I

Il non-marchio

Chuuya non si accorse subito che qualcosa alla mafia era cambiato, o forse, più semplicemente, fece finta di non notar nulla di diverso.

Erano due settimane che Dazai non si faceva vedere. Non lo vedeva esattamente da quella notte in cui lo aveva preso durante il suo ultimo giorno di calore.

Inizialmente aveva pensato che gli fossero state date delle missioni diverse dalle sue che avevano portato a non farli neanche incontrare per sbaglio. Eppure, era impossibile, dopo due settimane, che quel moro fastidioso non lo avesse avvicinato per almeno qualche minuto solo per procurargli una gransissima irritazione.

Dazai si divertiva troppo ad infastidirlo per non farlo da tanto tempo. O, almeno, era tanto tempo per Dazai. Quasi ogni giorno sbucava solo per far saltar in aria ogni briciolo di pazienza rimasta a Chuuya.

-Quel suicidomane finalmente si è ucciso levandosi dai piedi, perciò non si vede più?- aveva domandato, in un giorno fin troppo caldo, al suo capo, fingendo di non star analizzando il viso di quell'uomo per capire se le parole che gli stavano uscendo dalla bocca sarebbero state delle bugie o la pura verità. Stava pur sempre parlando col capo della Mafia, no?

Mori aveva sorriso lievemente congiungendo le mani e posandoci sopra il mento, per sostener la testa mentre i suoi occhi lo scrutavano. Lui sapeva tutto quello che succedeva ai suoi sottoposti e tra di loro, perciò collegò l'interesse del rosso verso il moro per qualcosa che andava oltre l'essere semplici partner nel lavoro. -Sei l'unico a non saperlo, davvero. Probabilmente era quello che voleva, anche se ero certo che la bomba nella tua macchina ti avesse fatto intuire la situazione, in qualche modo.-

Il rosso si era da prima accigliato, poi aveva cominciato ad alterarsi al solo ricordo della bomba nella sua macchina. Era stato un fastidio, proprio come le urla di panico delle donnette nella sua via. Sembrava un concerto lirico, di quelli brutti. Era stato Dazai, eh? Beh, era abituato a quei suoi giochi. Era solo strano che da quella mattina di due settimane prima, con lo scherzo della macchina, erano tutti troncati. Nessun altro scherzo, anche minuscolo.

Mori riprese a parlare, tranquillo. -Dazai se n'è andato. Non ha cercato neanche di nascondere le sue traccie. Si è unito all'Agenzia.-

Quelle parole Chuuya non se le aspettava. Dazai si era unito a quelli? Proprio lui che era più che sicuro che fosse il prossimo a diventare il capo della Mafia?

Non aveva senso.

Perché aveva fatto una cosa del genere?

Chuuya era incazzato.

Non poteva essersene andato lasciando una bomba nella sua auto dopo una settimana di puro sesso. Non aveva un cazzo di senso. Tanti anni di calori, giornate a completare missioni e scopare dovevano valere almeno un bigliettino con su scritto il perché se ne fosse andato.

Il rosso, poco dopo quella conversazione con Mori, era ritornato a casa e aveva aperto la bottiglia di vino più costosa e buona di cui era in possesso: del Pétrus dell'ottantanove.

Avrebbe dovuto festeggiare il fatto che Dazai se ne fosse andato, scomparso finalmente dalla sua vita, eppure finì a lamentarsi proprio di questo. Non faceva più parte della sua quotidianità, ma del suo cuore sì, fin troppo.

Dopo un bicchiere di vino, si ritrovò a guardare il numero del moro, imbronciato teneramente. Il secondo bicchiere gli servì a privarlo di abbastanza orgoglio da chiamar Dazai.

Come c'era da aspettarsi, quello sgombro non rispose.

Neanche i messaggi minatori scritti piuttosto male e con numerose frasi incomprensibili, dettate dal terzo bicchiere, vennero considerati.

Dopo quattro bicchieri, Chuuya aveva lanciato il telefono e il bicchiere di vetro per terra. Aveva afferrato la bottiglia e aveva cominciato a ber direttamente da quella, barcollando e lamentandosi contro qualunque oggetto, sicuro che fosse Dazai.

Era proprio andato.

Così tanto che alla fine si ritrovò ad abbracciare la bottiglia, ormai vuota, e, accoccolato in posizione fetale sul divano, chiamò più volte il moro, piangendo.

-È colpa mia... se... te ne sei andato...?- sussurrò con un fil di voce, singhiozzando.

Vero, doveva festeggiare il fatto che Dazai se ne fosse andato, eppure... Lui non aveva mai voluto che se ne andasse, almeno nel profondo era ciò che non voleva. Chuuya non lo ametteva, ma gli piacevano le attenzioni fastidiose dell'altro.

Tornò con la mano dietro il collo, dove non c'era nessun marchio da poter accarezzare. Non apparteneva a nessuno... come aveva sempre gridato ai quattro venti che voleva; che non aveva bisogno di alcun alpha.

Bugie, lui voleva qualcuno, ma non una persona qualunque... Non un padrone, ma un compagno.

Il che era incoerente: voleva aver il morso di un alpha, che rappresentava praticamente un marchio di appartenenza, ma voleva essere alla pari del suo alpha.

Voleva essere di Dazai... Ed essere anche al suo fianco come compagno. Ma la verità era un'altra, pura e semplice: Chuuya non era l'omega di Osamu.

Era solo uno dei suoi tanti giocattoli da usare quando si divertiva.

Avrebbe potuto appartenergli... così, almeno, avrebbe potuto sperare che sarebbe tornato a prenderlo.

Ma Dazai non sarebbe tornato, almeno non per lui, ne era consapevole. Avrebbe trovato ovunque qualcuno che avrebbe potuto soddisfarlo sessualmente come, o meglio, di quanto faceva Chuuya. Non sarebbe neanche stato difficile per lui, conoscendolo.

Quello sprecabende... Probabilmente anche nel momento in cui Chuuya stava singhiozzando per lui cercando di urlare per togliersi il peso che aveva sul cuore, Dazai stava scullacciando qualcheduna che gli era capitata a tiro, mentre camminava per qualche via, o che aveva semplicemente incontrato in qualche locale. Lei, sicuramente, si stava divertendo e si sentiva fortunata per quell'incontro, soprattutto se aveva già provato la sensazione di Dazai dentro di lei, inconsapevole del povero Nakahara steso sul divano a soffrire come la più infima delle bestie a causa, e per, dell'uomo che quella sconosciuta era contenta di aveva incontrato.

Chuuya guardò il soffitto, cercando un senso a tutto quel dolore. -Maledetto Dazai... se ti... r-rivedo... ti ammazzo- aveva ringhiato a denti stretti mentre sentiva i succhi gastrici salirgli fino alla gola e un disgustoso sapore in bocca. Da quanto non mangiava? Forse da qualche ora prima che sapesse della fuga di Dazai...

Inghiottì la saliva in eccesso, sperando di rimandare il più possibile il rigettare... qualunque cosa dovesse rigettare. Sospirò.

-Anche... se vorrei... che mi avessi voluto per te... Non è... così...-

Il distacco dal proprio alpha era la cosa più dolosa al mondo, di solito succedeva quando un omega veniva morso da un alpha e poi i due si allontanavano...

Benché non fosse la sua situazione, Chuuya si sentì proprio così: come se avesse perso il suo alpha.

E, con quei pensieri per nulla felici, e con lo stomaco che richiamava a gran voce del cibo, si addormentò stringendo la bottiglia vuota, mugolando il nome di Osamu.

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