Quella notte io e Stiles dormimmo insieme. Non fu affatto una cosa programmata: semplicemente continuai a piangere senza riuscire a fermarmi per ancora moltissimo tempo e lui non mi abbandonò – il pensiero di farlo neppure gli passò per la testa – nemmeno quando mi stesi a letto, stremata. Aveva detto che mi sarebbe stato accanto e l’aveva fatto: mi aveva raggiunta e pur senza dire una parola, era riuscito a farmi star meglio. Avevo preso sonno tra le sue braccia, con le guance ancora umide e le sue dita intrecciate ai miei capelli. Non ho idea di cosa pensò Stiles di quel momento così intimo: so solo che lo avvertii perfettamente entrare a far parte del mio cuore ogni secondo che passava un po’ di più.
Il mattino dopo fu Stephen a svegliarci, seppur indirettamente. Uscendo di casa per il turno mattutino alla centrale di polizia urtò inavvertitamente un oggetto non ben identificato che sicuramente io e Stiles avevamo lasciato in corridoio, dimentichi di rimetterlo a posto o semplicemente troppo disordinati per farlo. Stephen rischiò di cadere e farsi male, ma i suoi riflessi pronti lo aiutarono e se la cavò con un paio d’imprecazioni che – seppur fossi ancora mezza addormentata – mi strapparono un sorriso.
Non ricordo quanto imbarazzante fu ritrovare Stiles accanto a me, nel mio letto, vicinissimo dato che occupavamo in due un materasso a una piazza, ma non ho dubbi quando dico che non me ne curai. Sì, insomma, decisi per il mio bene di godermi solo il meglio della cosa e – seppur scioccamente – assaporai fino all’ultimo tutta la felicità di quel momento. Tuttavia, il benessere durò poco. Un mal di testa lancinante mi riportò immediatamente indietro alla sera prima e potei avvertire gli strascichi del precedente malessere ancora ben presenti dentro di me.
Lasciai perdere, ancora una volta, simulai benessere e mi alzai. Semplicemente continuai a vivere. Perché era quello che la vita mi chiedeva. Dovevo andare avanti, di certo non era successo nulla di grave o irreparabile. Certo, aver conosciuto l’altra metà del mio albero genealogico aveva portato alla mia mente spiacevoli pensieri riguardo a mio padre – ferita aperta – ma potevo ricacciarli indietro come avevo sempre fatto e dimostrarmi forte. O comunque imparare a diventarlo.
Fu proprio per ciò che decisi sarei tornata subito dai Carter. Da mio nonno o dai miei zii ancora non l’avevo deciso ma Stiles, come al solito, mi aiutò. Non appena fu sveglio quel giovedì mattina gli parlai dei miei piani e lui acconsentì subito ad accompagnarmi da «quelli che meno ti spaventano», parole sue. Alla fine scelsi di andare da Thomas, non perché fosse tra i Carter quello che temevo di meno ma perché lo consideravo il più qualificato per allenarmi.
Andò tutto così bene che il giorno dopo mi ritrovai di nuovo lì, pronta a scollarmi di dosso gli ultimi dubbi ancora presenti nella mia mente e soprattutto mossa dalla smania di conoscere alla perfezione ciò che da sempre era dentro di me senza che io me ne rendessi conto. Volevo riuscire ad imparare ad utilizzare al meglio qualunque sorta di poteri Madre Natura mi avesse donato e se l’unico modo per farlo fosse stato quello di esporsi agli stremanti allenamenti di Thomas, allora l’avrei fatto. Avrei sopportato i mal di testa lancinanti e i sogni notturni triplicati se ciò fosse servito a farmi diventare più forte.
A pochi minuti dal mezzogiorno del sabato successivo mi ritrovai lì lì per uscire nuovamente di casa, diretta – tanto per cambiare – alla magione Carter. Stiles quella volta non sarebbe stato con me: era dovuto correre da Scott per non avevo capito quale importantissima questione di vita o di morte ed io ero rimasta di conseguenza da sola. Per fortuna, la cosa non mi dispiaceva né mi spaventava. Non più. Avevo smesso di aver paura.
Controllai ancora una volta che fosse tutto a posto: che avessi chiuso e spento tutto e di aver sistemato qua e là per evitare di lasciare la casa in condizioni penose. Poi infilai il cappotto e mi misi una borsetta con giusto il minimo occorrente dentro in spalla e mi avviai alla porta, pronta ad uscire. Quel giorno Thomas mi avrebbe permesso – finalmente – di leggere i diari di suo padre ed ero davvero eccitata all’idea di cimentarmi nell’impresa che mi aveva aiutata a ritrovare la mia famiglia. Tuttavia, capii ben presto che il Destino non fosse d’accordo coi miei programmi e ne avesse per me di ben diversi.

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parachute
FanfictionEro nata e cresciuta ad Austin, ma non volevo più starci. Il Texas ormai mi andava stretto. Avevo sedici anni e tanta voglia di indipendenza. Se fossi stata fortunata, quella che stava per arrivare sarebbe stata la mia ultima estate laggiù. Quello s...