Scoprire che Stephen Stilinski non fosse semplicemente ‘‘il signor Stilinski’’ ma anche, e soprattutto, ‘‘lo sceriffo Stilinski’’, mi aveva lasciata a dir poco sbalordita. Sembrava quasi come se Beacon Hills non volesse smetterla più di riservarmi sorprese – per fortuna fino a quel momento erano state tutte belle sorprese – ma, alla fin fine, era più che normale ritrovarsi a confronto con una realtà completamente nuova rispetto a quella che avevo ad Austin – la realtà alla quale ero stata abituata per sedici anni. Quindi diciamo che mi ero messa ben presto l’anima in pace e mi ero sforzata di agire come se nulla fosse, anche perché alla fine non c’era niente di più giusto. Cosa c’era di così strano nel ritrovarsi un padre adottivo membro delle forze dell’ordine? Assolutamente nulla, tanto che – una volta messi da parte tutti i miei inutili ‘‘complessi’’ – io, Stephen e Stiles eravamo anche riusciti a scherzare sulla cosa.
Ah, giusto. Stiles. Era passata oramai una settimana esatta dal mio arrivo a Beacon Hills, e di momenti insieme ne avevamo trascorsi parecchi. Certo, dire che lo conoscevo bene sarebbe stato esagerato… ma in ogni caso potevo affermare senza dubbio alcuno di aver capito che tipo fosse, e mi piaceva. Infatti, Stilinski junior non mi aveva fatto semplicemente una ‘‘buona prima impressione’’, ma aveva continuato a confermarsi un ragazzo carinissimo e simpatico. Il genere di ragazzo col quale ogni mia coetanea sarebbe uscita, insomma. E, parlando di questo, il fatto che fosse single – e no, non gliel’avevo chiesto, ma semplicemente avevo dedotto che fosse così – destava in me non pochi sospetti.
Cambiai posizione nel letto, trattenendo un sorriso. I raggi argentei della luna – quei pochi che riuscivano a sfuggire ai nuvoloni neri – filtravano attraverso le fessure delle veneziane bianche, facendomi compagnia. Com’era più o meno normale che fosse, riuscire a dormire in un letto che non era il mio mi era stato fin dalla prima notte molto difficile. Il risultato? Chiudevo occhio due orette scarse. La cosa non era preoccupante finché ancora era estate e non avevo scuola… ma come avrei fatto già il giorno dopo ad alzarmi presto e seguire le lezioni come se fossi fresca e riposata? Perché sì, il giorno dopo – il nove settembre – avrei finalmente ripreso scuola. Dire che fossi nervosa è un eufemismo.
Sospirai, controllando l’orario sulla sveglia. Segnava quasi l’una di notte. Era tardissimo, e, come al solito, faceva freddo da morire. Nonostante mi trovassi in California e fossimo appena reduci dall’estate, se di mattina a Beacon Hills il tempo era mite e sopportabile, la notte si scatenava un freddo senza eguali. O forse ero io troppo esagerata? Sta di fatto che ero coperta fino al collo e non vedevo l’ora che spuntasse di nuovo il sole, anche se ciò avrebbe significato dover affrontare la scuola. E i nuovi amici.
Non feci in tempo a perdermi in altri inutili complessi che un rumore sordo riempì le mie orecchie e mi provocò un grande spavento. Sobbalzai, mettendomi in piedi alla velocità della luce e affacciandomi nel corridoio che ospitava tutte le stanze da letto di casa Stilinski. Pensare a: ‘‘Sembra che qualcuno sia caduto a terra’’ non si era rivelato, alla fine, per nulla sbagliato. E, escludendo Stephen che era al lavoro da dieci minuti – spesso veniva chiamato a lavoro di notte, il che talvolta portava me e Stiles a stare svegli fino a tardi a fare di tutto oppure ad uscire e dimenticarci del coprifuoco – chi volete che fosse disteso sul pavimento, evidentemente reduce da una brutta caduta e troppo preso dall’imprecare per potersi accorgere di me?
«S-Stiles…», ansimai, cercando – invano – di trattenere una risata. «Si può sapere cosa combini!?».
Quando il mio fratellastro si fu rimesso in piedi ed incrociò i miei occhi, scoppiai finalmente a ridere. Aveva in viso un’espressione troppo buffa, tanto che tentare di rimanere serie per non rendere evidentente il fatto che lo stessi prendendo in giro mi venne impossibile.
«Oh, Ha-Harriet», boccheggiò, massaggiandosi il ginocchio prima di ritornare composto. «Scusami, non volevo svegliarti».
Smisi di ridere, limitandomi a fare spallucce mentre mi appoggiavo allo stipite della porta per osservare meglio Stiles.
«Non ti preoccupare, non stavo dormendo», lo rassicurai, aggiungendo poi – a voce bassa perché non mi sentisse: «Come al solito…».
Incrociai le braccia, mentre Stiles annuiva e deglutiva. Era evidente che fosse nervoso, il che riuscì a strapparmi l’ennesimo sorriso.
«D’accordo. Allora io… torno nella mia camera. Buonanotte, Harry», mi spiegò, fingendo un sorriso e dirigendosi verso la porta della sua camera – quella in fondo al corridoio. «Ci vediamo domani mat…».
«Stiles, lo so che stavi uscendo», interruppi, sbuffando divertita. «A meno che tu non ti sia vestito così per andare a dormire. In tal caso alzo le mani!».
«No, io…».
Portai gli occhi al cielo, stupefatta. Davvero era così testardo da voler continuare a negare l’evidenza come se niente fosse? Ridacchiai, alzando le mani in alto in segno di arrendevolezza.
«Ooookay, è tutto chiaro. Non vuoi dirmi dove vai», stabilii, realizzando improvvisamente che – di sicuro – stesse uscendo per vedersi con la sua ragazza, ragazza della quale mi aveva nascosto l’esistenza. «Stai tranquillo, ovviamente non dirò niente a Stephen. Buonanotte, Stiles».
Feci per entrare nella mia stanza e chiudermi la porta dietro le spalle, quando la sua voce mi richiamò, e rimasi bloccata con lo sguardo sull’interno della cameretta buia che avevo abbandonato solo pochi minuti prima.
«Harriet, sto andando da Scott».
Aggrottai le sopracciglia, voltandomi a cercare lo sguardo di Stiles e chiedendogli silenziosamente di continuare a spiegarsi. Be’, magari sbagliavo ad essere così invadente e appiccicosa… ma sapere di essere lasciata da sola in casa in piena notte non mi rassicurava molto. Comunque, avrei imparato ben presto a cavarmela anche da sola.
«È… sorta un’emergenza».
Continuai a non capire, ma decisi – finalmente – di non insistere più. Mi sforzai anche di sorridere, sperando di essere credibile. Già stavo odiando il mio modo di fare degli ultimi minuti, non ci voleva che anche Stiles capisse quanto fossi spaventata all’idea di rimanere da sola. Il tutto mi sembrava già troppo evidente, e mi maledii per ciò.
«Va bene», dissi, incrociando nuovamente le braccia. «Stai attento, però».
E, detto questo, misi piede nella mia stanza e tentai anche di chiudere la porta per ritornare a dormire – o perlomeno a provarci. Ma, ancora una volta, non ci riuscii. Ed è inutile dire che ne fui più che felice. Addirittura mi venne difficile trattenere un sorriso di fronte all’ennesima interruzione da parte di Stiles.
«Harry… puoi venire con me, comunque. Papà non si accorgerà di nulla neanche stavolta», mi spiegò, alludendo a tutte le altre occasioni in cui, mentre Stephen era a lavoro, io e Stiles eravamo stati fuori fino a tardi senza che lo sceriffo se ne rendesse conto.
«Allora mi vesto!», esclamai, esibendo un gran sorriso ed affrettandomi ad entrare nella mia camera – una volta per tutte.
«Ti aspetto».
Stiles mi sorrise a sua volta. E sì, mi ritrovai a pensare che avesse – anche – uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto. Se fossi stata in un anime, realizzai quasi con orrore, cuoricini rossi sarebbero stati tutt’intorno a me, intenti a svolazzare allegramente.
Merda.
Casa di Scott distava solo cinque minuti a piedi dalla ‘‘nostra’’ – usare quell’aggettivo era stranissimo e credevo sarebbe stato così per sempre – perciò, ovviamente, avevamo deciso di non prendere la macchina di Stiles e di limitarci a passeggiare praticamente spalla contro spalla verso casa McCall. L’aria notturna era fredda, ma grazie a Dio mi ero coperta abbastanza da non rischiare di morire assiderata. Da sempre odiavo il freddo e l’inverno, il che rendeva molto evidente il fatto che venissi dal Texas – terra dove il sole e il caldo erano praticamente eterni.
Avevo deciso di non chiedere nulla a Stiles sul perché stessimo andando a casa del suo migliore amico all’una di notte: già per me era tanto che avesse deciso di portarmi con sé senza escludermi. Fino ad allora non l’aveva mai fatto – nel senso che dove andava lui c’ero io – ma quella volta… be’, doveva essere per forza successo qualcosa perché Stiles decidesse di non poter aspettare fino al mattino dopo per vedere Scott. Qualcosa di intimo, che riguardava solo loro due. Qualcosa nel quale io ero stata inclusa.
Trattenni un sorriso, stringendomi le braccia al petto e comprendendo che nonostante il fatto che Stiles avesse provato ad uscire di nascosto alla fine aveva comunque deciso di non lasciarmi a casa da sola, il che mi rendeva molto felice, perché – anche se ero a Beacon Hills da poco tempo – iniziavo già a sentirmi parte di qualcosa. Parte di un… trio? Be’, meglio non esagerare troppo.
«Sei silenziosa».
Improvvisamente, Stiles interruppe il silenzio che si era venuto a creare tra di noi – anche per scelta mia – ed io mi girai a cercare i suoi occhi, sorridendogli, un po’ dispiaciuta.
«Scusami», dissi infatti, facendo spallucce.
«Sto pensando a domani», mentii.
«Sei in ansia per scuola?», domandò, cercando il mio sguardo a sua volta.
A quel punto iniziai a pensare sul serio alla scuola, e il realizzare che fosse già l’una di notte mi fece allarmare non poco. Mancavano solo sei ore all’inizio di tutto, ed io non avevo chiuso occhio nemmeno cinque minuti. In più, come se non bastasse, mi ritrovavo in giro per Beacon Hills per motivi assolutamente ignoti. All’improvviso l’idea di essere uscita non mi sembrava più così buona, e credo proprio che se non fosse stato per il fatto che Stiles si trovava lì con me, mi sarei proprio pentita del tutto.
Abbassai lo sguardo sull’asfalto, sospirando.
«Direi proprio di sì», ammisi, sempre a testa bassa.
Chissà perché, tutt’a un tratto fissare le mie Converse nere era una cosa di gran lunga più interessante. Ero – ancora – in imbarazzo.
«È tutto così… nuovo», aggiunsi poco dopo, sentendomi molto stupida.
Era normale che fosse tutto ‘‘nuovo’’, per me. Persino Stiles me lo fece notare.
«Be’, è naturale. Ma ti troverai bene, vedrai. In fondo conosci già tutti i professori… e la Morrell ti piace, no? Cioè, io non so come tu faccia a fartela andare a genio… ma okay».
Scoppiai a ridere.
«Io potrei chiederti il contrario!», esclamai, puntandolo con un indice e voltandomi a guardarlo. «Il francese è una lingua bellissima e Marin un soggetto davvero interessante. La tipica professoressa che ti fa venire voglia di studiare, insomma».
«Parla per te», borbottò Stiles, infilando le mani nelle tasche della giacca scura. «Il francese sarà bello quanto vuoi, ma è difficile. E la Morrell è una strega».
Mi persi nell’ennesima risata, alzando gli occhi al cielo e velocizzando il passo per non rimanere indietro. Stiles correva decisamente troppo per i miei gusti – segno evidente del fatto che sul serio fosse successo qualcosa di importante – dannate quelle sue gambe lunghe!
«Scommetto che sei tu a non impegnarti abbastanza. Ed è un peccato, perché sei un ragazzo davvero intelligente», gli feci presente, senza vergogna alcuna.
Certi sprazzi di intraprendenza mi capitavano solo una volta su un milione – oserei dire ‘‘purtroppo’’.
«Tranquillo, comunque. Quest’anno ti aiuterò io!», continuai, ancora priva di imbarazzo.
«Mi salverai la vita. Ne sei consapevole?», riuscì semplicemente a sussurrare Stiles in risposta, una volta giunti di fronte casa McCall.
Poi sorrise ancora, ed io lo ricambiai come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre pensavo che ‘‘salvarlo’’ sarebbe stata una cosa che avrei fatto con immenso piacere.
Entrare dalla porta non era una cosa da Stilinski, forse, perché non appena feci per dirigermi verso l’ingresso di casa McCall e provai a suonare il campanello, Stiles mi bloccò.
«Ferma, non suonare!», mi redarguì, cercando di non alzare troppo la voce. «Non dovremmo essere qui, ricordi? Solo Scott può sapere della nostra presenza. Melissa no: lo direbbe immediatamente a papà».
«Oh», boccheggiai, indietreggiando. In effetti, come avevo fatto a non pensarci? «D’accordo, allora. Che facciamo?».
«Aspettami qui, okay? Torno subito».
In risposta a quella domanda, non potei far altro che limitarmi ad annuire e decidere di non porne ulteriori. Me ne rimasi in silenzio a pochi passi dalla porta d’ingresso di casa McCall, con le braccia incrociate sul petto e l’aria improvvisamente persa, mentre guardavo il mio ‘‘fratellastro’’ allontanarsi, molto probabilmente diretto verso il retro della struttura.
Credo fosse normale sentirsi al sicuro solo in presenza di Stiles – e morire di paura anche solo all’idea di rimanere in giro da sola – perché ero a Beacon Hills da pochissimo e praticamente non sapevo nulla di quella cittadina così allegra e solare, all’apparenza. Ma, nonostante tutto, il rendermi conto dell’indipendenza che in un certo qual modo avevo perso in seguito a quell’esperienza dell’intercultura, mi rendeva solo molto arrabbiata. Se avessi dovuto usare un sostantivo qualunque per descrivermi, avrei scelto: intralcio. Perché, in quell’esatto periodo, non ero nient’altro che un intralcio.
«Non ti muovere, eh!», aggiunse Stiles all’improvviso, voltandosi ancora a guardarmi e strappandomi una sonora risata.
Ero così assorta nei miei pensieri, infatti, da non essermi più accorta della sua presenza. Non mi aspettavo proprio che potesse parlare ancora, il che mi aveva colta di sorpresa e provocato un bello spavento. Ma, al contrario di sobbalzare, l’unica cosa che mi era venuta naturale fare era ridere.
Non sapevo ancora spiegarmi come, ma farlo – quando c’era Stiles di mezzo – era una cosa così normale che non c’era nemmeno bisogno di chiedersi perché. Era… una cosa quasi necessaria, come respirare o mangiare. Era benessere, e felicità. Era anche assurdo, a dirla tutta, perché conoscevo Stilinski junior da così poco… ma mi sentivo già legata da morire a lui. Dipendente, da lui. Sotto moltissimi aspetti.
«Me ne sto ferma qui, parola di lupetta scout!», esclamai, ancora ridendo e gesticolando da morire.
Lo facevo sempre quand’ero più felice del solito.
Stiles mi sorrise ancora un’ultima volta, prima di sparire sul retro di casa McCall, e quando non riuscii più a vederlo rimasi con gli occhi ancora fissi sul punto in cui si trovava fino a pochi secondi prima. Non riuscivo più a smettere di sorridere, improvvisamente. E non potevo far altro che chiedermi: cosa può succedere di male? Non avevo più paura di stare sola. E lo dovevo solo a lui.
Il tutto, comunque, durò solo un minuto o poco più. Certo, non che avessi più paura di un possibile attentato da parte di forze oscure – perlomeno non ancora – ma mi stavo annoiando lì tutta sola, in piena notte.
Mi strinsi maggiormente le braccia al petto, prendendo a guardarmi intorno. Casa di Scott era davvero bella. C’ero stata poche volte ma la ricordavo già bene, forse perché mi ero sentita a mio agio e la catalogavo – inconsciamente – nella schiera dei luoghi capaci di donarmi sensazioni positive. Osservai attentamente la facciata della struttura dipinta d’azzurro, cercando di indovinare a quali stanze appartenessero le poche finestre dalle luci accese. Quand’ero stata da Scott insieme a Stiles non avevo badato a tutte quelle piccolezze, ma in quel momento – colpevole la noia – mi sembrava la cosa più interessante da fare.
Comunque, prima ancora di poter iniziare a fare un pensiero logico e sensato, il sentire diversi rumori provenienti dalla porta d’ingresso mi fece allarmare e non poco. All’improvviso mi ritrovai paralizzata a pochi passi dagli scalini che conducevano al portico, incapace di pensare del tutto a cosa fare e in attesa di scoprire cosa fosse quel rumore. Sembrava proprio come se qualcuno stesse girando un mazzo di chiavi nella serratura, e nonostante il fatto che il rumore fosse tutt’altro che fraintendibile, non riuscivo ad ammettere a me stessa che dall’altra parte della porta c’era Melissa, che sicuramente avrebbe potuto da un momento all’altro affacciarsi fuori chissà perché e vedermi lì.
Forse fu quello a spingermi via, verso il retro della casa, o forse l’avvertire in lontananza le voci – concitate? – di Scott e Stiles. Non riuscivo più a capire cosa stesse succedendo, perciò avevo assoluto bisogno di sapere. La scena che mi ritrovai dinanzi alla fine, comunque, non aveva niente di troppo spaventoso o preoccupante. Piuttosto, a lasciarmi impietrita, furono i discorsi di Stiles e Scott.
Non riuscii a prestarci molta attenzione, a dire il vero, perché ero lontana e sbalordita. Ma comunque le parole: ‘‘agenti federali’’, ‘‘polizia’’ e ‘‘corpo morto nel bosco’’ arrivarono forti e chiare alle mie orecchie.
«Un omicidio?», sentii chiedere a Scott, a bassa voce.
Anche lui era evidentemente sconvolto. L’unico a sembrare perfettamente consapevole di ciò che stava dicendo sembrava Stiles. Ipotizzai subito che fosse così tranquillo, a contatto con un argomento spinoso come la morte, perché si era ritrovato già ad affrontarla – in seguito al decesso della madre – e ciò faceva sì che in un certo senso ci fosse più o meno abituato. Il realizzare il tutto mi rese immensamente triste, tanto che sentii addirittura gli occhi diventare lucidi.
«Non si sa ancora. Era una ragazza, comunque. Di circa vent’anni».
Solo il sentire di nuovo la voce di Stiles riuscì a ‘‘farmi rientrare in me stessa’’. Lo osservai attentamente mentre faceva spallucce – sempre come se niente fosse – e gesticolava furiosamente come al solito. Potrebbe sembrare assurdo da dire, ma ci assomigliavamo anche in quello.
«Ma se hanno trovato il corpo, allora che stanno cercando?», continuò a domandare Scott, aggrottando anche le sopracciglia.
A quel punto sgranai gli occhi. Ma certo: come avevo fatto a non pensarci? C’era qualcosa di più, sotto. Doveva esserci qualcosa di più! Agenti federali e polizia non potevano muoversi in piena notte se non guidati da un motivo valido. E, da come aveva fatto notare Scott, se il corpo era stato già trovato… perché mai tutto quel trambusto? Perché la situazione non veniva archiviata e basta? Sul serio: cosa stavano cercando tutti quanti?
«Qui viene il bello!», esclamò Stiles, dopo aver ridacchiato un po’.
Fece anche una pausa ad effetto, mentre io aspettavo impazientemente che continuasse a parlare e Scott era evidentemente divorato dalla curiosità.
«Ne hanno trovato solo metà».
«Coooosa!?».
Non urlare mi fu impossibile.
Mi ritrovai gli sguardi dei miei due coetaneii addosso in men che non si dica. Oh, Cristo. Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito.
Cos’era che avevo affermato solo poco tempo prima? Beacon Hills era una cittadina allegra e solare?
Certo. Come no.
Riserva di Beacon Hills – Non entrare dopo il tramonto.
Queste semplici quanto efficaci parole recitava il cartello all’entrata della riserva: cartello che sia io che Stiles e Scott ci ritrovammo ad ignorare completamente, proprio mentre io mi chiedevo: «Ma per quale assurdo motivo ci stiamo ficcando in una situazione del genere?».
Facevo tale domanda a me stessa perché non avevo il coraggio di esternare tali pensieri a voce, non avevo proprio la forza di urlare: «Ma chi ce lo fa fare? Perché non lasciamo fare agli agenti e alla polizia il loro lavoro mentre noi cerchiamo di dormire un po’ prima di scuola?».
Ero… sconvolta. Un omicidio così brutale dopo sette giorni di permanenza a Beacon Hills? La cosa non mi rendeva affatto fiduciosa riguardo al mio soggiorno laggiù.
Sarebbe stato sempre così? Avrei dovuto imparare a scontrarmi con realtà terrificanti, abbandonando perciò la spensieratezza dei miei sedici anni? Quella spensieratezza che, in un certo senso, mi era dovuta? Che era dovuta anche a Stiles e a Scott?
La risposta ovviamente era sì, ma in quelle prime ore del nove settembre, mentre mi ritrovavo a calpestare foglie secche mentre gironzolavo per la riserva di Beacon Hills con le braccia incrociate al petto e la paura che non la smetteva di tenermi sotto assedio, non potevo ancora saperlo. Né neanche lontanamente immaginarlo.
Sospirai pesantemente, osservando – quasi rapita – la nuvoletta d’aria che uscì fuori dalle mie labbra. Allora faceva davvero molto freddo: non ero io la solita freddolosa, né l’agitazione a farmi sentire come un pezzettino di ghiaccio.
Mi strinsi ancor di più nella mia giacca di pelle marrone, mantenendola ben chiusa sul petto mentre facevo di tutto per rimanere al passo di Scott e Stiles – che, manco a dirlo, di camminare lentamente nemmeno volevano saperne.
Cercavo anche di stare dietro ai loro discorsi, ma puntualmente mi perdevo nella visione immaginaria di uno scenario funereo che vedeva il mio corpo tagliato a metà venire ritrovato nel bosco. Oh mio Dio. Stavo forse diventando paranoica come mia madre!?
«Giusto. Perché stare seduto in panchina è davvero faticoso», sentii dire a Stiles, intento a camminare – diretto chissà dove – con Scott alle spalle.
Io ero dietro, a chiudere la fila, e non c’era certo bisogno di dire che non mi fosse capitato affatto un posto d’onore. Alzai gli occhi al cielo mentre sentivo Stiles ridacchiare proprio come se tutto quello che stava succedendo fosse una cosa di normale amministrazione, e mi ritrovai addirittura a chiedermi se non fosse sul serio così.
Insomma… Scott non aveva quasi fatto nemmeno mezza piega di fronte alla notizia che avremmo passato la notte a cercare il corpo di una ragazza morta. Si era limitato ad un semplice: «Dobbiamo farlo per forza?», mentre io sgranavo gli occhi e mi chiedevo se il problema non fosse proprio la mia persona. Scott voleva davvero così tanto bene a Stiles da accettare, per lui, di fare anche cose del genere? O erano semplicemente pazzi entrambi, mentre io mi stavo facendo coinvolgere senza nemmeno opporre resistenza in un qualcosa di gran lunga più grande di noi?
«Quest’anno giocherò. Anzi: sarò tra i titolari», replicò Scott dopo un po’, continuando imperterrito a camminare.
Non riuscii a capire quale fosse il centro del loro discorso, né me ne importò più di tanto. Il mio cervello era bloccato dalla paura così tanto che non riuscivo più a pensare lucidamente.
«Questo è lo spirito giusto. Devi avere un sogno, anche se non si realizzerà mai».
Scott ridacchiò, scuotendo la testa. La sua felpa rossa era l’unica vera macchia di colore nel bel mezzo di quel bosco buio e terrificante, perciò ci tenevo volentieri gli occhi sopra. Solo raramente spostavo lo sguardo sulla luce flebile emanata dalla torcia che teneva in mano Stiles, altra cosa – l’unica – in grado di tranquillizzarmi almeno un po’.
«Harriet?», lo sentii richiamarmi dopo poco tempo, e la sua voce rivolta a me dopo quel lasso apparentemente infinito di tempo fu come un fulmine a ciel sereno.
Mi ritrovai ancor più spaesata di prima, senza nemmeno riuscire a spiegarmi perché.
«Cosa c’è?», riuscii a gracchiare semplicemente, ritrovandomi gli sguardi di entrambi i ragazzi addosso.
Alzai gli occhi al cielo, infastidita. Praticamente mi avevano ignorata fino a quel momento: perché quindi non continuare tranquillamente a farlo, invece di squadrarmi con quell’aria corrucciata e tremendamente insopportabile?
«Ci sei? Va tutto bene?», domandò Stiles, arrestando anche la sua camminata – proprio come avevevamo fatto io e Scott – ed avvicinandosi a me.
O perlomeno provandoci, perché lo fulminai con lo sguardo così tanto che desistette senza pensarci nemmeno un po’ su. Improvvisamente, la paura stava lasciando il posto alla rabbia. Mi sentii tremendamente in colpa. Perché mi stavo comportando così male con Stiles quando invece tutta quella situazione dipendeva da me? Avrei potuto oppormi. Anzi, avrei dovuto farlo. Ed invece me n’ero stata zitta.
«Sì, va tutto bene…», sussurrai allora, non molto convinta mentre spostavo il peso del corpo da un piede all’altro e mi lasciavo andare ad un lungo sospiro.
«Anzi, no. Non va bene affatto», ritrattai subito dopo, ben consapevole di non poter mentire né a Scott né – tantomeno – a Stiles, il cui sguardo attento la diceva lunga su quanto poco avesse creduto alle mie precedenti parole. «Mi sto chiedendo perché non mi trovo a casa a dormire, Stiles. Sto morendo di paura».
Aggrottò le sopracciglia, poco prima di prendere a parlarmi. Scott se ne stava a metà strada tra me e lui, come una sottospecie di ‘‘paciere’’. Infatti, se ancora non avevo assalito Stiles fisicamente, era anche grazie a lui. McCall però non interagiva: si limitava ad assistere alla scena in silenzio, proprio come avevo fatto io fino a quel momento. Adesso era lui l’Harriet della situazione.
«Davvero avresti preferito rimanere a casa da sola, visto ciò che è successo?».
«Vorrei ricordarti che mi ci stavi lasciando», sputai, assottigliando gli occhi e serrando le labbra.
Ero arrabbiata? Sì. Improvvisamente, e quasi contro ogni logica, lo ero. Non avrei mai e poi mai creduto di poter trattare Stiles così male dopo così poco tempo… eppure stava succedendo. Ma ero veramente io a parlare, in quel momento, oppure le ‘‘cattive’’ emozioni che stavano prendendo il sopravvento su di me?
«Io…».
«Ehi, basta».
Scott intervenne, impedendo a Stiles di provare a spiegarsi. Quasi sicuramente sapeva anche lui che nulla sarebbe servito a farmi cambiare idea, in quel momento. Inconsciamente, mi ritrovai ad essergli grata. E sicuramente la pensò così anche Stilinski.
«Piuttosto, quale metà del cadavere stiamo cercando?».
«Oh», riuscì solo a dire Stiles, mentre riprendeva a camminare proprio come se nulla fosse successo.
Scott lo seguì, infilando le mani nelle tasche della grande felpa rossa. E a malincuore, ripresi a marciare anch’io.
«A questo non ho pensato», continuò poi Stiles, facendo sì che i miei occhi si spalancassero – pieni di stupore – per l’ennesima volta.
In quel momento, come mai prima d’allora, stava dimostrando al meglio tutti i suoi sedici anni.
«E se… l’assassino fosse ancora da queste parti?».
Quella volta, quasi inaspettatamente, fui io a parlare. Inutile dire che – ancora – non furono affatto belle parole.
«Ah. Bella domanda, Scott», ridacchiai, arrestando la mia camminata e guardando i due ragazzi fare altrettanto, poco prima di girarsi a guardarmi con sguardo interrogativo.
Incrociai le braccia al petto prima di riprendere a parlare.
«Cosa vogliamo scommettere sul fatto che Stiles non ha pensato neanche a questo?».
Mi stavo trasformando in una stronza. Era ufficiale, ormai.
A dire il vero, l’avevo capito fin dal primo momento che, qualunque fosse la situazione assurda nella quale ci stavamo cacciando io, Stiles e Scott, non avrebbe portato ad assolutamente nulla di buono. Lo sapevo, me lo sentivo nel profondo. Eppure non ero stata capace di dire né fare nulla per impedire il tutto. Ero stata bravissima a sputare odio addosso a Stiles, quello sì. Ma non a far valere le mie ragioni in modo giusto, cosicché qualcuno potesse decidere di ascoltarmi e fare come volevo io.
E alla fine, tutto era andato proprio come previsto. Male.
Stephen ci aveva scoperti a curiosare nel bosco – intralciando quindi il suo lavoro – in un battito di ciglia, ed io mi ero sentita tremendamente colpevole mentre la luce della torcia che teneva tra le mani per avere più visibilità in quel posto buio mi colpiva gli occhi, i cani da fiuto latravano impazziti e la pioggia scendeva copiosa. Perché sì, nell’istante esatto in cui il signor Stilinski ci aveva scoperti, il cielo aveva iniziato a piangere. Un temporale senza eguali si era scatenato, col risultato che, in quel momento, ero seduta – fradicia – nel sedile posteriore della volante dello sceriffo.
Naturalmente, c’era anche Stiles con me. Eppure non osavamo parlarci, né guardarci. Era come se fossi sola, lì dentro. Sola, abbandonata a me stessa, a morire di freddo.
Infatti, nonostante il fatto che mi fossi raggomitolata su me stessa sul sedile – portando le ginocchia al petto – e che facessi di tutto per non morire assiderata, i brividi non facevano altro che aumentare. Ed è evidente che non fossero più, semplicemente, brividi di freddo. Che non mi sentissi così male solo ed unicamente per il clima.
Erano oramai quasi le tre del mattino, e le ore precedenti – da quando io e Stiles eravamo usciti fuori di casa, diretti da Scott – non facevano altro che ripassarmi nella mente, come un vecchio film malinconico che non faceva altro che procurarmi ulteriore senso di colpa. Perché sì, mi sentivo colpevole. Mi sentivo una persona cattiva.
Stephen non ci aveva rimproverati granché, ma il suo sguardo deluso era bastato a sufficienza a farmi sentire malissimo. Più che altro si era limitato a ‘‘prendersela’’ con Stiles, aggiungendo anche che avrebbero discusso per bene a casa e chiedendo dove fosse Scott. Perlomeno lui era riuscito a scamparsela, anche se non avevo idea di dove fosse in quel momento – il che mi preoccupava e non poco.
Io ero stata lasciata in pace: il fatto che fossi la nuova arrivata mi autorizzava a scamparla, qualunque cosa facessi, col risultato che Stiles doveva prendersi le sue colpe e – come se non bastasse – anche le mie. Era una cosa profondamente ingiusta: non volevo che andasse così.
«Stiles…», sussurrai poco tempo dopo, voltandomi a cercare il suo viso ed avvertendo la mia voce tremula a causa del freddo.
Rabbrividii ancora, spostandomi sul sedile di modo che la mia schiena fosse poggiata allo sportello e mi fosse perciò più facile guardare Stiles – senza più nascondermi. Portai via dalla fronte una ciocca di capelli bagnati e sospirai.
«Mi dispiac…», provai a dire, venendo interrotta, però.
«Ssh, stai zitta».
Descrivere esattamente cosa provai in quel momento, nel credere che lui non volesse parlarmi, è difficile – se non impossibile. Ridurre tutta la sofferenza ad una parola è una cosa che proprio non mi si può chiedere di fare.
Eppure, ben presto – insieme al malessere – subentrò la confusione. Aggrottai le sopracciglia, abbandonando la posizione raggomitolata solo per poter osservare meglio Stiles. Si stava… sfilando la giacca?
«Mettila. Stai morendo di freddo», mi ordinò, porgendomi proprio l’oggetto della mia curiosità.
Nonostante indossassi una felpa pesante e la giacca, stavo morendo di freddo. E il fatto che fossi completamente bagnata non aiutava affatto. Perciò non ci pensai due volte ad indossare sopra la mia, anche la giacca di Stiles.
Forse dimostrai di essere una persona molto egoista, perché – sinceramente – non mi passò nemmeno per la testa di chiedermi come avrebbe fatto lui senza giacca… ma in quel momento mi sentivo così stanca e stremata da non riuscire più a ragionare lucidamente.
Comunque, una cosa mi era ben chiara. Nonostante quanto male l’avessi trattato, Stiles stava ancora facendo di tutto per aiutarmi a stare bene.
«Perché fai così? Sono stata una stronza nel bosco, prima», trovai la forza di domandare, stringendomi nelle braccia ed avvertendo nelle narici un odore nuovo, e buonissimo.
L’odore di Stiles.
«No, non sei stata una stronza», mi rassicurò ben presto, voltandosi a cercare il mio viso mentre alzava le spalle, quasi indifferente. «Semplicemente hai dimostrato di avere cervello. Magari se ti avessi ascoltato, adesso non saremmo qui».
Scossi la testa, con la voglia di dire tutto e niente che mi divorava dall’interno.
«Ma come avresti mai potuto ascoltarmi visto che io non ho aperto bocca tutta la sera se non per sparare cazzate?», chiesi, con la voce che si spezzava ancora una volta e gli occhi che faticavano a restare fermi sulla figura di Stiles.
Ero piena di vergogna.
«Avrei dovuto parlare subito, è vero. Mettere in chiaro come la pensassi ed evitare quindi di trattarti malissimo perché stanca e spaventata. Ma non l’ho fatto. Ti ho seguito nel bosco, insieme a Scott, e sono colpevole della nostra presenza qui proprio tanto quanto lo sei tu. Non è giusto che Stephen se la prenda solo con…».
«Sì che è giusto», chiarì subito Stiles, interrompendomi. «Io ti ho trascinata qui».
«Ma io mi ci sono fatta trascinare, senza aiutarti a fare ‘‘la scelta giusta’’! Sono venuta con te perché, in un certo senso, volevo farlo. Non sono la vittima della situazione, proprio come vuole credere tuo padre».
Cadde il silenzio. Sicuramente, anche Stiles si era reso conto della veridicità delle mie parole. Non ero giustificabile: né io né, tantomeno, il mio comportamento. Eppure, il fatto che comunque stesse cercando in tutti i modi di prendersi – ancora una volta – la colpa di tutto quello che era successo, riusciva in un modo contorto e assurdo a rendermi felice.
Mi stava proteggendo. Senza volere nulla in cambio. Nessuno mai, in sedici anni di vita, l’aveva fatto.
Mi sentivo al sicuro. Ed era una sensazione bellissima.
«E prima che tu possa continuare a definirti ancora colpevole… sappi che mi dispiace davvero per tutto quello che ti ho detto. Non ti meritavi nemmeno mezza delle brutte parole che ti ho rivolto. Sono stata troppo impulsiva e ho sbagliato», spiegai, approfittando del silenzio che era calato nell’auto. «È solo in momenti come questo che mi sento sul serio figlia di mio padre. Lui è una testa calda e io odio assomigliargli, a volte. Essere così… insopportabilmente arrogante e bastarda. Non voglio. Perciò cerco di nascondere il tutto, di sopprimerlo. Ma a volte la vera mesalta fuori e… mi dimostro per quello che sono. Una persona orribile».
«Okay, posso dirti una cosa? Visto che, evidentemente, siamo in uno di quei tipici momenti da ‘‘sincerità assoluta’’», chiese Stiles dopo un po’ di tempo, facendomi aggrottare le sopracciglia mentre mi stringevo nuovamente nella sua giacca.
«Certo che puoi».
«Forse – e dico forse – sei stata un po’ stronza, prima».
Ridacchiai, interrompendolo subito mentre alzavo anche gli occhi al cielo.
«Diciamo pure ‘‘un po’ tanto stronza’’».
«Okay, sei stata un po’ tanto stronza», mi accontentò subito, ridendo. «Ma avevi perfettamente ragione. E hai perfettamente ragione anche adesso. Abbiamo sbagliato entrambi questa sera, è vero».
Automaticamente mi aprii in un grande sorriso.
«Sono d’accordo».
Finalmente, tutto stava andando per il meglio. Dovevo chiarire le cose anche con Stephen, però.
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parachute
أدب الهواةEro nata e cresciuta ad Austin, ma non volevo più starci. Il Texas ormai mi andava stretto. Avevo sedici anni e tanta voglia di indipendenza. Se fossi stata fortunata, quella che stava per arrivare sarebbe stata la mia ultima estate laggiù. Quello s...