XXXVI.

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Il passato viene a galla, con i suoi demoni che corrono in ogni dove. Uno si è fermato davanti a me. Mi irrigidisco. Una miriade di brividi percorre la mia spina dorsale. Lo sguardo duro che speravo di ottenere non arriva. È così identico da far paura: gli stessi occhi verde smeraldo, tanto innocenti quanti famelici, quel filo spesso di barba che circonda la sua bocca e il nero dei capelli. Persino l'espressione è uguale.

- Mio padre aveva ragione: sei un bel bocconcino - mi scruta. Il gusto disgustoso del vomito arriva alla gola ma non lo lascio uscire. Faccio una faccia per far trasparire tutto il fastidio possibile. - Ai tempi di mio padre non eri così forte, non avresti mai avuto il coraggio di venirci incontro. Bè, chi dopo quei così tanti e lunghi anni non migliora? - ricomincia, girandomi intorno. Dalla consistenza deduco che le catene non sono come quelle dei prigionieri che avevo liberato. Queste sono decisamente più spesse e più pesanti. Non riesco a capire però il materiale.
- E quindi, complimenti...per quella ribellione che hai guidato, con nessun mo...- si ferma e io sento la trachea, la gola vibrare. - Oh no, un morto c'è stato. - ghigna infine, facendomi mettere in mostra le zanne. Senza che mi accorgessi di un suo movimento mi ritrovo a terra, di lato, ancora attaccata alla sedia. Il dolore alla testa non tarda ad arrivare, così come quelli ai polsi per il brusco movimento. Premo i denti, fino a farmi male, con i capelli sulla faccia. Non spiccio parola.

- Come è stato? - domanda, afferrandomi per il collo e alzandomi da terra. Smuovo i piedi in aria, ma la cintura sui polpacci non mi permette di tirare un calcio. Stringe. - Come è stato uccidere mia figlia? - urla alle due ultime parole, scaraventandomi nella parete alle mie spalle. Sbatto con lo schienale di ferro della sedia e poi atterro di faccia. Prima di scontrarmi a terra giro la testa di lato, impedendo al mio naso di rompersi. Mi aspettavo la sua rabbia per la morte di Aleksia. Sento nella bocca un liquido troppo denso per essere saliva, accompagnato da un sapore metallico, amaro per gli umani ma dolce per me. Sputo il sangue, macchiando di rosso denti e lingua. Sento i suoi passi dietro di me, la sua mano afferrare la sedia e tirarmi poi su. Ricevo un bel pugno destro in faccia, poi a sinistra e infine uno sullo stomaco. Non urlo e non gemo, deve capire che mi serve ben altro per farmi male, ma mordo comunque l'interno guancia alla tentazione, staccando dei pezzi di pelle. Poco dopo le ferite guariscono. Lui se ne accorge e mi guarda, come se fossi il suo più grande segreto.

- Notevole - sussurra. - La guarigione dei Mezzosangue è molto più veloce della nostra, se sei brava potresti non provare neanche dolore - mi spiega.

- È impossibile privare ad una persona il dolore - riesco a dire, con la bocca inzuppata di sangue, il quale inizia a colare dalle mia labbra.

- Quello fisico invece si. E poi, tu non sei una persona qualunque -, alzo lo sguardo. - Tu sei un mostro. Il mostro che io aspettavo, che mio padre aspettava prima di me. -.

Mi raddrizzo quando lui esce. Respiro velocemente, rallentando il battito cardiaco. Fino a quando il buio della notte circonda il tetto non faccio altro che sputare sangue e strattonarmi per liberarmi. Non è più tornato e spero tanto che il mio piano funzioni.

La Guardiana Mezzosangue  ~La profeziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora