Feeling alright.

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Finn aveva un ricordo molto nitido della prima volta che si era trovato a sfiorare le corde di una chitarra: doveva avere circa nove o dieci anni ed era in vacanza in Canada, con la sua famiglia.
Aveva trascorso lì la maggior parte delle sue estati, da bambino, nella grande casa dei nonni che sapeva di torte e menta fresca.
Era un pomeriggio di fine agosto, uno di quelli dove il sole picchia forte, ma tutto è così pieno di colore che non ti importa e da quella luce ti senti solo invaso nel più positivo dei sensi.
Finn era sulle spalle di suo padre, aggrappato forte a lui con le braccia esili, sulle quali sentiva le guance ruvide per la barba dell'omone grande e grosso che lo stava trasportando allegramente per le strade affollate di Vancouver.
Ora Finn era alto praticamente quanto lui, ma il senso di protezione che le braccia forti di suo padre riuscivano a trasmettergli era rimasto immutato: vicino a lui, era sempre il ragazzino di dieci anni con le spalle troppo strette.
Ricordava di come, ad un certo punto, i suoi occhi si fossero soffermati più a lungo del previsto su una vetrina in particolare, dove stavano almeno dieci chitarre, allineate e lucidissime.
"Che c'è, piccolo? Ti piacciono?" aveva allora detto suo padre e lui, di tutta risposta, si era morso il labbro, annuendo piano.
Lo aveva allora fatto scendere, prendendogli la piccola mano fra le sue e portandolo dentro, verso quei colori che tanto lo avevano colpito.
"Dai su, provala!"
Eric, suo padre, gli stava tendendo una delle chitarre che il ragazzo del negozio aveva preso per lui proprio da quella vetrina.
"Ecco, metti le mani così ... e vai!"
Finn non poteva scordarla, non avrebbe mai potuto: la scossa che sentì, nel preciso istante in cui le sue dita sfiorarono le corde ruvide e la prima nota fuoriuscì, creata dal movimento delle sue mani.


E ora, lo stesso: quella stessa, magica scossa lo stava lentamente sconvolgendo dall'interno, mentre le parole appena pronunciate dalla splendida ragazza di fronte a lui ancora rotolavano, dolcissime, nella sua testa, mentre tentava di metabolizzarle.
-Wow-
"Oh ...Ehm ... oddio, ora sono seriamente convinto di non essermi svegliato questa mattina. Senti? Questa deve essere la mia sveglia!" Finn disse, inumidendosi le labbra.
Millie scoppiò nella risata più bella che Finn avesse mai sentito da lei e si portò una mano sulla fronte umida.
"Beh, allora sbrigati a propormi qualcosa, altrimenti rischi di ritrovarti nella tua camera e non potrai più vivere senza rimpianti." Disse lei, con un occhiolino.
Finn si avvicinò di un passo a lei, l'odore speziato del suo bagnoschiuma così forte da stordirlo nel migliore dei modi.
"Wow, mi hai beccato! Ehm ... beh, se a te può far piacere noi potremmo ... ecco ..."
Poi, la consapevolezza lo colpì, all'improvviso, come una secchiata d'acqua gelida inaspettata.
-La festa di Sadie. Oddio, e ora cosa mi invento? Non posso semplicemente non presentarmi e Gaten già mi sta abbastanza addosso ora ... Merda!-
"Finn? Sei ancora tra noi?" chiese Millie dopo qualche secondo di silenzio, alzando il sopracciglio.
"Sì, sì, o almeno credo ..." fece un mezzo sorriso, mordendosi il labbro nervosamente.
"E dunque?"
"Vedi, io non so come spiegarmi senza sembrarti ancora più patetico e, credimi, non pensavo fosse neppure possibile, ma mi sono appena ricordato che stasera c'è una cena a casa del mio migliore amico e della sua ragazza e ... Davvero, mi rendo conto che può sembrare una cosa da nulla, ma per noi è tipo Natale, perché ora non riusciamo a vederci tutti insieme così spesso e quindi ... Dio sto di nuovo straparlando."
Si coprì il volto con le mani, tentando di nascondere il suo rossore.
"Hey, hey! Va tutto bene."
Millie si avvicinò un po' di più a lui, prendendogli delicatamente le mani e scoprendogli gli occhi con un sorriso.
Finn si sentì morire e fu la sensazione migliore della sua vita.
"Io ... Io ecco, non preoccuparti, troverò il modo di inventarmi una scusa o qualcosa, posso sempre passarci domani mattina, davvero io-"
"Perché dovresti farlo?"
Finn credette di non aver sentito bene.
"Co-come scusa?"
"Beh sì ... intendo che, se per te non ci sono problemi, io potrei ... accompagnarti?"
-O mio Dio lo ha detto, lo ha detto davvero-
Ed eccola lì pronta, la ormai nota sensazione di neuroni in fumo.
"Tu ... tu verresti con me? A casa dei miei amici?"
"Sì ... Certo, ovviamente se non disturbo. Non voglio "intrufolarmi" o essere inopportuna." Rispose Millie, poggiandosi allo stipite della porta.
"Tu inopportuna? Ma ... scherzi, ti prego!"
Finn la guardò con un sorriso a mille denti, grato incredulo.
Non pensò a nulla in quel momento, non pensò ai mille discorsi che avrebbe dovuto fare ai suoi amici, non pensò a come spiegare quella assurda situazione, perché spiegazioni non c'erano.
Si perse in lei, nei dettagli di lei, nel suo profumo speziato.
"Beh, allora ... per le otto? Dovrei riuscire a sgattaiolare via da qui senza dare troppo nell'occhio." disse lei, voltandosi verso la finestra, incapace di reggere il suo sguardo profondo.
"Per le otto."
"Bene. Sarà bello. Surreale, ma bello spero" disse poi lei, ridacchiando.
Finn arricciò il naso imbarazzato e riprese a guardarla.
Poi, il suo corpo fece il resto: si avvicinò a lei, più vicino, un passo dopo l'altro fino a quando le loro mani si sfiorarono.
Poi chiuse gli occhi e, in un impeto che gli fece probabilmente perdere tutti gli anni di vita restanti, le sue labbra si posarono, leggere come ali di farfalla, sulla sua guancia morbida.
"A ... a stasera, Millie." Le sussurrò a fior di pelle, facendola rabbrividire, prima di uscire da quella porta, che sembrava il suo personale passaggio verso un mondo incantato, con il corpo in fiamme.

Millie ricordava bene quello che aveva provato la prima volta che aveva passato un'audizione.
Era stato più di dieci anni prima, quando era solo una bambina con grandi occhi curiosi e la parlantina fin troppo spedita.
Si trovava a Los Angeles ed era la prima volta che ci andava: tutto era enorme, immenso, da guardare con la testa rivolta al cielo.
Tutto enorme e tanto, tanto diverso dalla villetta con la facciata gialla, all'angolo della strada.
Si ricordava perfettamente le mani di suo padre e sua madre, che stringevano forte le sue mentre entravano in uno di quei giganteschi palazzoni, gremiti di folla, e ricordava altrettanto bene la voce squillante di sua sorella Paige che, con Charlie accanto, faceva il tifo per lei dietro le transenne.
"Forza tesoro, è il tuo turno!" la voce calda di sua madre fece aveva fatto, per un istante, calmare il battito impazzito del suo cuore, prima di entrare in quella stanza che (lei non lo sapeva ancora) sarebbe stato il punto di partenza per la svolta più grande della sua vita.
Ma ciò che più di tutto, sopra ogni cosa, si sarebbe sempre ricordata era quel calore, quella sensazione bellissima e bollente che si era impossessata di lei, a partire dalla bocca dello stomaco, quando il responsabile per le audizioni si era alzato in piedi, al termine della sua audizione, con un sorriso enorme e battendo le mani.
"Tu sì che hai stoffa, Miss." Così aveva detto.
E lei, in quell'istante, si era sentita al posto giusto. Era al posto giusto.

E ora, ancora immobile contro lo stipite della porta, con il profumo di bucato fresco che Finn si era lasciato alle spalle a infuocarle le narici, si sentì di nuovo come quella bimba con gli occhi troppo grandi e pieni di sogni.
Perché con lui, con il tocco delicato delle sue labbra sulla guancia, si era sentita al posto giusto.
Forse, lui  era ' il posto giusto' per lei.


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