So much I wanna know

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Quando Finn parcheggiò nella strada sul retro del Ritz, dove Millie gli aveva detto di farsi trovare, si sentì ancor più strano di quanto potesse immaginare.
Le mani avevano smesso di tremargli, il suo respiro era tornato a un ritmo regolare, quasi troppo lento, a tratti.
Ed era strano: surreale, ancora una volta.
Perché la sua vita era stata stravolta così tanto che la testa avrebbe dovuto girargli all'impazzata e il cuore uscirgli dal petto, ma la verità era che si sentiva soltanto ... bene.
Bene, perché sentiva che, per la prima volta, una chance per essere davvero felice era offerta anche a lui.
Bene, perché aveva sentito di nuovo scoppiare dentro di sé una fiamma di passione che aveva per anni celato sotto cumuli di sentimenti repressi, chiusi in scatoloni polverosi come i vinili invenduti sul retro del suo negozio.
Bene, perché quando quel pomeriggio era uscito dallo stesso portone che ora fissava dal finestrino, lo aveva fatto con un sorriso pieno, vero, con il sapore della pelle di Millie ancora sulle labbra e una risata che lo aveva pervaso al punto da sentirsi letteralmente scoppiare di felicità.
Ed ora era lì, dopo ore di iperventilazione e sorrisi, sorrisi e ancora sorrisi e la aspettava, con un'impazienza tradita solo dal tamburellio delle sue dita sul volante.
Si perse per qualche istante a fissare il viale alberato dall'altro lato della strada, osservando il movimento lento e quasi ipnotico delle foglie mosse dal vento.
Si rese conto in quell'istante di quanto poco avesse osservato il mondo intorno a sé ultimamente, di quanto poco avesse goduto della vista della sua città, cullato dalla brezza e dal brusio della strada.
E, Dio, quanto era bella Londra, alla sera!
Eppure, ciò che lo riscosse dal suo stato di trance per incantarlo in una maniera tutta diversa fece sembrare blande persino le luci magiche di quella città.
-Wow-
Millie stava avanzando nella sua direzione, a passo spedito e con un grosso paio di occhiali da sole sugli occhi, nonostante l'ora tarda e la luna alta nel cielo.
-Cavoli, i paparazzi devono essere una bella seccatura- pensò Finn, guardandola.
Ai suoi occhi, la giovane attrice non era mai parsa più bella di allora: un lungo cappotto nero lasciato aperto fasciava la sua figura minuta fino alle ginocchia e, sotto, si intravedevano un paio di jeans a vita alta e una t-shirt dei Coldplay.
-Wow- pensò ancora e ancora, incapace di formulare altro nella sua mente.
"Hey!"
La voce di lei, dolce e squillante come al solito, ruppe la bolla di silenzio in cui Finn si era rinchiuso da quando aveva spento il motore e lo fece sorridere. Come al solito.
"Hey a te" rispose lui, mordendosi il labbro mentre la osservava attraverso il finestrino.
Millie gli sorrise di rimando e aprì la portiera, mettendosi gli occhiali sui capelli.
"Posso entrare?"
"Beh, io fossi in te forse non vorrei, quest'auto avrà più anni di me e te messi insieme e alla guida c'è un tizio che quelli come te di solito troverebbero patetico." Disse Finn, senza smettere di sorridere.
Il sopracciglio di Millie si alzò vistosamente a quella affermazione e montò in macchina, senza smettere di guardarlo negli occhi nemmeno per un secondo.
"Mi stai offendendo, sai? Perché a me risulta di avere un appuntamento con colui che tu definisci patetico." Disse lei, sistemandosi sul sedile, ma con lo sguardo ancora su di lui.
"Ah sì?"
"Certo, controlla la mia agenda!"
Finn sentì un caldo improvviso avvolgerlo, assieme a tutta l'aria attorno a lui nella macchina, mentre la guardava stringersi l'elastico sulla coda bassa.
Non gli era mai sembrata più luminosa, mai, neppure con i vestiti luccicanti che indossava sui red carpet o con i trucchi estrosi che le facevano per le riviste.
Era Millie, solo Millie. Ed era splendida.
"Allora deve essere proprio un idiota fortunato." disse poi, quasi sussurrando.
Millie non disse nulla, semplicemente si girò di nuovo a guardarlo, con il respiro corto e le guance un po' arrossate dopo quella affermazione.
Poi, lo sguardo di Finn si abbassò sulle sue labbra, ipnotizzato, con il cuore in gola.
Rimasero fermi, con lo sguardo basso e, dopo qualche minuto di sospensione in una dimensione tutta loro, Finn avanzò verso di lei, fino a quando a separarli non ci furono che un paio di centimetri.
"Forse." Sussurrò Millie impercettibilmente, facendolo ridere a meno di un palmo dalle sue labbra e rabbrividendo per la vicinanza di quel suono.
Finn avanzò ancora nello spazio ristretto della sua macchina, anch'essa polverosa come tutto nella sua vita, ma che in quell'istante era l'unico posto dove avrebbe voluto essere, e arrivò a far sfiorare i loro nasi: le note floreali del profumo di lei lo stordirono, se possibile anche di più.
"Finn ... Io..."
Ma le parole rimasero sospese a mezz'aria, assieme al sapore agrodolce di un bacio mancato, perché il rumore di una moto in corsa sulla strada parallela ruppe l'incantesimo e li fece saltare entrambi sui propri sedili.
"Ehm ... beh ... direi che forse ... forse è il caso di andare, no? I tuoi amici si chiederanno dove ti sei cacciato." Balbettò lei, sistemandosi la cintura di sicurezza.
"Oh ... sì, sì, certo, andiamo." Disse Finn, portandosi nervosamente indietro i ricci e mettendo in moto.
Riusciva a sentire ancora il suo profumo distintamente e la cosa lo stava facendo diventare matto: l'unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata accostare il prima possibile e prendersi quel bacio che bramava più di ogni altra cosa.
Ma la serata era appena cominciata.


Millie guardava fuori dal finestrino, godendosi il calore di quella serata e della persona di fianco a lui.
Stava tentando di imprimere nella sua mente ogni dettaglio, ogni sfumatura, qualunque cosa potesse suggerirgli un lato nuovo del ragazzo seduto affianco a lei, dal portachiavi a forma di rana che penzolava dal cruscotto all'odore speziato che si respirava e che le ricordava tanto quel negozio di vinili incasinato.
-Quell'odore dev'essere il suo- pensò tra sé e sé, arrossendo un attimo dopo anche solo per aver formulato quella riflessione.
Si voltò a guardarlo mentre guidava, ammirando il suo profilo nella penombra, e si sentì, ancora e ancora, a casa: e quella, forse, era la parte più folle di tutta quella situazione strampalata.
Già, perché lei di Finn sapeva davvero poco, un "poco" che per molti sarebbe stato nulla: sapeva il suo nome e cognome, conosceva il suo lavoro, supponeva di averne indovinato la passione per la musica e decisamente sapeva quanto potesse essere impacciato.
Ma ... cosa c'era poi?
Qual era la sua storia? Preferiva il mare o la montagna? Era un tipo da gocce di cioccolato o biscotti glassati? Dov'era la sua famiglia? Aveva anche lui la sua personale "casa all'angolo, con la facciata gialla"?
Moriva dalla voglia di sapere tutto di lui e non riusciva a fare a meno di cercare di ipotizzare tutte le risposte possibili a quelle domande.
-Chi sei, Finn?-
"Sai, credo di doverti chiedere scusa."
Millie scosse la testa per tornare alla realtà e lo guardò con sguardo interrogativo.
"E per cosa?"
"Beh, diciamo che sono delle scuse anticipate. Per i miei amici, sai." -rispose, ridacchiando imbarazzato – "Diciamo che non credo siano esattamente il tuo genere abituale di compagnia."
Millie gli schiaffeggiò giocosamente una spalla e disse, ridacchiando:
"Hey, ma mi hai presa per una di quelle snob odiose che "se non è almeno un'ereditiera deve stare almeno a tre metri di distanza da me"? Cosa credi che io ci faccia qui con te, sentiamo?"
"E' quello che mi chiedo da questa mattina in realtà."
"Ah sì? E che risposta ti sei dato?"
Finn la guardò per un attimo con un mezzo sorriso, prima di tornare a fissare la strada.
"Beh, diciamo che le opzioni sono due ..."
"Sentiamo!"
"Mmm ... Allora, o ti faccio terribilmente pena e non sai come dirmelo, ma speri che entro le dieci io ci arrivi da solo così da riportarti al tuo super hotel e alle tue serate mondane ..."
Millie fece una smorfia fintamente indignata, aspettando il seguito.
" ...Oppure devi avere una strana passione per i casi umani come il sottoscritto."
"Cavolo, mi hai proprio beccata! La mia copertura è saltata."
Finn rise di gusto, passandosi una mano sulla fronte.
"Sei davvero strana, Millie Bobby Brown."
"Detto da te, Mr Strambo, lo considero un onore."

"Ma dove cavolo è Finn? Manca solo lui!"
"Già, è strano, non è mai in ritardo."
La casa di Caleb e Sadie era invasa dall'odore intenso delle pizze calde e della vaniglia dei biscotti che i due avevano preparato quel pomeriggio, come da tradizione.
Quello era da sempre il "ritrovo" del gruppo, il posto dove tutti e quattro si rinchiudevano durante le giornate piovose, con i pop corn alla mano e le repliche di "Friends" sullo schermo.
Quella era casa un po' per tutti loro.
Quella sera, come sempre durante le occasioni speciali, era più affollata del solito: oltre ai padroni di casa, che facevano avanti e indietro fra il salotto e la cucina per assicurarsi ancora una volta che tutto fosse a posto, e a Gaten, che dopo le sue "due birre" del pomeriggio se ne stava già completamente ubriaco a vegetare sul grosso divano di pelle, c'erano anche Ayla, Malcolm e Jack.
Caleb e Finn li avevano conosciuti anni prima, durante uno dei soliti giri per i pub del sabato sera: da allora, non si erano più separati ed erano entrati a far parte a pieno titolo di quella consolidata routine che era parte integrante delle loro sconclusionate vite di ventenni nella City.
Troppo cresciuti per fingere di essere teenager all'infinito, troppo giovani, ancora, per poter prendere completamente in mano le proprie vite.
Tutti e tre vivevano, quasi letteralmente, per la musica: Jack, diploma di conservatorio alla mano, era un vero asso sulle quattro corde; Ayla, chitarrista fuoriclasse, aveva la capacità di scaldare l'atmosfera di qualunque posto con il solo ausilio della sua voce avvolgente, votata ai primi Beatles e all'indie rock d'avanguardia; e poi Malcolm, batterista autodidatta dall'orecchio straordinario, che sapeva elencare a memoria la discografia di interi decenni di hard rock. 
Talvolta, quando si ritrovavano tutti a divorare pizza e risate, distesi sul tappeto di casa Mclaughlin o sui cuscini del soppalco di Jack, che, assieme a Finn, buttassero giù qualche nota o arrangiamento e la cosa li divertiva da morire, anche se, ultimamente, non accadeva più tanto spesso.
Non accadeva più affatto, in verità.
Spesso Caleb e Gaten, ascoltandoli suonare insieme, avevano tirato in ballo la possibilità per loro di creare una band vera e propria.
"Siete forti, ragazzi. Io lo comprerei un vostro disco."
Ma era un'idea che non si era mai davvero concretizzata, senza che nessuno sapesse spiegarsi il perché.
Probabilmente c'entrava il fatto che Finn fosse in un periodo di "stallo", di scarsa motivazione: Caleb l'aveva sempre pensata così, e aveva sempre tentato di spronare il suo migliore amico, perché sapeva quanto amasse la musica e desiderava più di ogni altra cosa che lui potesse esprimere la sua sensibilità e il suo talento ritrovando quella passione ora intiepidita.
"Tu sei bravo Finn, davvero. Devi solo crederci di più."
"E cosa cambierebbe? Cal, ti ringrazio amico, veramente, ma la mia vita è e resterà questa, e lo sai."
"Ma è sempre stato il tuo sogno quello di esibirti."

"Appunto, Cal, un sogno, una fantasia. Non mi sarei spaccato la schiena dietro al negozio se avessi sperato sul serio di "sfondare"."
"Ma tutta la tua musica ..."
"Esatto Cal, la MIA musica. Fatta per me, per consolarmi nei momenti no. Non c'è davvero nulla che valga la pena di essere condiviso."
"Non ti riconosco, amico."
"Lo sai anche tu, Cal."
Caleb ripensò a quella vecchia conversazione mentre osservava Ayla strimpellare le note iniziali di "Let it be", con Sadie che la accompagnava con il suono dolcissimo della sua voce.
Sorrise guardandole e cercò di scacciare via quei pensieri tristi, desiderando solo che il suo migliore amico arrivasse presto per poter passare una bella serata tutti insieme.
I suoi desideri furono presto avverati, perché dopo neanche dieci minuti la vecchia auto di Finn fece il suo ingresso nel vialetto di fronte la piccola villetta a schiera.
"Hey, ragazzi è lui! Siamo al completo!"
Caleb si precipitò all'ingresso, pronto ad accogliere il suo migliore amico e a rimproverarlo scherzosamente sui motivi del suo ritardo.
"Ehilà, Finnie, ti sei fatto desider-"
Ma non riuscì a terminare la frase, perché ciò, o meglio, chi vide avanzare verso il portone bianco della sua casa quel sabato sera lo fece restare a bocca aperta, incapace di pronunciare qualsivoglia parola, di senso compiuto o meno.
Ora ne era certo: decisamente non riconosceva più il suo migliore amico.




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