capitolo 2

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«Cosa vuoi da me?» continuo, non abbassando la guardia.
«La nebbia ti avrebbe uccisa» risponde ferma. Questo contatto visivo in altre circostanze sarebbe imbarazzante, ma non riesco a distogliere lo sguardo.
«E anche se fosse?» continuo, lei avanza verso di me, alzo nuovamente l'arma. Si ferma e posa la candela a terra, continua ad illuminare tutta l'area. Faccio saettare lo sguardo fra la mia mano e il suo viso, sto ancora respirando affannosamente.
«Clarke»
«Come sai il mio nome?» esclamo indietreggiando.
«Vi abbiamo osservati, da quando siete arrivati» continuo ad essere confusa.
«Chi sei?» ripeto, sperando di avere una risposta. Pensavo, anzi, pensavamo, che la terra fosse disabitata da secoli.
«Lexa kom trikru, comandante dei terrestri»
«Terrestri?» domando stranita.
«Non pensavamo di avere ospiti nel nostro territorio» afferma avanzando pericolosamente.
«Non un altro passo» dico scandendo ogni parola, puntandole la pistola al petto.
«Ripeto, non voglio ucciderti, Clarke, ma dovete andarvene.»
«Cosa?» esclamo.
«Avete un'altra settimana, se vi troveremo ancora qui i terrestri vi spazzeranno via» afferma, prima di incamminarsi verso l'esterno.
«No! Non è possibile!» dico avanzando verso di lei.
«Guida il tuo popolo altrove, Clarke.»
«Non posso farlo in una settimana» rispondo guardandola nuovamente negli occhi. Si volta verso di me.
«Allora per voi sarà la fine» afferma, a due passi da me.
«Due settimane» ringhio, cercando di assumere una posizione più dritta. Sento un dolore molto forte al livello del polpaccio, mi accascio a terra.
«Sei ferita?» chiede abbassandosi al mio livello. Mi ritraggo dal suo tocco.
«Sto bene» rispondo, alzando i pantaloni. La mia caviglia è piena di sangue, cerco di tamponare con le mani inutilmente.
«Aspetta» dice, tirando fuori il bavaglio di prima.
«Non voglio aiuto da te» esclamo scettica. Lei scuote la testa, e mi tende il pezzo di stoffa. La guardo dubbiosa, ma poi lo afferro e me lo lego al polpaccio per evitare altre fuoruscite di sangue. Mi rialzo, di nuovo di fronte a lei.
«Due settimane» afferma. Annuisco, per poi dirigermi verso l'accampamento. Sento che non si muove, ma non mi azzardo a girarmi. Barcollo, fino a quando non vedo le luci dell'accampamento.
«Clarke!» esclama Bellamy venendo in mio soccorso.
«Ho avuto un incidente» ammetto. Mi porta subito in infermieria.
«Non siamo soli qui» dico mentre mi adagio su una specie di lettino.
«Di cosa stai parlando?» chiede lui imbevendo un panno nell'acqua calda.
«Ci sono dei terrestri, qualcuno è sopravvissuto» continuo. Bellamy alza lo sguardo stupito, e anche stranito. Gli spiego di Lexa, e del suo ultimatum di due settimane.
«Non abbiamo nessun altro posto in cui andare, Clarke.» dice lui infine.
«Saremo spazzati via se non lo facciamo»
«Non se combattiamo»
«Non combatteremo, Bellamy, non erano questi i patti» dico scendendo.
«Dai la notizia agli altri, io cerco di mettermi in contatto con l'arca.» lui annuisce poco convinto. Smanetto un po' con gli aggeggi e finalmente sento la voce di mia madre.
«Clarke» mi scappa un sorriso.
«Ciao, mamma»
«Come stai?»
«Bene, o per lo meno, fino ad ora. Le cose si stanno complicando.»
«Di cosa parli?» chiede preoccupata.
«A quanto pare i nostri calcoli erano sbagliati, non siamo soli qui, e non siamo i benvenuti»
«Cosa?» esclama.
«Abbiamo due settimane per andarcene, o saremo attaccati, sistemerò le cose ma voi dovete venire qui il prima possibile, da soli non ce la facciamo»
«Faremo il prima possibile» dice, per poi riattaccare. Mi dirigo all'esterno, il clima è cambiato, sono tutti preoccupati. Decido di dormirci su, domani cercheremo una soluzione insieme. Se dobbiamo combattere, dobbiamo essere uniti, se dovremo spostarci, lo dovremo essere ugualmente.

To the moon and back Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora