Capitolo 2

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Ciao bimba, come ti chiami?"

era un bambino alto, magro, indossava una salopette di jeans, una maglia viola, e un paio di scarponcini marroni.

si chinò in avanti, e accarezzò con una manina la mia treccia dorata.

"Elizabeth Forrowel, figlia dell'uomo più importante dell'Arizona"

da bambina mi piaceva vantarmi del fatto che mio padre era un importante uomo d'affari, proprietario di una grande banca nel centro di Phoenix.

"io sono Clark Nevel. e mia madre è molto più importante del tuo papà."

mi guardò con aria di sfida, ma non gli diedi la soddisfazione di replicare.

gli porsi un pennarello e gli feci spazio sul telo da mare che posava sull'erbetta fresca del parco.

vidi i suoi occhi azzurri spalancarsi e il suo volto farsi interrogativo.

"mi aiuti a colorare?"

"non ho mai avuto un'amica"

si sedette lentamente accanto a me e gli sorrisi.

-FINE FLASHBACK-

Fu così che conobbi Clark. avevamo 4 anni, i nostri genitori erano i proprietari di due banche vicine che si unirono nel 2000, in parte grazie alla nostra amicizia. era sempre stato un tipo solare, lui. se c'era qualcosa che lo turbava me lo avrebbe detto. e sapevo, nel profondo della mia ragione, che non si era suicidato. non poteva.

per il resto della serata rimasi chiusa in camera mia, ed era inevitabile il fatto che scoppiai a piangere.

dal momento che per l'investigatore Nathan il caso era risolto, domani ci sarebbero stati i funerali per celebrare la morte di Clark.

Annica mi aveva chiesto gentilmente di andare alla residenza dei Nevel prima che iniziasse il funerale. Sinceramente quella donna un po' mi spaventava. il fatto che vedesse ancora Clark, e che non credesse al fatto che il figlio fosse morto, metteva ribrezzo.

non cenai, e mi misi a dormire.

***

07:00

Fui svegliata dal rumore della sveglia.

aprii lentamente le palpebre appiccicate dai rimasugli di mascara e andai in bagno. insaponai il viso palesemente pallido e lo risciacquai. pettinai i capelli biondi e mi vestii. indossai la divisa scolastica a base di gonna rossa e camicia bianca e scesi di sotto.

non c'era nessuno. come sempre.

mio padre era 24 ore su 24 alla banca e mia madre aveva un udienza quasi ogni giorno. ma questo era quello che richiedeva il lavoro di avvocato.

almeno così potevamo permetterci una casa favolosa con tanto di piscina e giardino.

"Signorina Beth"

la voce di Mose, la cameriera, riecheggiava nella casa vuota.

"Mose. buongiorno"

le sue braccia incorniciavano il suo corpo robusto. era una donna fantastica, sulla cinquantina,dolce e per bene. come una zia per me era ormai. la vidi uscire dalla cucina e porgermi un vassoio di biscotti appena sfornati, che rifiutai.

"no Mose, grazie. Ho lo stomaco chiuso."

trattenni le lacrime e sorrisi. lei mi mise una mano sulla spalla e mi baciò la fronte.

"Vuoi che ti accompagni Withmor?"

"no, vado da sola"

uscii di casa e aprii la portiera della smart bianca. una volta dentro appoggiai la fronte al volante, mentre stringevo quest'ultimo fino a conficcarvi le unghie.

di solito andavo a prendere Clark ogni mattina da momento che non aveva la patente. lo bocciavano sempre all'esame di scuola guida. era un disastro. ma era il MIO disastro. e non mi avrebbe mai lasciata qui, da sola. avevamo dei progetti. dovevamo partire, andare a New York. prenderci una casa insieme. mi mancava il mio migliore amico

.

The Curse - La Maledizione della VillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora