CAPITOLO 1

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Avevo il fiato corto. Le guardie reali mi erano oramai alle calcagna e i fitti alberi del bosco non mi facilitavano di certo il percorso, così come la notte e la pioggia, che mi offuscavano la visuale.

Ero sempre stata prudente, ma questa volta, nell'avvicinarmi alla costa orientale, avevo osato troppo, dando forse l'idea di voler fuggire da quell'isola, che tuttavia era la mia salvezza.

Un lampo. Per un breve istante il mio sentiero si illuminò.

Ma divenne più chiara anche la strada dei miei inseguitori, che riuscirono ad individuarmi con precisione, scoprendo di aver guadagnato terreno.

«Eccola!» Esordì uno, probabilmente additandomi ai compagni.

A quel punto non mi rimase altra scelta se non quella di aumentare la mia andatura, ma quel mio affondo durò poco: avevo i piedi insensibili per la fatica, i polpacci che bruciavano per la corsa, lo sterno che si sollevava al ritmo di un singhiozzo e la bocca secca, la cui saliva assente era sostituita da un amaro sapore ferroso.
A rendere la situazione ancora meno piacevole, i vestiti impregnati dalla pioggia mi premevano addosso, pesanti, mentre la pelle diventava cianotica per il freddo.
Mi fermai appoggiando le spalle ad un tronco rugoso, ma rimanendo ben in allerta: le guardie erano a pochi metri e io non avrei retto ancora per molto. Trattenni il respiro affannoso, cercando di limitare al minimo ogni rumore, per evitare che mi scoprissero e per concentrarmi sul suono dei loro passi; ma il rumore della pioggia che cadeva scrosciante era assordante. In quel momento realizzai di averli persi e il mio cuore ebbe un sussulto.

Come reazione immediata, avvicinai la mano all'anca, cercando di afferrare la daga, ma l'ipotermia delle dita mi impedì di impugnarla.

Prima che potessi realizzarlo, un forte dolore mi avvolse la testa.

«L'ho presa!»

Una guardia era riuscita ad afferrarmi alle spalle, tirandomi il cappuccio del mantello, stringendo così il mio collo in una morsa soffocante.
Il mio corpo reagì da solo e sferrò una gomitata alla cieca, riuscendo ad allentare la presa. Seguirono rapidi un calcio e un'altra gomitata, questa volta ben mirata al mento, e fui finalmente libera.

Stremata e incapace di reggermi in piedi, ripresi ugualmente la corsa, ma questa volta un ostacolo più grande mi si parò davanti: sotto ai miei piedi si ergeva imponente uno strapiombo roccioso che dava su un torrente in piena. Frenai di colpo, scivolando nella terra bagnata, aggiungendo freddo e sporcizia ai miei vestiti.
Volsi lo sguardo alle mie spalle, dove le guardie reali si erano fermate, braccia conserte e fiatone, sogghignando in modo soddisfatto.

«Ti abbiamo in pugno, piccola fuggitiva.»

Ma al loro ghigno, io risposi con un altro, ancora più ampio ed accentuato.

«Che divertimento ci sarebbe se fosse così semplice?»

Mi presi un attimo per ammirare l'incredulità sui loro volti, ora accigliati, e, senza aggiungere un secondo di esitazione, mi tuffai dalla rupe.


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