CAPITOLO 48

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Dopo due giorni di attesa, finalmente una carrozza entrò nella grande cancellata a confine della casa.

«Finalmente! Andiamo.»

Gideon, spazientito, fece per avviarsi ma lo trattenni.

«Non credi darebbe nell'occhio chiedere di Degorio subito dopo il suo arrivo? È più prudente aspettare.»

Rubyo, spuntato da dietro un tronco, annuì.

«Ripassa piuttosto la tua parte.» Aggiunse.

Avevamo creato dei nomi e cognomi fasulli apposta per l'occasione, con tanto di professione e legami familiari. Fortunatamente però, questa volta né Rubyo, né Gideon, fecero la parte del fratello o del marito, ma divennero semplici colleghi di mestiere.

Così passò un altro giorno e il pomeriggio successivo ci ripresentammo nuovamente alla porta di Degorio dove, questa volta, le guardie ci invitarono ad entrare.

«Da questa parte.»

Ci mostrò la strada una guardia.

Mentre camminavamo dapprima nell'ampio cortile, poi nel porticato interno ed infine nella sala da ricevimento di Degorio, mi vennero alla mente i miei giorni d'infanzia a palazzo.

«La Compagnia dei Tre.» Annunciò quella stessa guardia al signore, riportandomi al presente.

Quando alzai lo sguardo ciò che vidi era senz'altro inaspettato. L'aspetto di Degorio si mostrava come quello di un alto ragazzo biondo, poco più grande di Rubyo, dai profondi occhi blu intenso, molto più scuri di quelli di Gideon. Era ben vestito, con abiti scuri in contrasto alla veste bianca poggiata sulle spalle dove, in un taglio pulito e netto, si fermavano i capelli chiari.

«Posate pure le armi.» Disse con voce soave, seppur ovattando una presenza di presunzione. «È una casa pacifica questa.» Continuò lui, facendomi rabbrividire.

Strano ad ammetterlo ma quella sua indole così raffinata, quel suo tono così pacato, quel suo sguardo così accorto e quella sua apatia negli occhi, mi spaventarono molto di più del Capitano che mi aveva marchiata.

«È per questo che ci sono le guardie qui fuori?» Commentò pungente, e inopportuno, Gideon, strappando una risata fredda e distaccata a Degorio, come se fosse stata forzata.

«Anche il mantello è inopportuno.» Aggiunse quest'ultimo.

A quel punto la rabbia prese il sopravvento sul timore. Solo perché si trovava in casa sua, non voleva dire che potesse fare il dispotico con i suoi ospiti, che tra l'altro sarebbero potuti diventare colleghi di affari.

Quel suo atteggiamento mi fece realizzare quanto egoista ed incurante fosse quell'uomo.

Quando lasciai ricadere il mantello però, il suo sguardo sembrò illuminarsi, per poi squadrarmi da testa a piedi.

«Che inopportuno sono stato. Chiedo perdono. Non ero riuscito a cogliere quel meraviglioso volto femminile sotto quel pesante cappuccio.»

Bugiardo.

Aveva individuato benissimo le nostre armi sotto quello stesso mantello. L'unica cosa che davvero poteva essergli fuggita era il colore dei miei capelli.

«Immagino sappia il motivo della nostra visita.» Tagliai corto, reggendo il suo sguardo senza problemi, il che procurò a Degorio una perversa soddisfazione.

Adesso iniziavo a cogliere la brutta fama di cui parlava Ines. E, a notare la rigidità di Rubyo e Gideon, non dovevo essere stata l'unica.

«Da questa parte, prego.»

Iniziammo a seguirlo attraverso una moltitudine di stanze comunicanti dall'aria labirintica finché non raggiungemmo la sala interessata. Era ampia e completamente vuota, se non fosse stato per la presenza di un centinaio di teche in vetro contenenti le più svariate tipologie di pietre preziose.

Le vedemmo una ad una, mentre Degorio si vantava a grandi gesti e parole delle sue imprese per ottenere quel bottino. Ma il discorso si prolungò più del sopportabile e mi ritrovai a richiamare Gideon all'attenzione ogni rara volta che Degorio mi toglieva gli occhi di dosso.

«Questa è una delle mie preferite.» Disse soffermandosi su un opale.

« È l'ultimo opale dei due Regni, viene direttamente dall'Isola d'Inverno. Non sapete quante uomini e risorse mi sia costato, quel posto è davvero agghiacciante.» Sogghignò allusivamente, facendomi rabbrividire.

Rigirai intorno alla teca, fingendomi interessata nonostante fossi sul punto di un crollo nervoso. Non c'era dubbio, quello era proprio l'ultimo opale di cui avevo bisogno per attivare la daga.

Mi appellai a tutto il mio autocontrollo per non fremere dall'emozione, rompere quello strato di vetro che mi separava dalla pietra e andarmene.

«E qui... » Disse avanzando, obbligandomi a seguirlo. «... un giorno ci sarà il mio maggior vanto.» Indicò una teca, vuota. «Ne ho solo sentito parlare, ma sto già finanziando le ricerche alle quali parteciperò io stesso, questa primavera. Sto parlando della Gemma delle Fate.» Disse con tono titanico.

«Non ne ho mai sentito parlare.» Intervenni io, realmente interessata.

«E non mi stupisco. Molti credono sia solo una leggenda e per quanto si sa è un pezzo unico.»

«E cosa dice questa leggenda di preciso?» Finalmente Rubyo, che era rimasto in silenzio limitandosi ad osservare, parlò.

«Mi dispiace, non posso dirvi altro. Ma accetto volentieri un paio di braccia in più... »

Lo sguardo allusivo che mi rivolse mi caricò di disgusto e rabbia. Eppure, nonostante quello, i suoi occhi si erano sempre mantenuti freddi e distaccati, come ad osservare, vacui, qualcosa in lontananza.

«No. Grazie lo stesso.» Parlò Rubyo a denti stretti, infrapponendosi tra me e Degorio.

«È già impegnata?» Disse quest'ultimo con finto stupore, lasciando Rubyo esterrefatto.

«Ecco-» Esitò poi, rapido e quasi privo di fiato, voltando lo sguardo in lontananza.

La mia posizione attuale non mi permise di vedere Rubyo in volto, tuttavia non riuscii a non notare la punta delle orecchie arrossarglisi.

«Si, siamo commercianti anche noi dopotutto.» Risposi al posto di Rubyo. «Proseguiamo?» Proposi a Degorio, che senza farselo ripetere due volte riprese la narrazione delle sue gesta. 

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