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Ernik rimase impietrito. Davanti a lui, bella come non lo era mai stata, Dazira stava ridendo insieme ad Amila.

Una scena così inverosimile che il ragazzo dovette strabuzzare gli occhi e darsi un pizzicotto per assicurarsi di non essere nel bel mezzo di un sogno.

No. Non era un sogno. Era troppo surreale perché la sua mente se lo stesse inventando!

Intorno a lui, molti dei cavalieri erano intenti ad osservare le ragazze di sottecchi. Comprensibile: d'altronde, si fossero trovati anche in un posto diverso, Amila era una donna che si faceva notare da lontano e Dazira era diventata altresì molto graziosa.

Le sue guance erano cosparse di lentiggini intorno al naso e i capelli, tenuti legati dietro la testa, erano di un color castano ramato. Gli occhi azzurri come il cielo erano di un colore vivo e sorridevano insieme alle labbra carnose.

Nonostante la statura piuttosto minuta, il suo corpo era proporzionato e appariva incredibilmente femminile, benché indossasse abiti maschili.

Se Ernik ripensava al fantasma dagli occhi infossati e la pelle scabra per la disidratazione che aveva lasciato nelle segrete del castello, il ragazzo non riusciva a paragonarlo alla figura che le stava davanti.

Era come se Dazira fosse tornata in sé. Anche se non era la stessa Dazira.

Quei due anni le avevano fatto bene e gli allenamenti avevano arrotondato un corpo che, altrimenti, era così magro da poter distinguere le ossa.

Ma ciò che colpì di più Ernik fu la sua espressione: stava sorridendo come una volta, come se il tempo fosse tornato indietro di due anni, ad un giorno prima di quella dannata notte che le aveva rovinato la vita.

Il ragazzo rimase incantato a fissarla e, in pochi attimi, gli scorsero davanti le immagini di dieci anni passati a crescere insieme, a giocare e a combinare guai per poi tirarsene fuori come delle vere pesti.

Eppure, l'ultimo ricordo che aveva di lei, era quell'immagine macabra in quella dannata cella che, se Ernik avesse potuto tornare indietro, avrebbe cancellato.

«Non ti vedo poi così sciupata!» le aveva urlato, in preda alla rabbia. Aveva mentito, e lo sapevano entrambi.

«Beh, se venissi a farmi visita potresti rendertene conto!» aveva risposto lei. E aveva ragione. Ma lui era troppo deluso, troppo arrabbiato per capire che ciò che le era capitato era più grande di lei e che Dazira avrebbe avuto bisogno di lui in quel momento più che mai.

E lui se n'era andato. «Addio, Dazira» le aveva mormorato prima di fuggire lasciandola piangere in quella squallida cella maleodorante.

Questo era ciò che più aveva tormentato l'animo di Ernik: la consapevolezza di essere stato un codardo, un inutile vile che non si era meritato l'amicizia di quella ragazza.

Dazira era stata una parte consistente del suo passato, come lo era stato Kaspiro. E lui li aveva traditi. Entrambi, ma in modi diversi.

E se lei sorrideva, non era certo merito suo.

Quel sorriso gli fece male. In un qual modo, lo ferì. Gli ricordò che, ancora una volta, aveva sbagliato.

Poi la tromba risuonò per il campo base e la corsa agli armamenti lo salvò dai suoi pensieri.

●●●

Le fazioni erano disposte l'una di fronte all'altra e la tensione era così carica da dare l'impressione che si potesse tagliare come si taglia il burro.

Ernik sospirò e accarezzò la criniera del suo cavallo. Si doveva concentrare. All'ordine di attaccare, sarebbe scattato in avanti ed avrebbe iniziato a combattere, come al solito. Avrebbe dimenticato tutto il resto. Almeno, era ciò che sperava.

Ma era difficile distogliere gli occhi da Dazira che, nella sua tenuta da battaglia, se ne stava in piedi di fianco a Rotoro, quasi del tutto priva di protezioni.

Barvis gli si avvicinò con un sorriso malizioso ed accostò il suo cavallo a quello di Ernik. «Fossi in te la smetterei di puntare la ragazza-demone!» esclamò ridacchiando il commilitone.

«Che cosa?»

A quella domanda, il ragazzo fece un segno in direzione di Amila. «Penso che se ti vedrà girarti un'altra volta a guardarla, assisteremo ad una pubblica evirazione prima della battaglia!» commentò esplodendo in una risata.

Ernik scosse la testa e tornò a fissare gli uomini davanti a sé. Forse Barvis aveva ragione. «Non so di che cosa parli» rispose, però, in tono neutro.

«Ma davvero?» replicò il ragazzo con un ghigno canzonatorio dipinto sul volto. «Beh, ringrazia che non ne sia al corrente Kaspiro! Anzi, fossi in te, pregherei che ci lasciasse le penne...»

«Non puoi dire una cosa del genere!» strillò Ernik indignato per il commento fuori luogo di Barvis.

«Ti dico una cosa: se io fossi Kaspiro e quella» mormorò il cavaliere indicando la bellissima ragazza a cavallo coperta in buona parte dall'armatura «fosse la mia donna, tornerei dall'oltretomba per ucciderti a suon di legnate, Ernik! Per quanto io ti stimi» concluse Barvis spostando lo sguardo da Ernik al campo di battaglia.

Il ragazzo meditò tra sé e sé che, in effetti, mancava solo Barvis a commentare la sua relazione con Amila per farlo sentire peggio, quel giorno!

In quel momento, venne dato il via ad attaccare ed i due schieramenti iniziarono a correre l'uno verso l'altro mentre le urla si diffondevano per la radura.

Ernik imbraccio la spada e spronò il cavallo al galoppo fino a che non entrò nel fulcro dello scontro.

Il ragazzo era abile a cavallo quasi quanto nel combattimento a terra e riusciva avvedutamente a prevedere le mosse degli avversari.

La spada roteava ed andava ad incontrare l'arma avversaria per poi penetrare la carne di qualche soldato loasiano.

Ernik sentiva l'adrenalina a mille, come sempre, mentre avanzava metro dopo metro tra le file avversarie e, sceso da cavallo, scartò di lato evitando appena in tempo la freccia di un arciere per poi contrattaccare lanciando un pugnale contro un giovane soldato loasiano armato di lancia.

Fu allora che la vide. Si muoveva ad una velocità sovrumana ed era circondata da una sorta di nebbia nera che non le nascondeva, però, le ali, immense e sbrandellate mentre sbattevano creando un forte spostamento d'aria intorno a lei.

Ernik l'aveva già vista, una volta, la bestia. Era successo due anni prima quando, una notte, si era nascosto nelle stalle con una giovane ancella. Il demone che si era impossessato del corpo di Dazira era entrato nell'ambiente ed aveva ucciso la ragazza, risparmiando lui. Ma quel ricordo non l'aveva mai abbandonato: quelle lunghe grinfie, il pelo nero e gli occhi gialli del mostro coperto di pece erano ancora vividi nella sua mente.

Ma, quella che gli si poneva ora davanti, era un'immagine diversa. In parte, il corpo di Dazira aveva assunto le sembianze della bestia, ma non del tutto. Era come se la giovane fosse riuscita a governare i poteri di quel mostro demoniaco che stava lasciando, tra gli avversari, un tappeto di cadaveri.

Gli uomini non riuscivano nemmeno a colpirla che le grinfie li avevano già passati da parte a parte, oppure, grazie ad un battito d'ali, il forte vento li aveva allontanati.

Per qualche istante la battaglia sembrò fermarsi ed i loasiani furono sorpresi a guardare impietriti il mostro che combatteva tra le linee sartesiane.

Nessuno pareva aver visto mai nulla del genere e, persino i soldati alleati, fissavano con l'orrore negli occhi il macabro spettacolo che Dazira stava offrendo loro.

Non appena Loas suonò la ritirata, una manciata di cavalieri raggiunse Dazira e la sollevò sopra le teste degli uomini per condurla come un'eroina all'accampamento e celebrare la vittoria raggiunta grazie a lei.

Quando l'urlo della riuscita risuonò nel campo di battaglia, l'euforia aveva invaso il corpo di Ernik al punto che il ragazzo parve dimenticare ogni cosa, persino chi era stato a portare Sartesia alla vittoria.

Sapeva solo che l'esercito non vedeva un risultato così positivo da troppo tempo e anche lui, come tutti gli altri, aveva solo voglia di festeggiare.

Fu al suo arrivo al campo base che Ernik si accorse che qualcuno mancava all'appello.

Amila non era rientrata con gli altri.

LA QUINTA LAMA (II) - La guerra del demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora