13 ATTRITI CON IL COMANDANTE

133 10 2
                                    

Amila era piegata sulla scrivania, ancora troppo debole per alzarsi in piedi senza l'aiuto di qualcuno o per camminare sorreggendosi senza l'aiuto di un bastone.

Sospirando, si passò una mano lungo i folti capelli castani, come a voler allontanare un pensiero, ma senza riuscirci.

La lettera era lì, proprio davanti a lei. Un'altra lettera che attendeva una risposta che mai avrebbe potuto essere quella giusta.

All'ultima lettera che Kaspiro aveva inviato non aveva risposto. Non ce l'aveva fatta a dirgli che l'aveva tradito in tutti i modi possibili.

Lui era innamorato. Le sue parole erano cariche di sentimento e aspettativa, mentre lei le leggeva satura di senso di colpa temendo che provocargli una tale delusione avrebbe potuto causare delle disattenzioni che gli sarebbero costate care... o forse, questa riflessione, non era altro che un modo per giustificarsi. Per giustificare la sua vigliaccheria.

Sì, era una vigliacca, perché quel foglio bianco davanti a sé pareva terrorizzarla più di quanto non avesse mai fatto una battaglia.

Era il provocare dolore che la spaventava più di qualunque cosa. Provocare dolore nel cuore di Kaspiro.

La ragazza si morse il labbro e ripose nuovamente la penna sul calamaio.

L'avrebbe scritta un altro giorno, quella dannata lettera.

In preda al nervosismo tentò di alzarsi in piedi, ma i dolori lancinanti le ricordarono che ancora non poteva permettersi il lusso di farlo da sola, perciò chiamò l'infermiera sollevando un braccio, come le era stato suggerito di fare.

La sua condizione la stava rendendo ogni giorno più insofferente, benché Amila si rendesse perfettamente conto di essere stata fortunata e che i suoi lamenti non erano altro che capricci ingiustificati.

Non erano in molti, proprio in quel campo militare, ad aver avuto la sua stessa favorevole sorte.

Quando, grazie al medico dell'accampamento, riuscì a sollevarsi sulle proprie gambe, Amila, afferrato il bastone, contemplò l'idea di uscire da quella tenda che sapeva di sangue e sudore e godersi il timido e pallido sole d'inverno.

Non appena mise piede fuori dal tendone dell'infermeria, il vento pungente le investì il volto, spazzando via quella nauseante sensazione di monotonia e pigrizia e regalandole un soffio di freschezza.

Sì, le ci voleva, per quanto faticosa, una passeggiata fuori dal suo lettino d'astanteria.

Lo stesso uomo che si era occupato delle sue ferite l'aveva incoraggiata a farlo, seppur raccomandandosi di non stancarsi troppo.

Erano poco più di una decina di minuti che passeggiava lentamente, affidandosi al bastone che Ernik le aveva portato, quando Amila si appoggiò al tronco anteriore che sorreggeva la tenda di Barvis e Alyconte, con il respiro affannoso. Erano solo un paio di giorni che aveva ripreso a camminare, anche se a fatica e già una prima volta si era ritrovata quasi allo stremo delle forze compiendo minimi gesti.

Accanto a lei passarono i suoi compagni d'armi che, dopo un saluto, tirarono dritto, consapevoli della sua insofferenza nell'essere trattata da inferma. In cuor suo, Amila era grata della loro scostante vicinanza da quando, dopo averle portato delle margherite il giorno dopo l'accaduto, i cavalieri avevano compreso la sua volontà di risollevarsi da sola ed avevano evitato di metterla in imbarazzo con eccessive attenzioni.

I giorni dell'accademia erano ormai lontani, sebbene non fossero passati che pochi mesi, e tutte le dinamiche svolte al suo interno sembravano mutate. Nello stesso momento in cui i neo-cavalieri avevano messo piede sul campo di battaglia era nato un nuovo cameratismo che pareva aver cancellato qualunque screzio precedente ci fosse tra gli allievi.

LA QUINTA LAMA (II) - La guerra del demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora