29. Sapere sapientemente di non sapere

10.9K 573 665
                                    

Una luce argentata, accecante, dall'aura chiara capace di trasmettermi tranquillità istantanea, plana su di noi con eleganza quasi dolorosa —le mie pupille abituate alla luce soffusa dell'alba, stanno chiedendo pietà — appollaiandosi sul trespolo di una quercia. È un animale, un patronus, dalla postura insolente, grande quanto un grosso cigno.

Scorpius non allenta la presa attorno mia vita, anzi mi stringe a sé con maggiore trasporto, come se sapesse che la fenice, probabilmente appartenente a mio cugino Albus, ci ha raggiunto per recapitare pessime notizie.

I suoi capelli mi solleticano la fronte, gli occhi grigi ancora a pochi centimetri di distanza dai miei, socchiusi, tremendamente seducenti, sembrano non notare l'imponente patronus che ci osserva curioso. Continuano ad essere fissi su di me, mi guardano, mi vedono per come sono davvero, e non sono intenzionati a posarsi su altro. Mi richiede uno sforzo notevole smettere di guardarci dentro. Le ciglia gli sfiorano gli zigomi arrossati come le guance e il naso. Punto le sue labbra, circondandogli con più forza il collo per paura di doverlo lasciare andare troppo presto. Sono irritate e martoriate dai baci, è quasi sorprendente rendersi conto di avere impresso il segno del mio passaggio — anche se per poco — su di lui. Sento un moto d'orgoglio gonfiarsi velocemente nel petto.

«Piccioncini» sobbalzo dallo spavento quando la fenice spalanca il becco, e la voce del mio migliore amico mi riempie le orecchie «Mi dispiace interrompere la vostra passeggiata romantica, ma se non riportate la motocicletta al suo posto, a James prenderà un collasso. Uno di quelli irreversibili. Ps: passate dal retro, la porta principale è pattugliata»

Respiro a fondo, irritata. Per un'attimo l'immagine di Albus che viene lanciato giù dal tetto della Tana, di testa, mi si para davanti alle palpebre. È fastidio quello che provo. Fastidio causato dall'essere stata interrotta, fastidio causato dal dovermi separare da Scorpius. Ma come ho detto, è solo un attimo.

«Dobbiamo andare» dico piatta, senza guardarlo in faccia, troppo spaventata dalle sensazioni che potrei provare. Faccio per districarmi dalle sue braccia, decisa ad allontanarmi per raggiungere la moto ed evitare che James muoia stecchito, ma Scorpius mi ferma facendo passare lentamente le dita della sua mano sul palmo della mia, prima di stringerla d'istinto.

«Mi hai preso la mano» se ci fosse un solo aggettivo per descrivere come mi sento, quello più appropriato sarebbe sconvolta, frastornata, terribilmente felice. Che poi, se si vuole considerare la matematica, sarebbero tre, ma infondo a chi importa?

La voce mi esce fuori in un sussurro, accompagnata ad una nuvoletta di vapore creata dal fiato. È come se le mie corde vocali avessero deciso simultaneamente di scrivere una lettera di licenziamento e fatto le valigie.

«Già, colpa degli spasmi»

Fisso le nostre dita intrecciate e prego per far si che le mie guance non diventino pomodori «Stai continuando a tenermela»

«Oh si, così pare. Andiamo?»

***


Ore 08:12 Tana, stanza del secondo piano.

Gli occhi continuano a saettare da una parte all'altra della camera, sopraffatti dall'indignazione. Non è umanamente possibile che io abbia perso una motocicletta grande quando tre ragazzi corpulenti, magari anche pelati: è risaputo che la mancanza di capelli porti a sviluppare una massa corporea al di sopra del normale, altrimenti non trovo nessun'altra motivazione che spieghi i prosciutti di muscoli che ha al posto delle gambe il cassiere di Mondomago. Devono essere stati gli gnomi — quei bastardi — sicuramente, di punto in bianco, hanno deciso che alloggiare nel nostro cortile non gli bastava più e si sono dedicati al saccheggio.

Per fortuna Cupido mi odia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora